In suo Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico (1911) lo scrittore e drammaturgo francese Alfred Jarry espone i principi e i fini della patafisica, definendola come una scienza delle soluzioni immaginarie, che si prefigge di studiare le eccezioni, lo strano, il particolare, con lo scopo di definire un universo supplementare al nostro. La programmazione per la stagione 2022/2023 di spazioSERRA – spazio espositivo e associazione no-profit fondata nel 2017 a Milano – prende il titolo unpostoIMPOSSIBILE e si configura sugli stessi obiettivi. Sei artisti/collettivi sono chiamati a ragionare su uno spazio inusuale, una gabbia di vetro che riflette gli attraversamenti della stazione ferroviaria Lancetti, per restituire degli “altrovi” inediti, in linea con la patafisica di Jarry. L’ultimo progetto ha visto la partecipazione di Agnes Questionmark (Roma, 1995), con la curatela di The Orange Garden (Arturo Passacantando e Tommaso de Benedictis) e il team di spazioSERRA.
Alessia Baranello: Quando sono passata a trovarvi, mi avete raccontato delle tante mitologie che i passanti della stazione hanno creato intorno al corpo e all’apparizione sirenica di Agnes. Da questo effetto catapultatore, si potrebbe dedurre l’efficacia tangibile della long durational performance nella costruzione di un luogo altro. Eppure, tutto mi sembra CHM13hTERT tranne che un altrove. L’utero artificiale, l’editing genomico, la ricerca di nuovi habitat per la sopravvivenza dell’uomo su un pianeta reso infetto, gli avvelenamenti dell’industria farmaceutica e il suo gatekeeping: sono parti del reale difficili da assimilare proprio perché ne fanno già parte a pieno titolo.
Agnes Questionmark: CHM13hTERT, prima di essere il titolo della performance, è il nome della linea cellulare sviluppata per poter codificare interamente (con la tecnica hTERT – telomero a telomero) il genoma umano. Grazie a nuovi software gli scienziati sono stati capaci di completare tutti i codici di un singolo DNA. Una volta decodificato, il genoma potrà essere modificato, ristampato e riprodotto infinitamente. Siamo persi, verso una via di non ritorno. La specie umana è già in cambiamento. CHM13hTERT è il modo in cui una macchina legge l’essere umano: codici, lettere e numeri. Dunque, non si tratta di un avanzamento tecno-scientifico, e neppure solamente del raggiungimento di una piena consapevolezza sull’essere umano, ma di un’ inevitabile simbiosi tra uomo e macchina. Homo sapiens è ormai termine analogico. Homo sapiens è diventato CHM13hTERT.
Parlando con Arturo, notavo diverse analogie tra la tua performance e i freak show, come raccontati da Renate Lorenz. I freak – apparentemente i soggetti di un feticismo voyeuristico da parte del pubblico – si trovavano, in realtà, secondo l’autrice, in una posizione di potere rispetto a gruppi tradizionalmente dominanti, che, negli show, da “conoscitori” e detentori di una certa produzione storica e culturale, diventano “dupes”, gonzi, coloro che ora non sanno[1].
Agnes Questionmark: Migliaia di persone, durante CHM13hTERT, si sono fermate a osservare la creatura appena nata, prendendo, quindi, parte a un rapporto voyeuristico nei miei confronti, sottoponendomi a uno scrutinio quasi medico-scientifico. Lo spettatore, il comune passante è diventato inconsciamente uno scienziato; provando piacere nella mia sofferenza, oggettificando e sessualizzando il mio corpo ibrido e transessuale, è stato complice di un atto sadico. E poi, incrociando il mio sguardo vulnerabile e sofferente, è stato colto nel momento del peccato. Imbarazzato, guarda altrove, per poi andarsene in silenzio. La teca di vetro in cui ero esposta era diventata la mia casa, il mio habitat per 16 giorni consecutivi. I passanti mi hanno vista sempre lì e ho continuato a vivere nella loro mente durante la giornata, la notte e, forse, i sogni. Ciò che io ho considerato un laboratorio scientifico, una nursery room, è diventato un piedistallo espositivo, una gabbia da zoo. Come un mostro al circo sono stata esposta al giudizio, alle risa, al disprezzo e all’apprezzamento, alla furia e alla gioia di tutti coloro che hanno preso il treno o che hanno visitato la stazione Lancetti per vederne la sirena incatenata. Così mi hanno chiamata, la Sirena di Lancetti. Sono diventata leggenda e mitologia della stazione e sono rimasta sorpresa di come le fotografie e i video della performance abbiano viaggiato tra dispositivi e algoritmi, scatenando le insicurezze e le proiezioni di milioni e milioni di persone. Una storia implausibile: una ragazza che si priva di cibo e di acqua, inutilmente (a primo impatto), e con lo sguardo vuoto (per alcuni), ferma sempre nella stessa posizione. Perché? Ma, soprattutto, che cosa è? È un uomo o è una donna? È umano o inumano? È vero o non è vero? Le stesse domande che, probabilmente, ci si poneva durante i freak show.
