A partire da tre scene audiovisuali Slapping Power, Parricidio y Las Dictadoras, l’artista venezuelana Deborah Castillo (Caracas, 1971), nella mostra Parricidios promossa dal Museo de Arte Carrillo Gil di Città del Messico, indaga sulle conseguenze delle aspirazioni socialiste, sui cambi geopolitici, sul concetto di potere e sulla sua mitizzazione, mettendo in scena rovine ideologiche con una rigorosa e disciplinata lucidità.
Dissolvendo il potere significante e ammaliante delle icone, l’artista ricostruisce la storia contemporanea attraverso l’azione artistica scuotendo l’immaginario collettivo con rappresentazioni fortemente emotive. Si assiste a un crollo di ordine non solo estetico ma ideologico della simbologia e iconografia del potere.
C’è spazio, per esempio, per l’implosione del patriarca-eroe che incarna nel suo personaggio non solo la dittatura presente, ma tutte le dittature che storicamente lo hanno preceduto. Lo spettatore, ma anche civis, è spinto a una reinterpretazione degli avvenimenti sociali e delle teorie ideologiche che sono parte della sua appartenenza al contesto socio-culturale.
Allontanandosi dall’ideale democratico, l’azione politica ha spesso ceduto alle lusinghe del potere, del desiderio e dell’avidità inseguendo una fugace e simulata utopia di immortalità. Ci ricorda questo la Castillo, e lo fa senza indugiare un secondo. In Parricidio, la costruzione del potere è dunque una presentazione estetica e onomatopeica, giocata sugli effetti visivi della percezione, ma anche una ampia e solida riflessione, che si esprime attraverso una ricerca di ordine iconoclasta presentata in tre diverse ma coerenti situazioni.
Con la distruzione materiale dell’immagine iconica, si disintegra infatti la sua aura cultuale, frutto di secoli di mistificazione collettiva. Si riflette criticamente sui patriarchi della storia recente, sulle vecchie e nuove mitologie del potere. Ma l’origine, il padre simbolico degli eventi, da cui e in cui ciascuna storia è generata, è anche la “patria” con cui il termine condivide la stessa radice etimologica. Una patria in cui il concetto di democrazia, di cui riconosciamo quasi passivamente la presenza nelle nostre biografie sociali, quasi come portatori sani di un’ideologia condivisa, è presentato al contrario come una chimera, forse la più grande. Ed è qui che riflettiamo sulla reale percezione di questo valore collettivo interrogandoci sulla nostra attualità sociale. Non c’è nostalgia o proiezione verso il futuro, solo osservazione critica.
E la Castillo, che vive e lavora da qualche anno a New York, volge lo sguardo alla sua patria caricando la sua opera di un significato che abbraccia tanto la specificità della situazione venezuelana quanto i diversi eventi che si verificano storicamente alle più svariate latitudini del globo.
Slapping Power (2015) è per esempio un lavoro documentario che deriva da una performance in cui l’artista attacca in segno di sfida e dissenso i simboli che incarnano la nazione, il potere o il patriarca ideologico. In Parricidio (2017) l’azione è diretta verso un monumento ibrido formato dal corpo di Simón Bolívar e la testa di Lenin come personaggi del mito. In Las Dictadoras (2017) si mettono in scena gli stereotipi del potere che muovono la storia attraverso azioni e gesti diretti da cinque corpi femminili che incarnano parodicamente Zedong, Marx, Stalin, Lenin e Castro.
L’emblema lapideo saturo di energia storica, di significati, di apparente trascendenza, diviene bersaglio di un’operazione critica e materica, veicolata e tramandata alla posterità dal supporto multimediale che svilisce concretamente e simbolicamente l’immaginario del potere.
Sin da epoca remota, le vicende della storia romana ricordano che il parricidio era concepito come un crimine grave diretto contro un consanguineo o familiare stretto. Non sarà forse che il recupero dell’ideale puro nascosto nell’etimologia degli accadimenti richieda una riflessione nuova, eliminando, facendo implodere luoghi comuni familiari consolidati da secoli? Su questi e altri temi, l’arte della Castillo rappresenta senz’altro un input di riflessione che non lascia indifferenti.
La mostra promossa dal Museo de Arte Carrillo Gil di Città del Messico sarà visitabile sino al 4 novembre 2018.
Giuliana Schiavone
Info:
Deborah Castillo, Slapping Power, 2015, sequenze. Courtesy of the artist and MACG, Città del Messico
Deborah Castillo, Slapping Power, 2015, sequenze video. Courtesy of the artist and MACG, Città del Messico
Deborah Castillo, Las dictadoras, 2017. Courtesy of the artist and MACG, Città del Messico
Deborah Castillo, Slapping Power, 2015. Courtesy of the artist and MACG, Città del Messico
Storico dell’arte, critico e curatrice indipendente. Lavora attivamente in progetti dedicati alle arti visive occupandosi in particolare di scrittura critica e comunicazione. Attualmente vive in Messico dove lavora come docente universitario di Gestione delle Arti Visive. Parallelamente al suo percorso di studi in Storia dell’arte, archeologia e curatela di eventi culturali, si é diplomata in canto jazz presso il Conservatorio di Bari N. Piccinni. Al centro dei suoi interessi si incontrano le manifestazioni artistiche connesse alla relazione tra musica, voce e suoi aspetti rituali e iconografici.
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