Omar Galliani: sempre più a Oriente

In occasione dell’acquisizione da parte del Museo Nazionale d’Arte della Cina (NAMOC) con sede a Pechino dell’opera “Lontano da Xian” del M° Omar Galliani, il quale entra così a far parte, insieme a “giganti” come Picasso e Dalì, dei pochissimi autori occidentali presenti nella collezione del museo, capiamo ora dalle sue parole, l’importanza dell’avvenimento e come questo costituisca il coronamento di un legame duraturo e profondo.

Quando e come inizia sul piano espositivo il suo rapporto con la Cina e quali sono stati i momenti che considera più significativi?
Il mio dialogo con la Cina inizia alla fine degli anni Novanta, quando ad Arte Fiera di Bologna incontrai Monica Demattè, studiosa italiana che già in quegli anni lavorava a Shanghai all’interno di un’istituzione museale. Erano anni ancora lontani dal boom commerciale che sarebbe poi esploso in tutta la Cina in ogni attività, compresa quella dell’arte. Presentavo in quegli anni a Bologna una serie di grandi mantra a matita e foglia d’oro su tavola. Monica mi parlò dell’opportunità di esporre questo ciclo in Cina presso il museo dell’Accademia Nazionale d’Arte di Pechino. Portammo così in Cina l’installazione “Mantra” (di venti grandi opere) a cui aggiunsi alcuni altri lavori realizzati site-specific. Le difficoltà burocratiche e doganali non furono poche, compresa la censura di un’opera che dovetti cambiare tra quelle scelte per l’esposizione. In quegli anni in Cina, sembra ormai archeologia parlarne, raramente si era visto esporre un artista occidentale e tanto meno italiano a Pechino o Shanghai, per poi non parlare delle tante città con più di dieci milioni di abitanti che poi toccai con il tour degli anni 2006 / 2007.

Che tipo di clima artistico e accademico – dato che ha tenuto anche un corso di pittura presso l’Accademia di Wuhan – ha trovato in tale contesto?
Negli anni successivi al mio debutto cinese, le cose cambiarono rapidamente se pensiamo alla prima biennale del 2003 a cui fui invitato e che vinsi ex aequocon Georg Baselitz e un artista cinese. In quella biennale, ricordo artisti cinesi che in pochi anni avevano già sfogliato il “catalogo” dell’arte contemporanea d’occidente appropriandosi e ripetendo, contaminati con elementi locali, i codici linguistici e tecnici delle avanguardie occidentali. Quando l’Accademia di Jinan mi conferì la laurea ad honorem in pittura con la quale tenni un corso all’Accademia d’Arte di Wuhan, ricordo che entrando nella segreteria, trovai con grande sorpresa appese alle pareti una grande quantità di piccole tele, i cui soggetti di nature morte e paesaggi ricordavano inequivocabilmente Giorgio Morandi. Chiesi informazioni e mi dissero che negli anni Sessanta, un artista italiano che si era diplomato all’Accademia di Bologna proprio con Giorgio Morandi, tenne per un certo periodo lezioni di pittura e che i suoi allievi ne furono così influenzati da dipingere tutti alla maniera di “Giorgio”.

Oltre al piacere di questo traguardo, quanta apertura ha trovato nei confronti della produzione artistica extra-orientale?
Non so quanto possa uscire o entrare nei relativi codici culturali ed estetici un’avventura cinese come la mia. Credo che per i cinesi sia fondamentale conoscere, assimilare, riprodurre, acquistare, vendere, con tutti i vantaggi derivanti da una predisposizione naturale alla trattativa. L’esperienza mi insegna che la loro diplomazia e attesa per l’acquisizione di una novità, facciano parte di una tradizione millenaria che conosciamo poco e che nel tempo si è trasformata e aggiornata. Non conosco molti artisti occidentali che siano entrati nelle collezioni cinesi. Dietro ad ogni trattativa credo ci sia sempre un’attenzione al dettaglio che non è sempre e soltanto necessariamente legato all’opera o all’artista, ma  anche al contesto culturale e storico da cui l’autore proviene.

Vorrebbe descriverci e spiegarci la simbologia e i significati dell’opera acquisita “Lontano da Xian”?
“Lontano da Xian” è un’opera legata ad un tema che ha proposto l’ultima Biennale di Pechino “La via della seta”. Si tratta di una tavola di grandi dimensioni realizzata interamente a matita dove una figura androgina si specchia in se stessa, mostrando sul collo un melograno tatuato. Il melograno, è un frutto d’oriente arrivato in occidente attraverso il Mediterraneo sulle carovane dei mercanti di seta migliaia di anni fa. Le due nuche specchiate formano un vaso, il vaso contiene una costellazione.

Sente che le esperienze che ha trascorso in Cina in questi ultimi diciotto anni abbiano influenzato l’evoluzione del suo alfabeto visivo?
Le opere e i viaggi che hanno segnato per tanti anni quel tratto di mare o di cielo che ancora mi lega o allontana nel tempo dalla Cina, hanno lasciato tracce e segni nel mio lavoro anche senza accorgermene nell’immediato. Una contaminazione omeopatica, lenta e costante.

Si potrebbe dire che già con la mostra del 2015 Omar Galliani…a Oriente, aveva cercato di fare il punto sul suo rapporto artistico con quel mondo così ricco di stimoli intellettuali?
Certamente, ma prima della mostra del 2015, avevo già esposto nel 2007 una sintesi di opere riconducibili ai miei viaggi in Cina alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, in occasione della biennale. A curarne l’allestimento fu Mario Botta, anche lui grande creativo e viaggiatore in oriente. Il titolo che scelsi fu “Omar Galliani tra oriente e occidente”. Una selezione di quaranta opere che tra il 2006 e il 2007 avevo esposto in Cina nei dodici musei delle accademie d’arte di altrettante megalopoli. Già allora mi accorsi delle contaminazioni ricevute dalle luci e dalle ombre dei tanti segni raccolti. Il rosso e l’oro oltre al nero che già in passato avevano avuto una parte dominante nel mio lavoro, ritrovavano sul foglio o sulla tavola una nuova e rigenerata geografia.

Davide Silvioli

Omar Galliani, Lontano da Xian, 2009, scultura in terracotta, cm. 150x250x60

Omar Galliani, Le tue macchie, 1982, inchiostro su carta di riso, cm. 250×187

Omar Galliani, Nuage, 2006, pastelli, tempera e acqua su tavola, cm. 40×80 (dittico)

Omar Galliani, Nella costellazione dello scorpione, 2010, carboncino su carta di riso, cm. 280×150


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