D’altronde, nessuno era certo se i “talenti” che venivano presentati durante gli show fossero veri o frutto di protesi, make up o costumi…
Agnes Questionmark: Dalla curiosità scaturisce il feticcio del non sapere ma di voler scoprire che c’è qualcosa di strano e di proibito, e, al contempo così soddisfacente, in ciò che ci sta davanti. Quanti mi hanno derisa, hanno colpito il vetro, cercato di entrare nella teca chiusa a chiave, per cosa? Perché questa ossessione nel voler entrare, nel dover codificare, capire, studiare e definire? Per quanto fastidiosa potessi essere stata al loro sguardo, tuttavia, queste persone sono rimaste immobili a guardarmi e consumarmi, a riprendermi affinché la mia immagine tediosa e indefinita potesse annidarsi nella mente di chi resiste il diverso, affinché potesse fermare, per qualche minuto, la giornata e scuotere le convinzioni e i pregiudizi di coloro che mi hanno ritenuta pericolosa. Prendere il treno per Lancetti non è mai stato così molesto.
È come se lo staging e il voyeurismo del pubblico, in questo caso, abbiano assunto, anche, una certa forza ricostitutiva e liberatoria, come atti scardinanti di gerarchie sociali e di dinamiche di potere, capaci di raccontare la presenza di qualcosa o qualcuno che si vorrebbe mantenere assente dal discorso culturale.
Agnes Questionmark: Infatti, per altri spettatori e amici – forse la maggior parte – CHM13hTERT è diventato un atto di liberazione. Soprattutto, donne e bambini mi hanno rivolto sorrisi gentili, di compassione, di gioia e serenità. Per alcuni è stata anche una presa di potere e di rivoluzione. Riconoscevo le sorelle trans e i cugini queer venire attorno a me a darmi sostegno e a proteggermi dallo sguardo penetrante e soffocante del patriarcato, dell’oggettivazione, del disprezzo e dell’odio. Chiunque sia riuscito a lasciarsi andare dai freni della società, è riuscito anche a godere della mia immagine; a lasciarsi trasportare in un mondo immaginario e fantasioso, che, al tempo stesso, trova il modo di diventare reale e tangibile per la sua indiscutibile controversia, come luogo di dibattito e contestazione. In CHM13hTERT, una nuova specie ibrida ha preso forma per dare speranza e per fortificare l’esercito in rivolta di una generazione alla mercé delle incessanti correnti di genitori impauriti, che prendono per mano i loro bambini e li portano via pensando di proteggerli da un pericolo dal quale non devono scappare ma che dovrebbero accogliere e ospitare.
Fin dalle tue prime performance, come Right or Wrong I’m still the Captain (2016), l’attenzione all’acqua come habitat futuro e presente sembra essere fondamentale. E – altrettanto ricorrente – è l’atto di affogare, legato tanto all’iconografia religiosa della vita (il battesimo) quanto a una morte autoinflitta. Che significato attribuisci all’annegare?
Agnes Questionmark: Trattenere il respiro è un atto di resistenza: resistenza all’umano, al corpo e alla natura intesa come sistema binario, dal quale ci si aspetta un’ identificazione. Trattenendo il respiro il corpo cambia, entra in uno stato di in-esistenza e sopravvivenza. Da un lato, ci si astiene dal mondo, dall’altro, si entra in estasi, si è incoscienti. A quel punto, è la corporeità stessa che richiama l’istinto di sopravvivenza. Infatti, dicono che sia impossibile suicidarsi trattenendo il respiro: i riflessi corporei ti porteranno sempre a cercare l’aria, a respirare. In acqua, poi, tutto cambia. Gli organi si fanno più piccoli, i polmoni si restringono, il sangue si concentra nei punti vitali. Tra un respiro e un altro si va attraverso la trasformazione. Perciò, anche prendere una bacinella d’acqua e annegarmi, in Right or Wrong im Still the Captain, è stato un atto di resistenza ma, soprattutto, l’inizio di una ricerca profonda dell’essere umano e il suo passato, presente e futuro sulla Terra. In quel caso, ho creato un palcoscenico con una piscina – un po’ come nei battesimi per adulti in cui il prete annega il battezzato per un istante – e ho chiesto alla mia amica Andrea di annegarmi per quanto tempo ritenesse necessario. Poi, uno ad uno gli spettatori hanno preso parte a questo rituale sadico e mi hanno annegata pure loro. Consegnata alla loro volontà sapevo di non morire. In un garage del sud di Londra, sono rimasta in controllo della nave naufragata.
