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Parco Gallery: Emanuele Bonetti e Loredana Bontemp...

Parco Gallery: Emanuele Bonetti e Loredana Bontempi raccontano il Graphic Design come esperienza curatoriale

Non lontano dalla Stazione Centrale di Milano si trova lo spazio Parco Gallery, la prima realtà di graphic design e di cultura visiva dedicata alla sperimentazione e all’esplorazione della comunicazione nelle sue molteplici espressioni. Fondata da Loredana Bontempi (1985, Brescia) ed Emanuele Bonetti (1985, Lucca) come spazio espositivo e bookshop di Parco Studio, la galleria si presenta come un luogo di incontro e di confronto in grado di costruire un dialogo dinamico con il quartiere e i suoi abitanti. Fin dal principio lo spazio si contraddistingue per un programma curatoriale ricco di ospiti internazionali e per una propensione verso tematiche sociali quali la sostenibilità, il cambiamento climatico e l’inclusività di genere.

Loredana Bontempi ed Emanuele Bonetti di Parco Studio, © Cartacarbone, courtesy the Parco Studio

Mariavittoria Pirera: Come è nata l’idea di Parco Gallery?
Loredana Bontempi ed Emanuele Bonetti: L’idea di Parco Gallery nasce nel 2017 – per poi concretizzarsi nel 2018 – come progetto parallelo dello studio con cui ancora oggi ci occupiamo di grafica e comunicazione visiva. Sentivamo il bisogno di un luogo dove parlare di grafica, in primis con la comunità della grafica milanese e italiana, provando a scardinare la logica della diffidenza reciproca in funzione di una crescita collettiva, ma anche con gli studenti e le studentesse oltre che con le persone che abitano Milano. Avevamo però bisogno di parlarne a modo nostro. Di uscire dal racconto della grafica che troppo spesso fa riferimento alla tradizione italiana dimenticandosi di guardare anche a cosa succede oggi fuori dai nostri confini, ma anche di uscire dalla dinamica di rappresentazione – o meglio di fruizione – della grafica che si sarebbe affermato con sempre più forza da lì a poco attraverso i social network per raccontare della grafica come di un qualcosa che può essere toccato, vissuto, di cui si può fare esperienza.

Team Thursday, Sungazing, installation view at Parco Studio, courtesy the Parco Studio

Come si sviluppa una mostra di graphic design?
Invitiamo designer e studi di design di cui ammiriamo il lavoro. Il primo contatto avviene via mail e – fatta eccezione per pochi casi specifici – si tratta di professionisti e professioniste con cui non abbiamo mai parlato prima. La cosa che ogni volta ci sorprende è l’entusiasmo con cui la proposta viene accolta. Da lì comincia il confronto, quasi sempre a distanza, tra noi e i designer coinvolti, a cui cerchiamo di lasciare la massima libertà da un punto di vista formale confidando sul fatto che il portfolio di chi viene invitato sia una garanzia sufficiente sulla qualità finale del progetto. Noi stessi siamo due designer: negli scambi con i professionisti invitati finiamo inevitabilmente per interpretare diversi ruoli, come committenti, curatori, designer. Crediamo molto nella collaborazione e crediamo che dal confronto, dalla discussione sulle reciproche posizioni nascano i risultati migliori, ma questo tipo di approccio richiede una certa disponibilità e apertura da parte di tutte le parti coinvolte. Non a caso le mostre di cui siamo rimasti più soddisfatti sono state anche quelle più divertenti, fatte insieme a chi ha deciso di aderire completamente al progetto di Parco Gallery. Quando arriva il momento dell’allestimento, sempre molto a ridosso della data di inaugurazione, è la prima volta che ci vediamo di persona, e anche se ci si è confrontati solo poche volte, in call o via mail, sembra di conoscersi da molto più tempo.

Team Thursday, Sungazing, installation view at Parco Studio, courtesy the Parco Studio

Il vostro programma espositivo include sia grafici italiani sia gruppi internazionali. Con quali criteri vengono selezionati i diversi ospiti? Esiste una linea tematica comune?
L’intenzione originale di Parco Gallery era quella di guardare il più possibile all’estero, poi il 2020 ha inevitabilmente cambiato i nostri piani e mentre da un lato ha reso più difficile collaborare con l’estero, dall’altro ha risvegliato in noi la necessità di dialogare maggiormente con la scena italiana e locale. Non esiste una linea tematica comune, o almeno non una consapevole. A guardare a ritroso alla produzione di questi primi cinque anni il tratto sicuramente condiviso è la possibilità di sperimentare e provare al di fuori di una committenza, la libertà! Allo stesso tempo cerchiamo di fare in modo che ogni mostra possa essere un’occasione per riflettere sul ruolo del graphic designer nella contemporaneità, oltre che sulla grafica e la sua relazione con gli esseri umani. Quante e quali forme può prendere la grafica? Come influenza le nostre emozioni? Cosa racconta di noi, delle nostre città, della società in cui viviamo? Qual è il confine tra contemporaneità e moda? Questo ci interessa molto, riflettere sul presente senza inseguire l’ultimo trend.

