Tadashi Kawamata (1953) all’età di 28 anni è stato invitato alla Biennale di Venezia. Dopo aver partecipato a Documenta e altre rilevanti manifestazioni internazionali, ha ottenuto grandi consensi in Europa e in tutto il mondo. Oggi è un importante esponente di un variegato filone artistico impegnato a valutare i processi produttivi della società contemporanea e le modalità di partecipazione dell’individuo alla società e alla storia. Il lavoro di Kawamata trascende il settore specifico delle arti visive e si estende a campi come l’architettura e l’urbanistica, la storia, la sociologia, la comunicazione quotidiana e persino le cure mediche.
Nella sesta commissione site-specific per la Oval Gallery del MAAT di Lisbona dove è stato invitato a intervenire, Kawamata si concentra sul tema dell’inquinamento ambientale, riflettendo sulle tematiche del consumo eccessivo, dello spreco e del cataclisma. Come recentemente dichiarato dall’Unione Europea, la plastica scartata produce l’85% della spazzatura nelle spiagge di tutto il mondo. Anche se il problema è costantemente davanti ai nostri occhi e i media riferiscono regolarmente del suo impatto sulla vita marina, tendiamo facilmente a dimenticarcene. Utilizzando i rifiuti di plastica prelevati dalle coste portoghesi dal gruppo attivista Brigada do Mar, un’organizzazione di volontariato che contribuisce regolarmente alla pulizia delle spiagge del Portogallo, e collaborando a stretto contatto con le entità locali e la comunità creativa di Lisbona, l’artista ha creato una grande installazione doppiamente immersiva. Lo spettatore sprofonda letteralmente in un vasto interno scultoreo, ma è anche invitato a immergersi in un’evocazione di un paesaggio marino immaginario in cui, come per effetto di una catastrofe, gli esseri viventi sono stati sostituiti dai relitti della civiltà umana.
Vista dall’alto, l’installazione mostra una sconfinata distesa di rifiuti che sembrano galleggiare su un ampio specchio d’acqua di cui a stento si riesce a intravedere il fondo, al centro del quale è collocata un’imbarcazione in posizione verticale sul punto di affondare. Scendendo le scale che conducono alla sala Oval, il visitatore può osservare lo stesso panorama dal basso, come se fosse un palombaro durante un’escursione sottomarina. Da questo punto di vista, guardando verso l’alto, si vede la luce di superficie filtrare a fatica tra i vari oggetti incagliati in una rete da pesca, la cui ombra sul pavimento assume inquietanti analogie zoomorfe. La meraviglia e lo stupore provocati dalla malata bellezza di quest’ambiente artificiale rendono ancora più intensa la sensazione di soffocamento e desolazione che si prova quando si prende coscienza del significato dell’opera.
Lavorando in una città devastata da un terremoto e uno tsunami, Over Flow rivisita le tradizioni e le opere d’arte giapponesi come La grande ondata di Kanagawa (1829-33) di Katsushika Hokusai. In un’inversione di significato, tuttavia, dove le stampe classiche rappresentavano la minaccia della natura allo sforzo umano, l’ondata di Kawamata ci ricorda come le nostre attuali attività rappresentino una travolgente minaccia per l’ambiente naturale. Al culmine di una carriera di 40 anni che creava installazioni dai detriti urbani, Kawamata ha creato un ambiente che ispira timore. E questo gesto è una questione di necessità. In un momento in cui dobbiamo controllare il nostro impatto sulla stabilità della natura e superare l’indifferenza e l’incredulità su questo argomento, Over Flow rende la coscienza ecologica viscerale e palpabile, come solo la grande arte può fare quando affronta le questioni urgenti dell’esistenza umana.
Come scrive Simon Mittman in Sea Monsters: Things from the Sea (2017) ci accorgiamo che “Stiamo affondando, come individui, come partecipanti in un campo che sta affondando insieme a noi, come membri di una specie e come componenti di una massiccia rete ecologica globale. Ma non stiamo affondando a causa della malevolenza delle forze naturali, non perché la sabbia ha fame per noi e per i nostri cavalli (…) Non stiamo affondando perché le balene e il pesce mostruoso vogliono inghiottirci interi, non perché gli esseri strani del mare ci fanno male, né perché il mare stesso è vendicativo, anche se “l’acqua arriva” e chi potrebbe biasimarlo? Stiamo affondando a causa della nostra fame e insensibilità collettiva.”
Come spettatori dell’installazione di Kawamata, mettiamo in atto una posizione da disastro-turista, che rievoca l’esplorazione della spettacolarità dei siti distrutti – simile alla sottocultura del turismo illegale intorno al sito di Fukushima. È importante chiederci (al di là della semplice contemplazione) come può un’opera d’arte attivare un potenziale rigenerativo latente nel disastro rappresentato. Over Flow funziona come un agente di memoria, una registrazione di un movimento globale continuo che porta all’erosione e alla distruzione e un documento delle potenti interconnessioni tra geografia e storia. Gli atti di distruzione colossale che questa installazione evoca, riverberano tra epoca storica e contemporanea, tra il Giappone e l’Europa per esempio.
Essendo ecologicamente critica, ma trovandosi nel Museo di Arte, Architettura e Tecnologia, l’installazione di Tadashi Kawamata sfida la prospettiva dualistica della natura che si oppone alla città e apre il campo all’ecologia urbana dei quartieri. Infatti il MAAT, posizionato sulle sponde del fiume Tejo vicino al punto di affluenza nel mare, propone un’idea di permeabilità. L’installazione rappresenta non solo ciò che la natura restituisce alla civiltà, ma anche un possibile punto di fusione creativa: il punto in cui il museo e l’installazione stessa possono trasformare e ri-digerire lo status quo, proponendo soluzioni nuove e contro-egemoniche.
Info:
Tadashi Kawamata. Over Flow
4 ottobre 2018 – 1 aprile 2019
MAAT (Museum of Arts, Architecture and Technology) Lisbona
a cura di Pedro Gadanho, Marta Jecu
Progetto realizzato in collaborazione con Gallery Kamel Mennour Paris
For all the images: Tadashi Kawamata, Over Flow, MAAT – Museum of Art, Architecture and Technology (Oval Gallery, 05-10-2018 – 01-04-2018). Photography: Bruno Lopes. Courtesy EDP Foundation.
Laureata in arte contemporanea, collabora con varie gallerie d’arte contemporanea, fondazioni private, centri d’arte in Italia e all’estero.
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