L’annegare, perciò, come astensione prolungata dal presente, ribellione che desidera far emergere nuove realtà e narrazioni e, per farlo, ha bisogno delle modificazioni che il contatto prolungato con l’acqua produce sui corpi, quando – come dici – manca l’ossigeno e il sangue confluisce nei punti vitali…
Agnes Questionmark: Nella comunicazione visiva dell’album Neptune’s Lair (1999), Drexciya racconta una storia di rivincita e sovversione. Naufragate dalle barche durante i viaggi di schiavismo, le mamme africane partorivano in mare, dando vita a nuove specie ibride. Queste creature, metà umane e metà marine, affiorano armate dagli abissi dell’oceano per sconfiggere il loro nemico oppressore. L’immaginario di Neptune’s Lair è una presa di potere e un affronto al colonialismo di una razza sottomessa e denigrata. Un lavoro afrofuturista che usa, quindi, l’acqua e la trasformazione genetica come mezzo di riconquista, un mezzo per re-immaginare un futuro umano più che disumano. Allo stesso modo, Octavia Butler racconta di una specie aliena che si ciba dell’umano per sopravvivere. In Xenogenesis, spietata e senza freni, delinea un corpo senza organi, o meglio un corpo i cui organi sono pronti al consumo e alla carneficina. Sono queste le filosofie che continuano ad ispirare la mia ricerca e proiettare il mio lavoro sull’acqua e il potere della trasformazione, verso un futuro più sostenibile.
Hai citato Octavia Butler e l’afrofuturismo. In generale, mi sembra evidente un legame tra la tua ricerca e la letteratura fantascientifica transfemminista: uno storytelling a cavallo tra scienza e fantascienza possibile con forti rivendicazioni politiche, ecologiche, sociali. La tua performance Bodies of Water (2018), per esempio, richiama dichiaratamente un fatto fictionale: quello di uno scienziato italiano che ha usato suo figlio come cavia per la sperimentazione delle teorie di Jacques-Yves Cousteau sull’ Homo Aquaticus.
Arturo Passacantando: Indubbiamente performance come Squid Dinner (2018) o CHM13hTERT hanno il potere di infrangere le barriere tra reale e immaginario. Esistendo in questo limbo tra realtà e finzione si distaccano dalla nozione tipica di una mostra o di una performance, evolvendosi in una vera e propria ipotesi del futuro. In questa loro nuova forma, il pubblico li accoglie come tali, dunque non li ammira con la stessa distanza con cui viene visto un quadro, bensì, ci si immerge accettandoli come futuri possibili. Da spazioSERRA questo effetto è stato portato a nuovi vertici data la posizione dello spazio espositivo; trovandosi all’interno di una stazione ferroviaria, il progetto non veniva percepito come una performance ma veniva invece accettato come un esperimento antropologico. In un luogo che esiste al centro della normalità, siamo riusciti a portare in vita un emblema della sperimentazione. Molti degli spettatori che si sono recati in maniera abituale a vedere la creatura sono persone che forse non hanno mai visitato gallerie d’arte. Dunque, attraverso questo nostro utilizzo della fabula speculativa siamo anche riusciti a raggiungere un pubblico che altrimenti non sceglierebbe di entrare in contatto con l’arte. Questo processo è di vitale importanza poiché in un sistema sempre più meccanizzato e resiliente al cambiamento, spesso è proprio la creazione di nuove storie e mitologie che permette il progresso della società. Senza dubbio, uno degli aspetti più emozionanti della performance di Agnes, è stata la sua abilità nel generare riflessioni tangibili su temi spesso ritenuti controversi o indiscutibili. La domanda che forse mi è stata fatta di più dal pubblico è stata “perché?”, ed è proprio in questa domanda che esiste la forza della fabula speculativa, nella sua abilità di mettere in discussione il mondo che abitiamo. Presentando possibilità del futuro obblighiamo lo spettatore a riflettere sulla sua condizione presente.
