Placeholder Sculptures, personale di Francesco De Prezzo in corso presso lo spazio FORM (Wageningen, NL) fino al 25 luglio, è un progetto che si muove sul crinale franoso che intercorre tra l’opera d’arte e la sua percezione, indagando la relazione tra contenuto e modalità d’esposizione. Una mostra che permette, quindi, di interfacciarsi costruttivamente con l’azione di fattori silenziosi e la cui influenza, pur essendo determinante, è spesso relegata a latere della narrazione principale di un’operazione espositiva.
Davide Silvioli: Nel vivo di un’attualità caratterizzata da un regime espositivo ad alta frequenza e spesso omologante, quali sono le ragioni alla base di un progetto come questo, che va a questionare il rapporto tra opera d’arte e fruizione?
Francesco De Prezzo: Il mio rapporto con l’arte si complica da quando ho iniziato a studiare i libri di storia dell’arte, rendendomi conto che stavo osservando immagini di opere e non opere. A quel punto mi sono chiesto quale fosse il ruolo degli storici, degli editori e del pubblico nei confronti di quelle immagini che dovevano essere le protagoniste della narrazione che stavo leggendo. Ogni opera perviene ai nostri occhi attraverso lo scatto di un fotografo che ne decide la posa, la luce, la centralità, e così via. Bisogna constatare, quindi, che esiste un aspetto di forze collaterali che definiscono e modulano quella che siamo abituati a chiamare “opera”, pittura o scultura che sia. E, ogni scelta, anche minima, di questi aspetti collaterali che circondano l’opera ha un effetto diretto sulla lettura del lavoro, nella stessa misura in cui, per fare un esempio, parlando al bar con un amico ci si possa incuriosire di un’opera, una mostra o a qualsivoglia questione artistica. Il linguaggio visivo, come le parole, non significa niente, è il contesto ad attivarlo. I cavalletti fotografici presentati in Placeholders Sculptures sembrano sostituire, o meglio, anticipare con la loro presenza la collocazione di opere future, qualcosa di più vicino a una costruzione scenica, piuttosto che una presenza. Di fatto, una mostra senza opere o, se preferiamo, con oggetti che si comportano come opere.
Abituati prevalentemente a vedere opere allestite a parete, lo spazio espositivo, in Placeholder Sculputures, a primo impatto, restituisce un senso di assenza. Allora, a fronte della tua ricerca in ambito pittorico, pensi sia plausibile sostenere che tra la rimozione del soggetto distintiva della tua pratica in pittura e la soppressione, qui avvenuta, delle convenzioni normalmente a costituzione di una mostra ordinaria sussista un qualche grado di parentela?
La rimozione del soggetto dalla pittura o l’assenza della scultura in una mostra non sono solo strategie di negazione, ma anche modi di richiamare l’attenzione sui processi, le relazioni, i contesti che formano la nostra esperienza con l’arte. Quindi esiste un parallelo. Le sculture segnaposto e il processo di cancellazione in pittura sono manifestazioni derivanti dello stesso intento, quello di fare spazio, in potenza, a un collaterale percettivo. Sembra esserci un’estetica dell’indeterminazione e dell’apertura, che invita lo spettatore a confrontarsi con qualcosa che potrebbe cambiare forma o sovvertire le sue aspettative a seconda di come lo si definisca attraverso lo sguardo.
Nella configurazione generale del progetto, foriero di una dimensione estetica in grado di raccordare oggetto, approccio concettuale, spirito analitico, lettering, surrealtà e metafisica, i segnaposto si qualificano come opera in sé oppure, ammesso che abbia senso eseguire questa distinzione, l’operazione artistica vera e propria è da rintracciarsi nell’integrità dell’intervento?
Le Placeholders Sculptures non costituiscono sculture in senso tradizionale, ma piuttosto delineano un’interazione tra spettatore, spazio e aspettativa: sono molto più di un’opera. L’operazione allora non si esaurisce nei segnaposto, ma risiede nell’integrità dell’intervento, nel dialogo tra questi elementi e nel modo in cui prendono e marcano una posizione, suggerendoci qualcosa, ma a voce molto, molto bassa; qualcosa a sottile intensità, che richiede un ascolto aperto e posizionato su un livello diverso.
Pertanto, forse, in questa circostanza, per intraprendere adeguatamente i contenuti del progetto, ragionare sull’opera, sullo spazio e sulla mostra considerandole come tre cose differenti perde di senso, così come parlare di contenuto e contenitore. Quindi, qual è stato, qui, l’oggetto effettivo del tuo lavoro? La scelta di un elemento di per sé enigmatico come i segnaposto, oppure lo spazio fisico in relazione al loro posizionamento, il contesto nel suo insieme, o la risposta da parte del pubblico?
Esatto, non ha senso scollegare tutte queste cose: l’oggetto del mio lavoro racchiude la relazione tra questi elementi. Hai mai visto un oggetto staccarsi dalla propria ombra? L’impegno di ogni spettatore nei confronti di ciò che chiameremo opportunamente “opera” è, in verità, un processo spesso inconsapevole e plasmato da svariati elementi. Il visivo è piuttosto un fatto socialmente negoziabile.
Decostruendo, così, la teoria e la prassi a monte di un apparato espositivo consueto, Placeholder Sculputures, pur in controluce, vuole anche mettere in discussione i sistemi tradizionali con cui si propone e si legittima la produzione artistica?
C’è un’importante questione intrinseca ai meccanismi esistenti che regolano il mondo dell’arte, le gerarchie di spazio e valutazione, le modalità di presentazione, la tendenza a ridurre le opere a degli “interstizi”. Questo progetto cerca di strisciare fra questi aspetti mostrandoci una modalità di presentazione come se fosse una mostra. Spostando quindi l’attenzione dalla singola opera alla relazione che si instaura tra l’oggetto, lo spazio espositivo, e lo spettatore. Perché, a volte, prima dei contenuti vincono le modalità e prima delle sculture vengono le loro posizioni.
Davide Silvioli
Info:
Francesco De Prezzo, Placeholder Sculptures
19/06/2023 – 25/07/2023
FORM Space
Wageningen, NL
formatspace.org
Critico d’arte contemporanea e curatore, ha curato mostre in gallerie, spazi indipendenti e istituzionali. Ha tenuto conferenze in Italia e all’estero. Suoi testi e ricerche sono pubblicati su cataloghi, magazines di settore, edizioni di gallerie e monografie. È curatore di archivi d’artista, contributor di riviste e uffici stampa specializzati. Collabora con fondazioni, musei pubblici, case editrici e università a progetti di ricerca e curatoriali.
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