Michelangelo Pistoletto è certamente uno degli artisti italiani più apprezzati in ambito internazionale grazie all’originalità del linguaggio, alla qualità delle realizzazioni e alle coinvolgenti operAzioni attuate con straordinario impegno socioculturale ed etico.
Con la mostra Ettore Olivero Pistoletto – Michelangelo Pistoletto. Padre e Figlio, a cura di Alberto Fiz, che sarà presentata a Milano (Villa Necchi Campiglio) il 19 marzo, aperta dal 19 aprile al 13 ottobre a Biella (Palazzo Gromo Losa e Cittadellarte-Fondazione Pistoletto) e a Trivero (Casa Zegna) – egli ha voluto rivisitare alcuni momenti del rapporto con il padre che hanno dato origine alla sua intensa attività artistica. Nell’intervista che segue ha esplicitato, in anteprima, le motivazioni utili a delineare l’identità più profonda della sua opera multiforme.
Una seconda parte – che tocca altri aspetti fondanti del suo lavoro in continua espansione e sempre attuale – apparirà nel prossimo numero di “Juliet” a stampa, che uscirà ai primi di giugno.
Luciano Marucci: La mostra Padre e Figlio, nell’individuare i particolari legami con tuo padre, assume anche una valenza simbolica in senso etico?
Michelangelo Pistoletto: Certo! Direi che c’è un forte legame in senso etico ed estetico: una trasmissione estetica dell’arte ed etica del rapporto interumano.
Oltre a offrire materiali visivi intriganti, stimola una riflessione su certi valori del passato necessari a nutrire il presente e a progredire?
Per me il rapporto con il passato è importante; tutto il mio lavoro è basato sull’arte come raffigurazione. Ho preso da mio padre la capacità di intendere l’arte figurativa e ho continuato su questa linea. Però c’è una differenza enorme tra il lavoro di mio padre, che è prefotografico, perché faceva una pittura raffigurativa prima della crisi portata dalla fotografia e il mio che recupera la fotografia dopo quello che c’è stato con il movimento moderno. E proprio lo spazio della modernità mette in relazione noi due, pur nella distanza di tutta la storia moderna. Penso che la mostra presenti somiglianze e dissomiglianze; un recupero del padre attraverso la necessità di una congiunzione tra il grande passato e un possibile futuro.
Quanto ha inciso nella tua pratica artistica lo studio del passato?
Moltissimo; non soltanto attraverso l’insegnamento paterno, ma anche con il restauro dei quadri antichi che mi ha permesso di conoscere tecnicamente, oltre che visivamente, i vari tempi della storia. Però anche la techno mi ha dato la possibilità di passare a una tecnologia dell’opera che io stesso ho messo a punto.
Dell’archivio di tuo padre cosa è passato nel tuo?
Quando mio padre è mancato, ho acquistato dalla sua vedova – perché a settant’anni si era risposato – una ventina di opere che, secondo me, sono le più importanti del rapporto padre-figlio, quelle che ha realizzato a partire dal ’68, quando io ho cominciato a seguire i miei consigli.
Però l’eredità più profonda è nel DNA ed è preservata nella memoria.
La memoria nei miei quadri specchianti convive con un presente che si rinnova continuamente. La memoria per me è la fotografia che, con il fondo specchiante, crea una dualità sempre differente; un momento del presente che diventa passato e si fa memoria. Presente, passato e futuro sono tre elementi che convivono nelle mie opere. Il lavoro con mio padre è in qualche maniera un rendere quasi ideologico il riflesso temporale.
Ritieni che l’esposizione possa aiutare a definire maggiormente la tua identità di uomo e di artista?
Penso di sì. Sviluppo sempre più il concetto di artista non autoreferenziale, ma di attivatore di rapporti che in questo momento porto avanti con il Terzo Paradiso, con l’idea della dualità che produce nuove situazioni. Il primo paradiso, quello naturale; il secondo, quello artificiale; insieme generano il terzo. È la congiunzione dei due elementi che crea la terza situazione. La società si forma mettendo in connessione persone e situazioni diverse, quindi, per creare un mondo nuovo non occorre solo l’individualità, ma anche la dualità.
In fondo hai voluto realizzare una sorta di retrospettiva ideale che riparte dalle tue radici.
Mi sembrava interessante partire dalle origini e stabilire un legame tra passato e futuro. Per esempio, ho preso un disegno che mio padre aveva fatto di me quando avevo tre mesi e l’ho fatto diventare un autoritratto attraverso mio padre. L’ho visto come possibilità – quando io non avevo capacità di intendere né di realizzare un’opera – che mio padre l’abbia fatto per me. Mio padre come specchio e, nello stesso tempo, come mano che mi permette di vedermi attraverso lui.
