Cosa recepiscono gli studenti dell’Accademia dell’intricato sistema dell’arte in cui si apprestano a entrare? Quali linguaggi creativi privilegiano e quali aspetti della realtà considerano più urgente far emergere? Quali sono per i cosiddetti nativi digitali i tratti distintivi della nostra epoca e come immaginano il futuro? Qual è il ruolo dell’arte nella nostra società e cosa significa essere artisti? Da alcuni anni l’Accademia di Belle Arti di Bologna si propone come osservatorio privilegiato delle nascenti tendenze artistiche con il progetto Opentour, che prevede il coinvolgimento di studenti e neolaureati in mostre collettive dislocate in spazi espositivi pubblici e privati della città. L’iniziativa, che permette ai giovani di confrontarsi con un ampio pubblico di addetti ai lavori e semplici curiosi, è un’importante occasione di campionatura delle nuove correnti estetiche che provano a raccontare l’affascinante liquidità degli Anni Zero.
Come prevedibile, molti lavori si interrogano sulla virtualizzazione dell’identità nell’era mediale, come il lavoro di Tiziana De Felice presentato a LOCALEDUE, che consiste in una serie di poster (elemento tipico di una teen-culture dal retrogusto un po’ vintage) che sostituiscono le effigi di personaggi cult con selfies modificati attraverso applicazioni di beauty make up per smartphone in cui una folla di sconosciuti si autocelebra come icona. La dialettica tra la concretezza del mondo reale e la sua emanazione virtuale e la costruzione dell’identità intesa come ibridazione di elementi trovati liberamente combinabili in un infinito cut up sono i punti di forza del video maker Sathyan Rizzo, ambiguamente affascinato dalla Rete come estrema deriva della comunicazione di massa. Se la precarietà diventa un indirizzo di pensiero tutto è possibile e i contrari si sommano invece che annullarsi, erodendo alle radici la credibilità dei miti fondanti in cui le generazioni passate riponevano le loro certezze. Christina G. Hadley (coinvolta assieme a Rizzo in un progetto dedicato all’ex chiesa di San Barbaziano a cura di Piero Deggiovanni e Leonardo Regano presso LABS Gallery) interpreta l’agiografia come un distopico ologramma pop in cui un presente squallido si mescola a un fulgido e irreale passato. L’immaginario tipico del marketing e della comunicazione commerciale si è fortemente insinuato anche nella vita privata degli individui e nelle strategie di confezionamento dell’oggetto artistico, insidiando il concetto di autorialità: Marco Casella in mostra da CAR DRDE esaspera queste contraddizioni con la realizzazione di gadget e template che fingono di equiparare l’opera a un prodotto di consumo.
Se il regno dell’artificialità digitale appare sempre più mimetico e competitivo, gli artisti reagiscono all’aggressività del virtuale cercando sicurezze nella natura, da sempre fonte di ispirazione e bellezza per l’essere umano. Così Yongquiang Chen a GALLLERIAPIÙ riscopre il potenziale evocativo di un tronco naufragato in mare trasformandolo nella dimora di un poetico ibrido lumaca-fiore in cera che il calore potrebbe sciogliere in qualsiasi momento, mentre Sofia Bernardini da P420 espone un camaleonte vivo in una teca sfidandolo a confrontarsi con una girandola colorata realizzata da Andrea Renzini. Anche le forme dei più comuni oggetti di fabbricazione industriale potrebbero avere un archetipo naturale, come sottolinea ironicamente Paolo Bufalini incatenando una minimoto a una mandibola di squalo, mentre Luisa Turuani restituisce anima e sentimento a un gruppo di pietre che ritornano a essere sorgente di pianto grazie ad un empirico sistema di irrigazione.
Il desiderio di immediatezza e concretezza della nuova generazione artistica si attua in una nuova poetica dell’oggetto, di volta in volta interpretato come depositario di storie, forme e suggestioni altrimenti inaccessibili. Così Alena Tonelli in Ex Voto ricostruisce la stratificazione di destinazioni d’uso del complesso di San Barbaziano con una sorta di sindone che recepisce l’impronta degli elementi caratterizzanti di ciascun periodo storico, mentre Lucia Fontanelli ne custodisce poeticamente il passato in una serie di urne di recupero in cui ha raccolto la polvere depositatasi nel luogo nel corso degli anni di abbandono. Luca Bernardello intraprende invece un percorso inverso, prelevando dalla chiesa alcuni oggetti, successivamente puliti e levigati per ripristinarne lo stato originario, che diventano gli elementi compositivi di nuove sculture combinatorie (simili per economia di mezzi ed esiti minimali a quelle già citate di L. Turuani) che conservano solo nel titolo la traccia della collocazione iniziale.
