Si è nascosta tra gli scaffali di un supermercato, l’arte, ed è stata sbandierata dal balcone di un palazzo. È comparsa sui cartelloni pubblicitari abbandonati e nudi, durante le settimane del lockdown che ha tenuto l’Italia e tanti altri Paesi addormentati, in attesa. Di progetti nati durante questa fase di blocco se ne sono visti tanti, tantissimi, sviluppati e fruibili tramite social media e altre piattaforme digitali. Non sono mancate le interviste e le conversazioni in diretta su Instagram, così le mostre e le visite virtuali negli studi d’artista, per vedere a cosa stessero lavorando durante questo periodo di isolamento sociale. C’è un progetto però che si differenzia dagli altri: si tratta di Prima Necessità/Basic Necessities, e nasce dalla sinergia tra il misterioso ABC Collective (i cui membri hanno scelto di restare anonimi) e Spazio Y, realtà indipendente dedicata alla ricerca e alla sperimentazione in ambito contemporaneo presente a Roma, attualmente gestito dagli artisti Paolo Assenza e Germano Serafini e dalle professioniste del settore dei beni culturali Ilaria Goglia e Silvia Marsano. Attivo dal 2014 nel quartiere del Quadraro, nel 2016 Spazio Y è stato selezionato da The Independent, il progetto di ricerca del Museo MAXXI volto a identificare e promuovere le realtà artistiche autonome più interessanti all’interno del territorio nazionale.
Prima Necessità/Basic Necessities arriva in un momento in cui i nostri stili di vita e le nostre visioni sono alterate da un’esperienza inedita, che ci porta a mettere in discussione, nella nostra scala dei valori e delle priorità, ciò che è davvero importante, e invita gli artisti a riflettere “sul concetto di prima necessità e di utilità, rivendicando l’esigenza di espressione personale e l’atto artistico come condizione umana imprescindibile”. Il suo valore aggiunto consiste però nella chiamata all’azione rivolta ai partecipanti, invitati a esplorare nuove modalità espressive in risposta a questo periodo − nei limiti delle misure di sicurezza imposte dall’emergenza sanitaria in corso – con azioni artistiche in grado di scavalcare i confini dei propri spazi domestici e di riaffermare, tramite incursioni improvvise e temporanee nel tessuto urbano, il diritto dell’urgenza creativa di continuare a esistere e manifestarsi, vera e propria necessità primaria.
Prende quindi il via, silenziosa, una sorta di “guerriglia” che diffonde le operazioni artistiche in luoghi inaspettati e non istituzionali, con quella capacità – tipica della street art – di sorprendere il passante qualsiasi, di contaminare gli spazi e le menti, e di riappropriarsi dello spazio cittadino come punto di partenza per un dialogo orizzontale, capace di innescare nuove riflessioni e dialoghi all’interno delle comunità. Ecco allora che Paolo Grassino porta l’arte tra gli scaffali di un supermercato di Torino, e nella stessa città, mentre la vita nella strada sottostante continua a scorrere, ignara, Saverio Todaro srotola dal balcone di casa una bandiera con il simbolo del rischio biologico – i colori accesi, che richiamano alla memoria quelli degli stendardi nazisti – a sottolineare l’aspetto dittatoriale che il virus ha esercitato sulle masse. Sempre a Torino cammina Gisella Chaudry, in testa una scultura-girandola che, ruotando con il favore del vento, diventa metafora visiva di quel senso di vertigine che tutti noi in questo periodo abbiamo provato almeno una volta, in balia degli eventi. A Roma Daniele Spanò ricrea sul suolo di cemento una meridiana, antico strumento che ci aiuta scandire il flusso di tempi nuovi, dilatati e languidi, trascorsi in casa. Erika Nevia Cervo a Napoli ricrea una fila davanti al cinema – tableau vivant di “un quadro quotidiano che non si vede più” – nostalgica protesta a sottolineare l’importanza sociale di una produzione culturale prima data per scontata, e di cui adesso sentiamo la mancanza. Corrono poi due performer nel centro storico di Firenze, sventolando una bandiera bianca che riporta il messaggio “is it my world?”, in un’azione che è parte dell’omonimo progetto del collettivo Kinkaleri, che “si pone una domanda sulle possibilità politiche ed artistiche dell’individuo, nella ricerca personale e collettiva dell’essere vivente in questo secolo”. Intervengono invece su spazi destinati ai cartelloni pubblicitari, che in questi ultimi mesi abbiamo visto spesso vuoti, Andrea Nolè e Mimmo Rubino con la scritta “RUN”, a Potenza, e Adriano La Licata, che a Palermo graffia la superficie celeste di un grande spazio di affissione e intitola l’operazione To Have the Blue Devils, espressione idiomatica che nella lingua inglese denota uno stato di tristezza, depressione e irrequietezza. Sventola poi grigia, davanti al Colosseo, la bandiera italiana di Iginio De Luca, piantata su un tronco d’albero tagliato, piedistallo naturale eletto dai turisti per scattare le foto, ora luogo desolato.
