Si è appena conclusa la IV edizione di Panorama, la mostra diffusa organizzata da ITALICS che, attraverso una rete istituzionale di più di 70 gallerie, dal 2020 mette in relazione l’arte antica, moderna e contemporanea con realtà e territori solitamente non inclusi nel folle circuito del turismo di massa.
Un sole timido, in una tiepida giornata di inizio settembre, ha rimarcato l’aspetto contemplativo suggerito dal “cammino di meditazione” disegnato attraverso i quattro borghi del Monferrato, morbidamente adagiati sulle colline e avvolti nel verde dei vigneti a perdita d’occhio. Dopo le esperienze di Procida, Monopoli e L’Aquila, è Carlo Falciani a curare la quarta edizione di Panorama e, per la prima volta, il suo progetto si è visto riconosciuto il privilegio di segmentare ulteriormente il percorso espositivo in quattro tappe e sedici sedi, permeando a tutti i livelli la molteplicità delle cornici selezionate (palazzi istituzionali, dimore private, castelli e ipogei) con il nobile obiettivo di mantenere attivo e vibrante il dialogo con il territorio. La pregevole intuizione del curatore – ispirata al best seller europeo di Stefano Guazzo, La civil conversazione (1574) è stata quella di creare quattro filoni tematici all’interno della rassegna complessiva, per accompagnare il viaggiatore contemporaneo lungo un percorso di progressiva smaterializzazione, attraverso una sessantina di opere. I comuni scelti per la mostra diffusa sono stati Camagna, Vignale, Montemagno e Castagnole, tutti volutamente a pochissima distanza l’uno dall’altro, per consentirne la visita anche in un’unica giornata.
La prima tappa, dedicata al tema di Lavoro e Radici, si è svolta a Camagna, il cui nucleo principale è custodito all’interno dell’Ex Cottolengo, e dove, tra le incudini di anonimi maestri d’armi del secolo scorso, e la serie “Sulle Langhe” di Franco Vimercati, «non è strano percepire ancora delle presenze» ha dichiarato il curatore Falciani. Il dialogo più efficace sul tema, però, è stato certamente quello che ha messo a confronto il territorio piemontese, nella splendida serie fotografica di Moira Ricci (Dove il cielo è più vicino, 2014), con il paziente lavoro di tessitura di Maria Nepomuceno (Untitled, 2010) metafora della trasmissione orale e del perpetuarsi delle tradizioni antiche. Tra le piccole stanze dell’edificio è stata esposta anche la prima edizione del manoscritto di Guazzo che, come un moderno Virgilio, ritorna con il suo libro al centro della scena, nelle sue edizioni successive, anche nelle seguenti tappe.
A Vignale, nella splendida sede di Palazzo Callori, edificio di origine medievale, restaurato di recente e aperto in esclusiva per l’occasione, si è scelto di far dialogare antico e contemporaneo su Ritratto e Identità, temi che godono di ottima salute, nonostante la tradizione millenaria. In questo caso forse il lavoro più significativo che ha riassunto bene entrambi i concetti, è stato il progetto di Susana Pilar (Lo que contaba la abuela…, 2017) che ritraendo sé stessa, sua madre e le donne della sua famiglia, ha occupato una buona parte del piano nobile, in un gioco di specchi immersivo, che ci ha spinto a nostra volta a cercare ciascuno il proprio riflesso, per interrogarci sulle nostre origini e sullo spazio che occupiamo nel mondo. In altre stanze, poco lontano, Vincenzo Agnetti (Ritratto di Equilibrista, 1970; Ritratto di Ignoto, 1971 e Ritratto di Missionario, 1971) e Markus Schinwald (Saks, 2016) riflettono invece per enigmatica sottrazione sul concetto di identità.