Un altro importante filone di ricerca individua nella fisicità del corpo l’inesauribile fonte di un contatto finalmente autentico con se stessi e il mezzo per scandagliare le più viscerali pulsioni emotive e affettive. Emblematico da questo punto di vista è il diario-polaroid di Melissa Torelli presentato a GALLLERIAPIÙ, che affianca inquadrature intime di un corpo tremulo e indifeso a brani di scrittura che manifestano il disagio esistenziale di un giovane che si affaccia al caos della vita adulta. Il corpo come espressione di un sentimento che diventa fusione di individualità e texture di pelle nuda è al centro della serie fotografica Lovers di Karin Schmuck (galleria Enrico Astuni) che sovverte i canoni del ritratto inquadrando porzioni periferiche dei soggetti per amplificare la dolcezza dei loro gesti proteggendoli dagli sguardi voyeuristici del pubblico. Il corpo involontario e biologico è il destinatario dei dipinti di Mattia Pajè (CAR DRDE) che riprendono illustrazioni tratte da manuali di riflessologia associandole alle frequenze cromatiche che agiscono sugli organi considerati per esplorare una modalità di fruizione dell’opera che prescinda dalle intenzioni dello spettatore. Il movimento del corpo che misura e attiva lo spazio circostante è invece il fulcro delle fotografie di Filippo Marzocchi, che si inserisce in un paesaggio urbano notturno disegnando ulteriori tracciati luminosi con una lampada che accompagna i suoi spostamenti.
Insofferenti nei confronti di tanta arte troppo respingente e di ardua decodificazione, alcuni esordienti cercano il coinvolgimento diretto e immediato dello spettatore e concepiscono i loro lavori come strumenti per suscitare una riflessione critica su tematiche sociali ed esistenziali. In questo filone si inseriscono l’Esercizio di Telepatia di Veronica Billi e Chiara Prodi (P420), un libro per due lettori con una storia che diventa comprensibile solo attraverso l’azione congiunta e coordinata di due persone, l’intervento di Giordano Secci (GALLLERIAPIÙ) che invita il pubblico a meditare sul proprio ruolo nel mondo e nel sistema dell’arte scegliendo tra due diversi timbri e la performance di Olivia Teglia che riflette sul labile confine tra normalità e psicopatia recitando i 567 quesiti che dovrebbero individuare questo discrimine in alcuni test di carattere psico-attitudinale. Infine l’arte può essere anche un pensiero leggero e quasi incorporeo che con minimi mezzi (come luci, parole, suoni) è in grado di aprire voragini nelle nostre consapevolezze ed emozioni, come la flebo di soluzione fisiologica di Daniele Di Girolamo che rovescia il suo contenuto a terra invitandoci a riflettere sulla precarietà degli equilibri mentali e biologici che garantiscono la nostra esistenza o la coinvolgente installazione di Irene Fenara (P420) che sembra voler letteralmente rinchiudere il cielo in una stanza avvolgendola di una sognante luce azzurra che rende immanente la lontananza di un pensiero sospeso.
Lucia Fontanelli, Considerazione, 2017 dettaglio, courtesy LABS Gallery ph. credit Alessandro Pastore
Luisa Turuani, Sigh, 2017, granito, bicchieri di plastica, fazzoletti di carta, acqua, courtesy P420
Yongquiang Chen,”La rinascenza | 再生”, 2017, scultura; legno, cera, pigmenti fluorescenti, courtesy GALLLERIAPIÙ
Luca Bernardello, Intervento 44-¦29’32.2_ N 11-¦20’16.1_E, 2017, dettaglio, courtsy LABS Gallery ph.credit Alessandro Pastore
Daniele Di Girolamo, Buona guarigione, 2017, installazione site-specific; dispositivo di sgocciolamento, acqua e sale, courtesy GALLLERIAPIÙ
Irene Fenara, Le interne Differenze, 2017, installazione site-specific, courtesy P420
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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