Irene Angenica e Davide Da Pieve sono i due giovani fondatori di Porto dell’Arte – Appuntamento per la promozione di artisti in appartamento nato dalla volontà di promuovere artisti attraverso una serie di eventi espositivi che si svolgeranno all’interno di un appartamento abitato, nel cuore di Bologna.
Un progetto-scommessa che vuole essere soprattutto un dialogo-sfida con l’artista messo alla prova con gli spazi domestici, ma anche una differente modalità di fruizione per i visitatori.
Porto dell’arte nasce quest’anno sotto l’insegna della ricerca e della condivisione. Potreste raccontarci la genesi del progetto, e perché avete deciso di dargli questo nome?
I e D: Cominciamo dal nome, apparentemente banale perché l’appartamento si trova in via del Porto, ma è stato scelto per il suo valore metaforico di luogo di scambio, di crocevia. Il nostro intento è quello di permettere ai giovani artisti di fare esperienza per poter salpare, per rimanere in metafora, verso destinazioni più grandi.
I: Porto dell’arte è nato un po’ per gioco, un po’ per sfida personale. Dovevo scrivere un progetto curatoriale per un esame e mi sono detta: perché non progettare qualcosa di realizzabile davvero con i mezzi che ho già?
Sia tu che Davide avete avuto e avete importanti collaborazioni ed esperienze formative con istituzioni artistiche sia all’estero che in Italia. Quando avete deciso di far nascere questo progetto con la volontà di proporre arte in uno spazio domestico vi siete ispirati a qualche particolare realtà? Avete qualche modello di riferimento che sia italiano o straniero?
I e D: In realtà la volontà è un po’ quella di rompere con altri luoghi espositivi di questo genere. Noi non siamo una Home Gallery e nemmeno uno di quei luoghi espositivi in appartamento che i proprietari trasformano in un temporaneo white cube. Ci siamo documentati sul fenomeno delle mostre in appartamento, ma è difficile ricondurre ad una sola esperienza ciò che noi vogliamo fare.
Per prima cosa abbiamo delineato delle strade molto precise sia critiche, sia curatoriali, per creare una sorta di sfida da proporre agli artisti. Essi sono chiamati a confrontarsi con uno spazio fortemente connotato, con lo scopo di intrecciare la loro ricerca, il loro stile, con ciò che già si trova nell’appartamento.
Essere in qualche modo uno spazio indipendente, dalle scelte di gestione a quelle curatoriali comporta una grande libertà. Come considerate la pratica curatoriale delle nuove generazioni? Avete anche in questo caso qualche persona che stimate? Che ruolo ritenete abbia la curatela oggi? E rispetto alla critica?
I e D: Sono ben felice di vedere che sta tornando sempre più in voga, in modo particolare a Bologna, la pratica di artisti che investono il ruolo di curatore per altri artisti. Questa è una pratica molto vecchia, già nell’Ottocento troviamo i primi artisti curatori, ma lo trovo molto affascinante e solidale. Noi tentiamo di lasciare un grado di libertà molto alto agli artisti, chiediamo di lavorare in relazione all’ambiente, quindi ci sembra abbastanza ovvio che l’installazione faccia parte dell’opera e spetti unicamente all’artista (chiaramente se necessitano di un martello siamo pronti a procurarglielo!
Oggi la critica e la curatela sono viste in modo sempre più confuso e forviante. L’urgenza resta quella di parlare degli artisti e delle loro opere.
A proposito di critica, avete deciso di non accompagnare le esposizioni con alcun testo critico, nemmeno su sito e sui social dando così importanza alla relazione che si instaura nell’atto dell’accadimento che avviene nell’incontro tra artista e spazio, e tra fruitore ed opera. Come mai?
I e D: Praticamente ti sei risposta da sola. La nostra volontà è proprio quella di creare un rapporto diretto e in qualche modo speciale tra il visitatore e l’opera esposta.
All’interno di un appartamento il contatto con i visitatori è molto diverso. Quando apri la porta il visitatore diventa un ospite, egli varca la soglia di uno spazio privato che ha delle implicazioni e specificità che altri luoghi non hanno. Dunque accogliere le persone diventa un fatto verbale e la presentazione dell’opera giunge da sé.
Ci siamo resi conto che per essere coerenti con la nostra idea di presentazione diretta dell’opera, sul web era necessario rivolgerci solo attraverso immagini e video, perché vogliamo sfruttare l’immediatezza e la dinamicità di internet. Stiamo comunque lavorando per la pubblicazione di una raccolta di testi critici che documenterà tutte le prime esperienze di Porto dell’Arte.
Paolo Bufalini e il collettivo CHMOD sono stati i primi ospiti di Porto dell’arte. Che rapporto avete instaurato con gli artisti e soprattutto come definireste il lavoro che hanno deciso di presentare?