Il Castello di Montemagno, nella terza tappa del viaggio, ci ha condotto poi, a una profonda riflessione sui temi di Caducità e Morte, utilizzando ogni superficie a disposizione, soprattutto appropriandosi degli spazi ipogei, appartati nelle cripte, o protetti dai cunicoli delle segrete. In questa occasione, abbiamo respirato la continua tensione tra terra e cielo, tra ciò che è vero, inteso come tangibile e immanente, e ciò che è falso, riferendoci cioè, a ciò che in questa vita è irraggiungibile, dunque spirituale o trascendente. La scultura di Bagnoli intitolata Il Cielo copre, la Terra sostiene, 1989 (2023) per esempio, con la sua forma a “mongolfiera” sembra tendere verso l’alto, a un altrove indefinito, ma le ironiche sculture truccate di Vezzoli (Camelia, 2020) ci riportano al qui e ora, con rimandi al rito funebre, e alla nostra esigua e deperibile dimensione umana. Di grande impatto invece, nello spazio segreto dei Voltoni Scalea Barocca, dove è conservato ancora l’ossario, il dialogo fra il collettivo Claire Fontaine con Untitled (No Present) del 2013) e l’installazione di Marzia Migliora (Prey, 2020) che espone un blocco di salgemma tragicamente arpionato come una balena bianca. Il miraggio del bosco in Run Fast and Bite Hard (entre chain et lup), 2022, suggerito dall’intervento sonoro del rumorista del cinema, Marco Ciorba, avvolge l’ambiente in un’atmosfera surreale, e fiabesca, che conferisce all’opera di Migliora e alla cripta tutta, una connotazione spettrale.
L’ultima tappa, quella della completa smaterializzazione, che si è dipana a Castagnole, è dedicata al tema della Sacralità dell’arte, anche laica. Ed è importante sottolineare questo ossimoro, perché in effetti il piccolo borgo – quasi del tutto spopolato, come i precedenti – colpisce per la commistione tra l’aspetto sacrale delle dimore abbandonate e l’umanità gioviale e rubiconda che si incontra alla spicciolata lungo il cammino. A sottolineare ancora di più questo legame imprescindibile: la presenza costante di felini, che con passo felpato si muovono sinuosi tra le rovine, come eleganti figure ultraterrene, eletti custodi di anime perse, sin dall’antico Egitto. I riferimenti alle “polveri del passato” sono stati raccontati magistralmente nella Casa della Maestra, dalla scultura di Fausto Melotti (Contrappunto Piano, 1973) in dialogo con Giorgio Morandi (Fiori, 1942) e dalla gigantesca opera site-specific di Maria Elisabetta Novello (Nel tempo che tace, 2024) realizzata proprio con la stratificazione della polvere (e del tempo). Il viaggio termina nell’Ex Asilo Regina Elena, dove l’ipnotica installazione sonora di Invernomuto (Pannocchia, 2016-2024) stabilisce un vero e proprio confine tra il mondo dei vivi e l’arte sacra. A lasciarci qualche preziosa riflessione sull’importanza di condividere, e tramandare la storia dei luoghi, per imparare dai nostri errori, il pavimento specchiato di Pirri (Passi, 2024) che con un passo necessariamente incerto, ci conduce all’intervento immateriale di Luca Vitone (per l’eternità, 2013) una stanza che di primo acchito appare vuota, riempita piuttosto di una fragranza pungente – realizzata con erbe aromatiche mescolate all’odore acre dell’eternit – e abitata perciò dall’assenza delle vittime di un nemico invisibile, che in tempi ancora troppo recenti, ha funestato queste zone.
Giulia Russo
Info:
PANORAMA MONFERRATO
Camagna, Vignale, Montemagno e Castagnole
4–8/09/2024
A cura di Carlo Falciani
Italics Art and Landscape
https://italics.art/progetto/
Giulia Russo è autrice e assistente editoriale digital per Juliet, con cui collabora dal 2017. Più di recente è stata contributing editor su temi culturali per diverse riviste, con approfondimenti critici, dedicati ad artisti emergenti e alle nuove frontiere della contemporaneità. Laureata in Storia dell’arte all’Università La Sapienza di Roma, si specializza in Visual Cultures e pratiche curatoriali all’Accademia di Belle Arti di Brera. Di base a Milano, con qualche fugace incursione tiberina, adora ascoltare storie che ogni tanto riscrive.
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