Dal 6 luglio al 23 settembre 2023 è possibile visitare la mostra di Lydia Ourahmane, un’artista che ci fa vedere l’essenza della galleria Ordet attraverso la sua installazione site specific. Brian O’Doherty, in Inside The White Cube (2012) afferma: “Una volta completata dal ritiro di tutto il contenuto manifesto, la galleria diventa il grado zero dello spazio, soggetto a infinite mutazioni. I gesti che la attivano in ogni sua parte possono costringere il suo contenuto implicito a manifestarsi. Quel contenuto va in due direzioni: esprime opinioni sull’arte al suo interno, rispetto alla quale è contestuale; e commenta il contesto più ampio – la strada, la città, il denaro, gli affari – che lo contiene”. Michael Asher nel 1973 scrostò l’intonaco delle pareti e dai soffitti della galleria Franco Toselli per mostrarne la sua struttura originaria. Un anno dopo fece abbattere la parete divisoria tra lo spazio espositivo e l’ufficio, così che tutti potessero fruire del meccanismo che si celava dietro il sistema dell’arte contemporanea.
Lydia Ourahmane, nei nostri giorni, abbatte il cartongesso che separa il magazzino dalla sede espositiva per mostrarci ciò che è il retaggio storico della galleria. Se in Barzakh, commissionata dalla Kunsthalle di Basel nel 2021, intensificava la sensazione di disagio che si prova nel trovarsi nell’intimità di una dimora privata, in Polvere il disagio diviene curiosità e svelamento. La pratica artistica di Lydia Ourahmane, nata nel 1992 a Saϊda in Algeria, ci parla di temporalità multiple e di storie non ascoltate. Esplora il confine e la spiritualità di uno spazio. Lavora con le installazioni site specific, capaci di liberare il sacro dal contesto, ritrovato man mano che ne ascolta il respiro e il vissuto. L’artista spazia dal video al sonoro, dalla performance alle restituzioni su scala monumentale. Ourahmane sfida i meccanismi e i dispositivi che sono alla base delle istituzioni e quasi ricerca un loro lato naturale e originario.
Il suo obiettivo, nella mostra alla galleria Ordet di Milano, è la ricerca di un nesso tra gli artisti precedentemente esposti, ricollegandoli al vuoto lasciato. Un vuoto che assomiglia a una cava perforata e disseminata, che oggi può solo conservare le sue mancanze. Da questa privazione della sua essenza rimane un eco. La galleria, d’altro canto, accumula nel tempo stratificazioni e pareti che tendono a nascondere questa essenza fino a cambiarla completamente. L’artista sveste la galleria Ordet facendo in modo che essa si riappropri delle sue origini, attraverso la nuova e le precedenti esposizioni, creano una sorta di migrazione degli eventi. Il suo operato però non distrugge e non occulta nessuna parte della struttura. Al contrario, recupera e fonde i materiali passati per costruire, partendo da quello che trova, come Michelangelo fece nella cava di marmo delle Alpi Apuane cercando la materia prima adatta per la facciata della chiesa di San Lorenzo, a Firenze.
L’artista ci fa confrontare con una pedana lignea attivabile con i passi, riportandoci all’interno di quella cava destituita. Le casse posizionate all’interno dei muri amplificano i rumori creati dallo spettatore che, divertito, inizia a calpestare la pedana tornando ai momenti della propria infanzia e alle danze primordiali. Ma quel che resta è un eco, seppur interattivo, e una sensazione di vuoto che si presta a essere sempre più evidente. Più l’eco diventa rumore, più lo spazio diventa indifeso e percepibile dai nostri sensi. Ci possiamo connettere anche senza che esso conservi più nessuna naturalità, ma solo la fragilità umana e l’invasività dell’intervento. Levati gli involucri, le sue aspettative e le sue contraddizioni, la galleria torna a essere luogo di stupore, esponendo la sua storia passata.
Lydia Ourahmane estrae e studia la materia della stessa località, contenendo quindi il retaggio che man mano nel tempo si fa sedimento. Lo troviamo alterato, ma nulla viene scartato, poiché è parte del processo espositivo. La galleria, nuda e sacralizzata, ora mostra ciò che conserva e quello che non ci è dato sapere. L’artista ci dà l’occasione di osservare per la prima volta i meccanismi politici ed economici che sottostanno alle sedi dell’arte contemporanea, facendo sì che lo spazio torni cava, ovvero ritorni al suo stadio primitivo.
Alessia D’Introno
Info:
Lydia Ourahmane, Polvere
06/07/2023 – 23/09/2023
Galleria Ordet
via Adige 17, Milano
Alessia D’introno è laureata in Arti Visive e attualmente frequenta il biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali presso Nuova Accademia di Belle Arti, NABA, Milano. Scrive per la rivista cartacea e online Juliet Art Magazine. Il suo lavoro critico è incentrato sulla demolizione di paradigmi storici ai quali l’Italia e l’Europa sono legate da secoli. La pratica de-coloniale della sua ricerca sviluppa un confronto e un’apertura verso nuove metodologie e possibilità.
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