I e D: Gli artisti sono sempre nostri coetanei questo ci aiuta a creare dei rapporti paritari, si finisce col diventare subito amici. I lavori che ci vengono presentati nascono sempre da un dialogo tra noi, gli artisti e l’ambiente domestico. Sia Paolo che i Chmod sono riusciti ad affrontare lo spazio dato modificandolo e interpretandolo secondo il proprio stile e la propria poetica. Nonostante la diversità dei lavori presentati, la necessità di sperimentare è stata continua e costante ed entrambi hanno raggiunto l’obbiettivo posto che è quello di modificare e dialogare con l’ambiente.
Porto dell’arte nasce in un preciso contesto culturale. Come vedete inserita, una realtà come la vostra, all’interno di una città come Bologna, con una precisa storia ed un preciso background culturale? E soprattutto perché proprio Bologna? Per necessità di studio e lavorative o perché ritenete che sia ancora una città sulla quale si possa investire e scommettere?
I e D: Un po’ entrambe le cose. Studiamo e lavoriamo a Bologna e pensiamo che questa sia una città dove i giovani sono sempre in fermento. Proporre nuove esposizioni significa voler dare una voce in più alla cultura di questa città, creare la possibilità di mettere in pratica un sfida ulteriore, per giunta in uno spazio angusto e più complesso rispetto alla norma.
Porto dell’arte si presenta allo stato attuale come un interstizio flessibile e prismatico all’interno del quale tutto (dallo spazio domestico all’opera proposta) interagisce con l’altro.
Che feedback avete ricevuto dai visitatori, dagli artisti e dagli altri operatori culturali in queste vostre prime esposizioni? E che obiettivi si pone, porto dell’arte nel futuro prossimo?
I e D: Abbiamo ospitato molti visitatori, alcuni di essi estranei al mondo dell’arte contemporanea e soprattutto siamo riusciti a coinvolgere molti giovani. Secondo noi questo è un punto a nostro favore, vuol dire che stiamo facendo un lavoro che coinvolge la nostra generazione. Allo stesso modo sia artisti che operatori culturali stanno frequentando il nostro spazio e, anche da parte loro, fin ora abbiamo ricevuto solo feedback positivi.
Per quanto riguardo il futuro, abbiamo già una serie di mostre programmate che sveleremo di volta in volta e speriamo che l’attenzione resti alta com’è stata fin ora.
Ultimissima domanda, siete entrambi molto giovani e sappiamo bene come sia difficile lavorare nell’ambito culturale, tant’è che cimentarsi in attività di questo genere diviene quasi un atto di coraggio. Cosa vi ha portato ad appassionarvi all’arte? C’è stato qualcosa di significativo nel vostro percorso di studenti o di semplici appassionati che vi ha fatto scattare “la scintilla” per usare una retorica popolare? Avete qualche artista, critico, o insegnante che ha inciso o influenzato la vostra visione, anche inconsapevolmente?
I: La mia passione per l’arte è stata graduale, non c’è stato un vero e proprio colpo di fulmine. Sicuramente le personalità che hanno influito a fomentare questa mia passione sono state tante, impossibili da citare tutte, ma se c’è un artista a cui potrei accendere un lumino devozionale quello è sicuramente Kurt Schwitters.
D: Ho frequentato una scuola d’arte già dalle superiori, e al contempo ho sempre saputo che non avrei mai fatto l’artista. Penso sia fondamentale non riflettere solo sul pensiero di un critico o di un artista, ma al contrario, è importante cercare sempre nuovi stimoli per migliorarsi e proseguire la propria strada.
Paolo Bufalini, Davide Da Pieve e Irene Angenica, Porto dell’Arte, Bologna
Paolo Bufalini, Metamorfosi, Photo Silvia Morelli
Chmod, One Step Beyond, 2016, Porto dell’Arte, Bologna, Photo Chmod
Paolo Bufalini, Metamorfosi, 2016, Porto dell’Arte, Bologna, Photo Silvia Morelli.
(1990) Laureata al DAMS di Bologna in Arti Visive con una tesi sul rapporto e i paradossi che intercorrono tra fotografia e moda, da Cecil Beaton a Cindy Sherman, si specializza all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel biennio in didattica dell’arte, comunicazione e mediazione culturale del patrimonio artistico con una tesi sul percorso storico-critico di Francesca Alinovi, una critica postmoderna. Dal 2012 inizia a collaborare con spazi espositivi svolgendo varie attività: dall’allestimento delle mostre, alla redazione di testi critici o comunicati stampa, a laboratori didattici per bambini, e social media manager. Collabora dal 2011 con varie testate: Vogue online, The Artship, Frattura Scomposta, Wall Street International Magazine, Forme Uniche Magazine.
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