Presso le Gallerie delle Prigioni a Treviso una mostra racconta la poesia visiva, forma d’arte rivoluzionaria che ha iniziato a svilupparsi negli anni Cinquanta come parte del movimento europeo della neoavanguardia. Strettamente legata alla collezione Imago Mundi, Visual Poetry in Europe, composta da 210 lavori e prima collezione del progetto della Luciano Benetton Collection che non si focalizza su una singola nazione ma approfondisce un movimento artistico emerso contemporaneamente in più paesi europei, la mostra Poetic Boom Boom, curata da Mattia Solari, si concentra quindi su un movimento storico: la poesia visiva, ibrido di arte e comunicazione, che presenta una selezione di 44 opere realizzate tra gli anni Sessanta e i giorni nostri con tecniche come stampa, fotografia, scultura, installazioni, video e performance.
I popoli, i partiti, le masse sono gli eroi del nostro tempo, scriveva Heine, mettendo in una scatola accessibile dell’armadio il romanticismo. E se ora si vive quello strascico pesante, facendo però lo slalom fra le imponenti statuette erette all’individuo, c’è qualcosa che ancora una volta supera corsi e ricorsi. Sembra lecito chiedersi se sia venuta prima l’immagine o la parola e ogni testimonianza di poesia visiva rende pertinente quella domanda, ancora di più a pensare che la poesia visiva nasce nel XX secolo, la culla della comunicazione. Eppure, se questa poesia assembla immagini e parole, allora era già nata, prima di quelle che si dicono masse, non prima di quelli che si chiamano popoli, diventando in questo modo una specie di arte perpetua.
Poetic Boom Boom è un viaggio fra immagini da leggere e parole da guardare, una mostra che presenta le ricerche artistiche che hanno fatto dialogare parola e immagine, a partire dagli artisti riconducibili al gruppo dei Logomotives che analizzano e decostruiscono il funzionamento del logos. Ne fanno parte Eugenio Miccini (1925-2007), che coniò il termine “poesia visiva”, Paul De Vree (1909-1982), Julien Blaine (1942), Jean-François Bory (1938), Alain Arias-Misson (1936), Franco Verdi (1934-2009) e Sarenco (1945-2017), uno dei principali animatori del movimento a cui la mostra dedica un’attenzione particolare proponendo alcune tra le sue opere più iconiche come Poetical Licence e Gedicht macht frei.
La mostra non si limita ai lavori storici; sono infatti esposti anche artisti che offrono una lettura personale della poesia visiva, come l’italo-tedesca Irma Blank (1934), che ha spesso esposto assieme ai poeti visivi ma non si è mai identificata con il movimento producendo lavori che riflettono sulla natura stessa dello scrivere, e l’argentina Mirtha Dermisache (1940-2012) che ha portato avanti un lavoro di smaterializzazione della parola conducendola verso il segno grafico. Ci sono poi i dattiloscritti di Raffaella della Olga (1967), che prosegue la sperimentazione sulla simultaneità di testo e immagine, e ci conduce alle opere dello svedese Karl Holmqvist (1964) che si appropria di frasi fatte, luoghi comuni ed espressioni idiomatiche per riconsiderarne il portato comunicativo.
Dal documentario “Poesia in carne e ossa” ascoltiamo poi le voci di Julien Blaine, Giovanni Fontana e Sarenco che raccontano in prima persona il loro rapporto con la poesia visiva a partire dagli anni Sessanta, il potere liberatorio dell’arte, gli sconfinamenti nella poesia sonora e nella performance.
Con Alain Arias-Misson, Julien Blaine, Irma Blank, Jean-François Bory, Ugo Carrega, Raffaella della Olga, Mirtha Dermisache, Paul De Vree, Giovanni Fontana, Pierre Garnier, Karl Holmqvist, Eugenio Miccini, Sarenco e Franco Verdi.
Mercoledì 20 febbraio 2019 dalle 19, In occasione della mostra, le Gallerie delle Prigioni ospitano l’artista e poeta francese Julien Blaine.
Info e prenotazioni:
Gallerie delle Prigioni Treviso, Piazza del Duomo 20
ingresso libero
da martedì a venerdì, 15—19 sabato e domenica, 10—13; 15—19
dal 13 dicembre 2018 al 7 aprile 2019
galleriedelleprigioni@fbsr.it
0422 512200
Gedicht macht frei è un portale che ricalca fedelmente le sembianze dei cancelli, tristemente noti, dei lager nazisti. Qui Isaia Mabellini, in arte Sarenco, poeta visivo e promotore di molteplici iniziative artistiche ed editoriali, si appropria di quell’estetica ribaltandone però il significato. L’artista, infatti, sostituendo un termine, muta il tetro simbolo della Shoah in strumento di lotta politica e culturale. “La poesia rende liberi” recita l’opera. Storpiando l’originale “Il lavoro rende liberi”, Sarenco vuole dirci che non sarà attraverso il lavoro che otterremo la libertà, bensì attraverso la pratica della poesia e delle arti.
Paul De Vree, Kissinger I
Julien Blaine, Macchina per scrivere
Dario Bellini (Italia / Italy), Il collage si fa dentro di me e dentro il mio unico interlocutore. Collage su cartone su tela, 10×12 cm, 2015
Imago Mundi, Visual Poetry in Europe, Fabrica Store
Sarenco, Poetical licence
Autrice e giornalista di Treviso. Ha pubblicato Girini con cui ha vinto il premio Mazzacurati-Russo (d’if, 2012), Club dei visionari (Di Felice, 2014), Balena (Prufrock spa, 2014), La susina (d’if, 2015) e l’audiolibro Nella notte cosmica (Luca Sossella, 2016).
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