La connessione tra le due epoche ri-visitate, materializzata da un insolito format espositivo, rientra nella filosofia trasformativa della tua attività? Dal lato rappresentativo cosa hai privilegiato?
Nell’esposizione ci sono i lavori sia di mio padre sia miei, ma anche vari documenti fotografici. È la storia di una vita; un album dove i documenti della vita reale si legano con quelli delle opere presenti. In una fotografia si vede mia madre che mi tiene in braccio quando avevo tre mesi e sullo sfondo un quadro dipinto da mio padre. Io sono riuscito a recuperarlo e l’ho esposto a fianco della fotografia. È un documento di vita divenuto parte di questa esposizione, che di per sé può configurarsi come opera.
In cosa si differenzia la mostra da quella di Torino del 1973?
Nel 1973 c’erano alcune opere che mio padre aveva dipinto per l’occasione con dei recipienti specchianti nei quali si vedeva la sua immagine riflessa dentro gli oggetti. Poi c’erano i miei quadri. In questa mostra, invece, ho voluto tracciare un percorso storico, dagli anni Trenta a oggi.
Sottende un’interazione tra l’autoritratto soggettivo e quello oggettivo del mondo?
Esatto! Proprio così.
Nella fase attuale del lavoro, caratterizzata da azioni responsabili per il cambiamento della società attraverso idee e progetti creativi, non c’è alcun riferimento alla situazione sociopolitica e culturale del momento?
Tutto è legato alla situazione sociopolitica. L’attualità del lavoro di Cittadellarte consiste nel mettere i giovani in rapporto con la scuola, con l’università e anche con la gente comune per sviluppare la conoscenza, la coscienza del momento attuale e, nello stesso tempo, trovare un modus operandi che chiamiamo la “democratica”.
Cerchi di rimanere fuori dal contesto politico facendo valere le potenzialità della Cultura?
La politica politicata è in crisi, ma a Cittadellarte non facciamo azione politica. Lavoriamo per formulare delle proposte. La creazione è “proposta”, non soltanto “critica”. Ma la proposta non è attuata direttamente nel senso politico odierno che richiede il cambiamento. Stiamo operando su una visione differente da quella corrente con delle definizioni pratiche, non solo ideali.
Nel tuo caso l’intelligenza è un catalizzatore essenziale del processo creativo?
L’intelligenza è il motore dell’essere umano, la base di tutto. È chiaro che va considerata secondo due punti fondamentali: l’emozione e la ragione. L’emozione senza la ragione è addirittura pericolosa; lo stesso può dirsi per la ragione. Nel Terzo Paradiso il simbolo trinamico vuole dire che ci vogliono sempre due elementi esterni: i due cerchi, che si devono comporre al centro per dare vita a una situazione inedita.
Quindi la tua non è un’arte per l’arte.
Non è assolutamente autoreferenziale; è fenomenologica. Il mio intero lavoro può essere considerato scientifico.
Ma cos’è che ti fa rimanere attuale?
Dare il massimo di me stesso per il noi.
[…]
a cura di Luciano Marucci
7 marzo 2019
“Autoritratto” di Ettore Olivero Pistoletto, dipinto nel 1958; a fianco un ritratto fotografico del figlio Michelangelo realizzato da Piero Martinello (courtesy Archivio Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella)
Michelangelo Pistoletto nella sua abitazione a Cittadellarte (courtesy Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella; ph Pierluigi Di Pietro)
Michelangelo Pistoletto, “Mobili capovolti”, 1976 (courtesy Archivio Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella; ph Archivio Pistoletto)
Michelangelo Pistoletto, “Il disegno dello specchio”, 1979 (courtesy Archivio Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella; ph Archivio Pistoletto)
Veduta di una sala di Cittadellarte con le opere di M. Pistoletto (courtesy Archivio Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella; ph Eleonora Angius)
Michelangelo Pistoletto, “Ragazza che fotografa”, 1962-2007 (courtesy Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella; ph Pierluigi Di Pietro)
Sono Luciano Marucci, nato per caso ad Arezzo e ho l’età che dimostro… Dopo un periodo in cui mi sono dedicato al giornalismo, all’ecologia applicata, all’educazione ambientale e ai viaggi nel mondo, come critico d’arte ho collaborato saltuariamente a riviste specializzate (“Flash Art”, “Arte e Critica”, “Segno”, “Hortus”, “Ali”) e a periodici di cultura varia. Dal 1991 in “Juliet Art Magazine” (a stampa e nell’edizione on line) pubblico regolarmente ampi servizi su tematiche interdisciplinari (coinvolgendo importanti personaggi), reportage di eventi internazionali, recensioni di mostre. Ho editato studi monografici su artisti contemporanei e libri-intervista. Da curatore indipendente ho attuato esposizioni individuali e collettive in spazi istituzionali e telematici. Risiedo ad Ascoli Piceno.
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