Trecentosessantamila, 2021 © Cartacarbone, courtesy the Parco Studio

Rispetto ad altri linguaggi visivi più immediati, la grafica può presentarsi come un codice comprensibile solamente a un pubblico ristretto, come professionisti del settore. Quali sono gli espedienti che adoperate per interfacciarvi con i visitatori meno esperti?
In realtà crediamo che tutti siano abituati a interfacciarsi quotidianamente con la grafica: la grafica è ovunque e chiunque ci interagisce costantemente, ma vive ancora nell’ombra dei suoi parenti ritenuti più nobili, come la moda, il design del prodotto, o più immediatamente riconducibili a un concetto comune di arte, come la fotografia o l’illustrazione. Mettere la grafica in mostra significa estrapolarla dal suo ambiente naturale e probabilmente è questo che genera un leggero straniamento. Accogliamo i visitatori nel nostro spazio che affaccia direttamente sulla strada e raccontiamo i dettagli dei progetti, delle ricerche che ci sono dietro, degli autori. Non siamo sicuri di riuscire a rendere comprensibile questa forma d’arte, ma quantomeno cerchiamo di incuriosire, di trasmettere la nostra passione, di renderla affascinante, di invitare a guardarla in modo diverso.

Patrick Thomas, 2022, In situ © Cartacarbone, courtesy the Parco Studio

Oggi c’è una propensione alla semplificazione per rendere contenuti complessi più accessibili, tuttavia tale processo equivale spesso a una riduzione del linguaggio.
Pensiamo per un secondo a quant’è il tempo medio di permanenza sullo schermo di un post mentre scorriamo il feed del nostro Instagram. Pochi secondi. In quel breve tempo dobbiamo essere in grado di attrarre e essere compresi. Questa logica permea ogni aspetto della società in cui viviamo, andiamo veloci, velocissimi, per questo le informazioni che ci arrivano devono essere semplici, immediatamente comprensibili, incasellabili. Il racconto della complessità viene meno, possiamo essere una cosa e una soltanto. Con Parco Gallery rivendichiamo il diritto ad essere complessi, variegati e sfaccettati, a mettere in mostra la ricerca iper-formale di alcuni studi di design e ospitare eventi di attivisti, a esporre sullo stesso scaffale un libro sul cyberfemminismo e una scimmia di peluche.

Il bookshop di Parco Gallery, 2022 © Cartacarbone, courtesy the Parco Studio

Parliamo di Hotpot, come si articola e quali sono i suoi obiettivi?
Hotpot è il progetto editoriale di Parco Gallery, ogni sei mesi un editor esterno pubblica un saggio di teoria e/o critica del design. Ogni saggio viene diviso in tre parti che escono tramite newsletter ogni due mesi, al momento dell’uscita di ogni nuovo capitolo, il capitolo precedente viene reso disponibile sul sito di Parco Gallery. È uno strumento di ricerca e di approfondimento, se le mostre e gli eventi che abbiamo ospitato dal 2018 spesso pongono l’accento sulle numerose pratiche del design grafico, Hotpot permette di recuperarne teorie e storie, con lo stesso spirito: un dialogo tra il curatore, la curatrice e i loro e le loro ospiti, aperto verso la comunità del design italiana e internazionale. La distribuzione tramite newsletter permette di raggiungere un pubblico che ha deliberatamente scelto di aderire e che supponiamo possa essere contento di affrontare una lettura più lunga e impegnativa che speriamo possa essere interessante e stimolante.

Raissa Pardini, Musica, musica, musica, 2019 © Matteo Girola, courtesy the Parco Studio

Potete fornirci qualche anticipazione sul prossimo numero?
Siamo molto felici di ospitare per il prossimo numero, che uscirà a settembre, Vera Sacchetti, critica, ricercatrice e curatrice di design portoghese di base a Basilea. Vera è attualmente coordinatrice del programma dell’iniziativa di ricerca multidisciplinare Driving the Human: Seven Prototypes for Eco-social Renewal, co-iniziatrice della piattaforma Design and Democracy e docente alla HEAD di Ginevra. Il saggio di Vera non ha ancora un titolo, ma possiamo già dire che sarà un’analisi – articolata tra passato, presente e futuro – dei meccanismi di “invisibilizzazione” del lavoro delle donne nelle discipline creative, che punterà ad allargarsi a tutte quelle categorie che sono state storicamente ignorate in un mondo compromesso dalla supremazia del maschio bianco occidentale eterosessuale.

Info:

www.parcogallery.it


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