Visibile online, tramite contenuti postati giorno per giorno nei canali social di Spazio Y e ABC Collective, Prima Necessità/Basic Necessities ha il merito di riuscire a convogliare su piattaforme digitali delle azioni reali, con contenuti di grande attualità e capaci di fornire ampi spunti di riflessione. A raccontarci di più sul progetto sono i membri dello Spazio Y e di ABC Collective, al quale abbiamo rivolto alcune domande.
Laura Guarnier: L’iniziativa Prima Necessità/Basic Necessities nasce dalla collaborazione di più protagonisti, sparsi in vari luoghi. Chi siete, e quando nasce l’idea del progetto?
Nei giorni di pieno lockdown, tutti noi di SpazioY, presi ognuno dai pensieri, abbiamo avuto alcuni timidi incontri online. Lì a caldo discutevamo per capire come ognuno di noi stesse vivendo la situazione, cercando di rispondere alla forza di quel che sentivamo in una forma che non rimanesse come una piccola azione lanciata e dispersa nella rete tra le centinaia di call che vedevamo nascere giorno dopo giorno, tutte in qualche modo simili. In quei giorni ci arriva una mail da un collettivo che non conoscevamo e di cui, cercando, non avevamo trovato nulla se non una sola pagina Instragram, abc_artcollective. Abbiamo risposto con interesse alla proposta del collettivo, che ci ha inviato le direttive del progetto con le registrazioni della voce elettronica di un text reader, mettendoci in una condizione relazionale totalmente nuova e inaspettata e innescando una riflessione profonda sul momento presente attraverso uno strano gioco di ruolo. Siamo stati al gioco e abbiamo iniziato immediatamente a discuterne tra noi e in seguito a parlarne con alcuni amici artisti che ci hanno aiutato a diffondere il progetto. Nel tentativo di immaginare un progetto che si potesse espandere così come la pandemia, e dunque per cercare di comprendere come le istanze che stavamo prendendo in esame potessero variare in base al luogo stesso in cui venivano poste, abbiamo trovato un interlocutore nella piattaforma artistica internazionale Nation 2.0 curata da Giuseppe Moscatello di base negli Emirati Arabi Uniti. Abbiamo coinvolto nel progetto l’editrice Mariangela Mincione di sede a Brussel, che entusiasta, decide di essere partner del progetto.
Quali sono le tematiche e le problematiche che il progetto vuole indagare, tramite la voce dei vari artisti invitati a partecipare?
La proposta era di lavorare sul concetto di prima necessità e di utilità e di lavorarci proprio in quei giorni di chiusura totale. Ognuno di noi si interrogava nel privato e nel pubblico, cercando di comprendere come il concetto di prima necessità intersecasse il lavoro e l’espressione dell’artista e il sistema dell’arte contemporanea. In questo sistema elitario spesso l’artista e l’arte contemporanea diventano non necessari. Il collettivo voleva condividere con noi la riflessione e il timore che la pandemia potesse rendere ancora più invisibile l’importanza di fare un certo tipo di arte, intesa come gesto in grado di dialogare con la quotidianità, che serva in qualche modo a suggerire delle visioni necessarie per il presente e per il futuro, invitando noi per primi a sperimentare con la consapevolezza del momento, considerando l’impossibilità di poter utilizzare le normali pratiche di cui gli artisti e il sistema dell’arte si servono.
Quali erano le direttive e “istruzioni per l’uso” che avete fornito agli artisti che avete coinvolto nel progetto?
