A uno dei più grandi artisti del Novecento è dedicata la mostra “Lucio Fontana. Autoritratto”, in corso fino al 3 luglio 2022 presso la Fondazione Magnani Rocca, antica Villa dei Capolavori a Mamiano di Traversetolo, nel cuore verde della campagna parmense, a cura di Walter Guadagnini, Gaspare Luigi Marcone e Stefano Roffi. Esposte circa cinquanta opere provenienti da differenti istituzioni museali, come ad esempio Fondazione Lucio Fontana, Mart, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Museo del Novecento di Firenze, CSAC, Università di Parma, ecc. e da altri importanti archivi e collezioni private. L’idea del progetto del percorso espositivo prende spunto dall’intervista che Carla Lonzi, alunna di Roberto Longhi, fece a Lucio Fontana e che raccolse nel testo: “Autoritratto. Accardi Alviani Castellani Consagra Fabro Fontana Kounellis Nigro Paolini Pascali Rotella Scarpitta Turcato Twombly” edito da De Donato, Bari, nel 1969, insieme ad altri colloqui con altri artisti dell’epoca. Nel video presente all’ingresso della Villa, è riprodotta tale intervista, registrata con un mangianastri, grazie alla quale è possibile ascoltare le voci dei due e i pensieri schietti espressi da Fontana.
Testa di donna è la prima scultura che apre il percorso espositivo, incastonata nella sala della Fondazione che ospita i tesori dell’arte rinascimentale, posta ai piedi della Sacra Conversazione di Tiziano, a voler enfatizzare come Fontana sia stato fortemente legato all’arte figurativa, in particolar modo attraverso l’uso della scultura, avendo assimilato la lezione del suo maestro Adolfo Wildt presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, ove aveva studiato. Presenti altre opere scultoree, da cui è già possibile notare la molteplicità di registri espressivi scelti da Fontana, come barocco e futurismo, ponendosi da subito come artista di rottura sulla scena dell’epoca. Egli era innovativo, ma allo stesso tempo legato alla tradizione, da cui prendeva spunto per la riflessione, per la ricerca di un linguaggio nuovo che tenesse conto della variabilità del mondo di quegli anni e dell’impatto delle tecnologie, dei nuovi modi di comunicare, a partire da quello televisivo e dei nuovi materiali che si andavano sviluppando e delineando. Come sostenuto da Renato Barilli nel saggio L’arte contemporanea, da Cézanne alle ultime tendenze, «Fontana forse è il solo ad avvertire la preoccupazione di saldare il ‘gesto artistico’ con il pensiero scientifico e tecnologico».
Esplicativo di tale pensiero rivoluzionario fu il grande tubo a neon dalle forme sinuose realizzato per la IX Triennale di Milano (1951). È da questa continua ricerca che nel 1954, in Argentina, luogo di nascita e in cui era tornato per sfuggire alla Seconda Guerra Mondiale, pubblica il Manifesto Blanco, manifesto dello Spazialismo, ovvero di un nuovo movimento artistico portavoce della necessità di superare la tela come spazio pittorico e considerare dimensioni spaziali, cosmiche, in cui esprimere il pensiero creando una cosmologia moderna, tratteggiata e delineata attraverso differenti simboli. «Spazio non inteso come contenitore vuoto, bensì come luogo di irradiazione di energie ondulatorie o di esplosione di fenomeni nucleari. Da qui il carattere ‘etereo’, che ebbero sempre le soluzioni di Fontana, a differenza del materismo accentuato o del gestualismo di altri» (da Renato Barilli nel saggio L’arte contemporanea, da Cézanne alle ultime tendenze).