Agnes Questionmark: In Terramare[2], Ursula Le Guin racconta il viaggio di un giovane mago, lo Sparviere, in cerca della verità. Questa è una storia che viene raccontata contro i canoni eroici del maschilismo e patriarcato, una lettura che sfida il ‘male gaze’. In questo senso, lo storytelling è fondamentale per tramandare e promuovere in maniera più efficace un sistema egualitario e aperto al cambiamento. Sparviere, per esempio, utilizza la conoscenza e la ricerca come arma contro il nemico – l’oscurità. Nel mio lavoro ho sempre cercato di unire la ricerca all’esperienza tattile, la scienza alla narrazione. Le teorie dell’ Homo Aquaticus sono state solo le prime di una lunga ricerca evolutiva. Per me, leggere science fiction è importante quanto scoprire nuovi saggi scientifici. Creare nuove terminologie e simboli per poter rispecchiarsi in qualcosa di più appartenente a ciò che sento. Non mi sento umana, dunque cerco l’inumano. Non mi sento binaria, dunque cerco la fluidità. È la fantasia e l’immaginazione che porta lo scienziato a sperimentare. Tra artista e scienziato, per me, c’è poca differenza. Il mio studio sembra un laboratorio scientifico e viceversa.
Come rendere, quindi, una performance portatrice di un certo pensiero ecologico, miccia per l’emersione di riflessioni sulla propria condizione presente e su nuovi futuri possibili? Proprio nel testo che accompagna Squid Dinner (2018) parlate, per esempio, di come il sublime tradizionale divida dicotomicamente natura e cultura, e, poi, più volte, della “tecnologia” come strumento capace di stabilire nuove convivenze ed equilibri meno polarizzati tra le due sfere…
Agnes Questionmark: In Squid Dinner due tonnellate di tufo romano erano state portate in galleria di The Orange Garden, dove un percorso inospitale tra sculture in ceramica e un ruscello d’acqua conduceva lo spettatore in una sala allagata, ricoperta di alghe e licheni. Ci sono io, tra le alghe, immersa totalmente in acqua ferma – per ora – ad aspettare. Sono lì che aspetto che qualcuno mi salvi o si butti con me. È una proiezione futura con un riferimento chiaro al nostro passato come abitanti marini. Per quanto fiabesca sia l’immagine, per molti è comunque inquietante e angosciosa. È possibile un futuro in acqua? Saremmo costretti un giorno a dover trattenere il respiro per sempre? Siamo pronti a un cambiamento radicale della nostra vita terrestre? E poi, come saremmo in acqua? Quali sarebbero le nostre forme e morfologie da esseri acquatici? Durante le mie performance, il mio corpo diventa veicolo politico che trasporta lo spettatore in uno stadio di confusione e interrogazione. Come scrive Lucrezio in De rerum natura, è dalla terraferma che lo spettatore contempla il naufragio ed è proprio perché i suoi piedi toccano terra che riesce a percepire l’evento come tragedia. Da una prospettiva privilegiata e salva si può percepire il tragico: è lo stesso concetto che sta dietro al teatro. La mia domanda è: come faccio a portare lo spettatore in acqua? a far sì che si butti e prenda parte al naufragio? Per Cousteau, gli avanzamenti tecnologici ci avrebbero portati ormai a vivere la maggior parte del nostro tempo sott’acqua. Purtroppo l’oceano è ancora luogo alieno e inesplorato. Il progetto Nemo’s Garden[3], si sta già preparando a un apocalisse, esplorando l’idea di crescere le piante sott’acqua. In America, Project CETI[4] sta sviluppando un’intelligenza artificiale che possa non solo tradurre le conversazioni tra cetacei ma anche rispondere ed entrare in comunicazione con loro. Questi sono solo alcuni dei molti progetti innovativi che spingono l’umano a creare un rapporto simbiotico con il resto delle creature marine e terrestri, per portare avanti nuove soluzioni e compromessi con l’inumano. Su Marte lasciateci i fascisti, io rimango aliena sulla Terra.
Alessia Baranello
[1]Per ulteriori considerazioni sui freak show si veda R. Lorenz, 7 Methods of a Freak Theory of Contemporary Art in Kiss My Genders, Hayward Gallery Publishing, Londra 2019.
[2] Il ciclo di Earthsea è una serie di romanzi e racconti della scrittrice Ursula K. Le Guin, la cui pubblicazione va dal 1968, con il primo volume Il Mago di Earthsea, al 2001.
[3] http://www.nemosgarden.com
[4] https://www.projectceti.org
Info:
Alessia Baranello (Campobasso, 1998) è una curatrice indipendente. La sua ricerca si concentra sul legame tra arti visive e questioni storiche, sociali ed economiche, con un’attenzione verso pratiche espositive sperimentali. Scrive di arte contemporanea, cultural e memory studies. È stata co-curatrice della residenza per artisti Uva Programme (Nizza Monferrato, luglio 2022) ed è co-fondatrice del duo curatoriale Scania Trasporti.
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