Abbiamo molto discusso sull’idea che bisognava confrontarsi e rispondere con il linguaggio dei mezzi di informazione in quel momento utilizzabili, per cui i social sono diventati i canali di divulgazione scelti per il progetto, ma non un mezzo d’espressione! Le direttive, elaborate insieme al collettivo ABC, hanno previsto infatti un invito agli artisti a uscire dalla quarantena per lanciare un segnale all’esterno, di uscire in strada, re-inventare la propria pratica e cercare spazi per esporla alla collettività, prendendo volontariamente i rischi di un’azione concreta giocata ai limiti delle possibilità, un’azione che rispondesse, come una guerriglia, con piccole “esplosioni”, spunti di riflessione per chi casualmente ne diventava spettatore.
Quanti sono e chi sono gli artisti che hanno preso parte a Prima Necessità/Basic Necessities?
Gli artisti che finora hanno aderito alla call sono 64, ma quotidianamente riceviamo nuovi progetti da tutta Italia e anche dall’estero. Abbiamo iniziato invitando i tanti artisti con cui Spazio Y, negli anni, si è trovato a collaborare, chiedendo a molti di loro di estendere l’invito ad altri loro colleghi che non conoscevamo e che potevano essere adatti alla specificità del progetto; coinvolgendo sia artisti già riconosciuti per il loro lavoro, sia giovanissimi da poco usciti dalle accademie in modo da comporre una prospettiva multipla sul concetto di gesto artistico e sul suo riposizionamento come necessità imprescindibile.
Quanto andrà avanti questa iniziativa?
Ci eravamo posti due scadenze per la ricezione del materiale: la prima, il 4 maggio, la seconda il 15 maggio, data in cui contavamo di ricevere tutto il materiale dagli artisti. Ci eravamo chiesti quanto avesse senso protrarre il progetto durante la seconda fase del lockdown e ci siamo resi conto poi che ogni “fase” dalla pandemia ha trovato una sua specifica connotazione. Cambiando le possibilità in cui gli artisti si sono potuti muovere, non è stato compromesso il senso del progetto o le necessità che le opere degli artisti hanno evidenziato. Stiamo comunque valutando di quanto protrarre il progetto sul web. Le azioni e le opere che gli artisti continuano a inviarci, suggeriscono che lasceremo sospesa momentaneamente questa decisione, seguendo gli eventi e i movimenti di questo nuovo assetto mondiale.
Qual è oggi per gli artisti, secondo voi, la prima necessità?
La prima necessità, l’unica strada ormai percorribile è, a nostro avviso, la diffusione capillare del gesto artistico (ovviamente non casuale), contro qualsiasi appiattimento culturale. Pur correndo dei rischi, bisogna andare avanti senza compromessi, per il dovere di dare voce e spazio all’arte più che al sistema che la rappresenta. Abbiamo chiesto agli artisti di proiettarsi oltre, di tentare uno stravolgimento dei canoni ai quali l’opera viene sottoposta, cambiando il punto di vista per cui il suo esistere in un sistema impermeabile alle vere necessità, la rende totalmente superflua e schiava di meccanismi economici che ne decidono il valore. Se potessimo immaginare di rappresentare con un grafico queste due curve, ovvero queste due diverse modalità – quella della corsa al successo e quella in cui la pratica artistica è la miccia che aiuta a far brillare il mondo, l’inciampo e la lente– la prima avrebbe dei picchi molto alti e delle cadute vertiginose, mentre la seconda avrebbe un andamento più regolare e costante nel tempo. Questa idea forse può rappresentare quella che per noi e per l’artista è la prima necessità, per continuare ad esistere ed essere uno dei pilastri necessari sui cui si fonda la società.
Info:
Adriano La Licata, To Have the Blue Devils. Marzo 2020, Palermo
Erika Nevia Cervo, Utile. Maggio 2020, Napoli
Kinkaleri, is it my world, azione con Daniele Bonaiuti e Maria Caterina Frani. Maggio 2020, Firenze
Saverio Todaro, Biohazard. Maggio 2020,Torino
Iginio De Luca, Tricolore. Maggio 2020, Roma
Tothi Folisi, Tent, 2020, Capo d’Orlando
Daniele Spanò, Mery&Diana. Aprile 2020, Roma
Elina Maria Vaakanainen, The Way Out. Aprile 2020, Como.
Storica dell’arte contemporanea, vive a lavora a Venezia. Contributor per riviste di settore, addetto stampa e content creator, si occupa inoltre dell’organizzazione e della comunicazione di un progetto di residenze d’artista in Piemonte.
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