Da qui nasce l’idea di realizzare dei ‘Buchi’, che daranno il titolo a molte opere. La tela viene bucata e con essa anche lastre di metallo, scalfite attraverso un punteruolo, ove l’artista, come faber, crea sequenze di vuoti e pieni, intervalli intermittenti di un pensiero che si evolve e realizza attraverso l’atto creativo, divenendo esso stesso oggetto di studio e di interesse. E proprio l’amalgama tra pensiero e azione è ciò che il famoso fotografo Ugo Mulas cerca di riprendere e di immortalare nelle sequenze di scatti presenti in mostra, conferendo così un’accezione performativa all’operato dell’artista non solo durante la generazione della sequenza di buchi, ma anche dei celeberrimi Tagli. Come sostenuto da Gillo Dorfles, nel volume Preferenze critiche essi caratterizzano «tele purissime, dove il solo gesto immediato e folgorante dei tagli apponeva una firma insostituibile al dipinto». La tela forata, tagliata, mette in comunicazione lo spettatore con l’infinito; lo spazio bidimensionale, con quello tridimensionale del cosmo e delle galassie. Ma l’attenzione di Fontana si focalizza anche sulla luce e sui materiali studiandone i riflessi e le ombre. Nel trittico Concetto spaziale. New York (1962) i lunghi tagli presenti sulla superficie del rame conferiscono la verticalità di quei grattacieli da cui Fontana era rimasto colpito, ma allo stesso tempo la lucidità della lastra consente il riflesso della luce verso il basso, richiamando l’effetto prodotto dai grattacieli di Manhattan sul mare che la circonda. Nell’evoluzione del pensiero che caratterizza l’artista, ci si imbatte nell’ellissi, che a differenza di quanto attribuitogli dalla critica, ovvero di essere un profondo conoscitore della fisica e delle teorie di Einstein, egli trova la più semplice, la più adatta a descrivere il concetto legato all’espansione dell’universo.
E sulle superfici dei più differenti materiali, egli continua la sua ricerca attraverso la creazione di fori, che diventano nuovamente mezzi per la rivelazione dell’infinito. Il percorso espositivo si chiude con il susseguirsi di opere di diversi artisti quali Enrico Baj, Alberto Burri, Enrico Castellani, Luciano Fabro, Piero Manzoni, Giulio Paolini, Paolo Scheggi, suoi contemporanei, con i quali egli aveva intessuto relazioni di confronto e scambio. Di particolare importanza l’opera Linea m 9,48 di Manzoni, riportante un’etichetta scritta a mano dall’artista stesso, di cui Fontana riconosceva l’importanza, essendo, come sostenuto da Barilli «opere che anticipano l’arte concettuale, in quanto offrono bene scarsi appigli fisici, richiedendo una larga e prevalente integrazione immaginativa; tipici in tal senso i recipienti che contengono linee di varia lunghezza, fruibili comunque più che altro con l’immaginazione». L’opera La fine di Dio, di forma ellittica, come un uovo sulla cui superficie sono presenti molteplici buchi, completa il percorso espositivo e, come spiegava lo stesso Fontana a Carlo Cisventi, in un’intervista del 1963: «Per me significano l’infinito, la cosa inconcepibile, la fine della figurazione, il principio del nulla». Di questo ciclo Fontana dice: «C’era il buco che è sempre il nulla, no? E Dio è nulla […] Dio è invisibile, Dio è inconcepibile. Dunque, oggi un artista non può presentare Dio su una poltrona col mondo in mano, la barba… E allora ecco, che anche le religioni, devono aggiornarsi con le scoperte della scienza […]». A corredo della mostra il Catalogo edito da Silvana Editoriale, che oltre ai contributi dei curatori contiene anche quelli di Paolo Campiglio, Mauro Carrera, Lara Conte, Maria Villa.
Info:
Fondazione Magnani-Rocca.
Via Fondazione Magnani-Rocca
443029 Mamiano di Traversetolo, Parma.
Tel. 0521 848327 / 848148
www.magnanirocca.it
info@magnanirocca.it
Lucio Fontana. Autoritratto, foto installazioni. Crediti Fotografici: Tommaso Crepaldi-Kreativehouse, courtesy Fondazione Magnani Rocca
Lucio Fontana. Autoritratto, foto installazioni. Crediti Fotografici: Tommaso Crepaldi-Kreativehouse, courtesy Fondazione Magnani Rocca
Lucio Fontana. Autoritratto, foto installazioni. Crediti Fotografici: Tommaso Crepaldi-Kreativehouse, courtesy Fondazione Magnani Rocca
Lucio Fontana, Concetto spaziale, New York 10, 1962, lacerazioni e graffiti su rame, 234 x 94 cm (ogni pannello) Milano, Fondazione Lucio Fontana. © Fondazione Lucio Fontana by SIAE 2022
Lucio Fontana. Autoritratto, foto installazioni. Crediti Fotografici: Tommaso Crepaldi-Kreativehouse, courtesy Fondazione Magnani Rocca
Di formazione scientifica, ma con grande passione per l’arte, che ama raccontare, ammirandone tutte le sue espressioni.
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