Nel suggestivo carteggio tra i poeti americani Robert Lowell ed Elizabeth Bishop, quest’ultima, raccontando il particolare legame con la scrittura epistolare, afferma: «scrivere lettere è sempre pericoloso, in ogni caso – gravido di minacce»[1]. Parimenti è quanto caratterizza il pittore Pesce Khete (Roma, 1980), il quale approccia la ricerca pittorica come se fosse un esercizio di scrittura: eseguita su carta, con supporti disposti in orizzontale, partendo sempre da un verso per procedere in maniera libera verso tutta la superficie disponibile. Paradossalmente, con tali modalità il trionfo totale delle regole desunte dalla pratica scrittoria conducono l’artista altrove, sino a perseguire un’azione che non ha più a che fare con tali principi.
Così OLDIES but GOLDIES, personale di Khete curata da Cecilia Canziani alla galleria COLLI di Roma, in programmazione fino al 31 luglio 2024, è l’autentica dimostrazione di un pittore che agisce per azioni opportunistiche, beninteso da intendere quest’ultima come la necessità di lavorare senza prerogative, secondo istantanee convenienze, senza alcuna predeterminazione, facendo solo ciò si ritiene opportuno fare nel momento della realizzazione. Inoltre, quanto in mostra propone il lavoro dell’artista diversamente dal suo solito: le carte, infatti, non sono srotolate dal soffitto verso il terreno, bensì appese e incorniciate senza vetro. Nondimeno, considerando la componente incerta della pratica di Khete, che mantiene l’opera come un campo aperto, è da notare quanto l’allestimento proposto risulti sin troppo equilibrato, poiché l’omogeneità allestitiva avrebbe potuto essere controbilanciata dall’imprevedibilità di ulteriori elementi.
Tuttavia, l’artista nel perseguire un’immaginazione attiva e vibrante assieme a un naturale e semplice aderire alle più elementari regole della scrittura, fa emergere una pittura che cattura impulsi variabilmente controllati, di tanto in tanto traccianti figure appena riconoscibili. Perciò Khete, la cui mano lavora alla pari di un mulinello all’aria aperta, delinea con naturalezza associazioni tumultuose, raccogliendo cascami e rimasugli di colori che si orientano e snodano nella logica di un foglio vuoto con minime coordinate visive fisse. A tal proposito, da quanto afferma l’artista, in tale processo ha un valore fondamentale la pratica del disegno, che gli ha permesso di orientarsi in maniera naturale negli spazi vuoti del supporto cartaceo. Da ciò deriva la sua capacità di saper gestire la pittura come un automatismo, che giocoforza non ostacola, equilibrando invece il libero abbandono alle forze più profonde facendole emergere in un groviglio informe e capriccioso. Va da sé che serve studiare le opere in mostra come forme aperte, per cui più sono prive di figurazione più risultano animate e vibranti, ma rimane ancor più opportuno considerarle come un’apertura verso un immaginario in cui la carta non supporta, bensì svela una scrittura pericolosa, in quanto impulsiva e pregna di significati altrimenti irraggiungibili. Inoltre, l’artista non scivola verso un edonismo figurativo, anche perché le carte risultano insolubili enigmi, in cui si incontrano diverse energie, alcune oscure e altre ancora variabilmente luminose.
Perciò quanto emerge dal progetto espositivo è il costante lavorio di un mulinello che alcune volte porta fuori orbita i tratti, dimodoché la carta si pone come un mare senza confini, in cui si incontrano la sperimentazione, l’azzardo e una convinta inclinazione alla ricerca. In quest’oscillazione identitaria Khete esprime il senso di un’ostinata avventura verso un inesplicabile addensarsi di pensieri e scritture in libertà, così ogni traccia apre brecce verso scenari convulsi, sino a introdurci in inaspettati stati d’animo. Inoltre, nel vuoto della carta tracciata per mano di segni maldestri, il soffio del vento che muove il mulinello della mano dell’artista, oltre a raccogliere il conseguente cascame, sposta tracce, delineando così suggestivi strappi, per cui la materia pittorica è pari a un dare per risparmiare, sinonimo di un’attitudine disarticolata che frammenta anziché unire. Sicché le forme tagliate da Khete suggeriscono la postura fisica verso il supporto, per cui egli lavora l’amata carta in orizzontale, con un misto di rispetto e disinvoltura, prelevando a tratti solo alcuni brandelli del proprio mondo così da creare territori autonomi, forme fluttuanti, transeunti, immobili, maggiorate quali forme espressive.
Quella di Khete è una presa di contatto diretta con il mondo, un non arrendersi alla pericolosità della sua scrittura, per abbracciare volontariamente la ricerca di una lacerazione come unico disegno interpretativo che intende risalire a un solo elemento: l’informe. Perciò è indubbio il rapporto specifico con i colori capaci di creare un affascinante disequilibrio, in particolare nell’unica opera verticale esposta, in cui v’è una splendida alternanza dell’uso del giallo, presente nelle tonalità del cadmio e dello zolfo tipico delle tracce di zinco, capaci di creare nell’insieme un affascinante disequilibrio. Appare dunque chiaro che l’intenzione dell’artista è quella di ridurre sino a eliminare l’elemento inessenziale, e infatti nelle altre carte hanno valore fondate le modulazioni coloristiche: i teneri e acidi toni dell’arancio e il raggiante fascino ipnotico della materialità dei verdi. Quella di Khete è una pratica, in altri termini, in cui si riscontra l’azzardo pittorico più avanzato, laddove si colgono meditazioni e solchi di una scrittura pittorica che sgorga alla pari di un flusso intenso e nutriente. Un dubbio come atto quasi temerario, un concretissimo fare in cui si alternano istanti di quiete e momenti di tensione. Per Khete, da ultimo, dipingere equivale alla necessità di dominare i requisiti di una scrittura del tutto pericolosa, fendente verso le certezze e solo all’apparenza caotica.
Maria Vittoria Pinotti
[1] Elizabeth Bishop, Robert Lowell, Scrivere lettere è sempre pericoloso, Adelphi, 2014, p. 246
Info:
Pesce Khete. OLDIES but GOLDIES
a cura di Cecilia Canziani
08/05/2024 – 31/07/2024
COLLI
Orari di apertura: dal martedì al sabato dalle 15.00 alle 19.00
Via di Monserrato, 103 Roma
https://www.colli-independent.com/
Maria Vittoria Pinotti (1986, San Benedetto del Tronto) è storica dell’arte, autrice e critica indipendente. Attualmente è coordinatrice dell’Archivio fotografico di Claudio Abate e Manager presso lo Studio di Elena Bellantoni. Dal 2016 al 2023 ha rivestito il ruolo di Gallery Manager in una galleria nel centro storico di Roma. Ha lavorato con uffici ministeriali, quali il Segretariato Generale del Ministero della Cultura e l’Archivio Centrale dello Stato. Attualmente collabora con riviste del settore culturale concentrandosi su approfondimenti tematici dedicati all’arte moderna e contemporanea.
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