Ragnar Kjartansson (Reykjavik, classe 1976) è un artista islandese di grande complessità e generosità espressiva: il suo linguaggio visivo è catalogabile soprattutto in ambito performativo, eppure coinvolge molteplici media espressivi, con riferimenti a trecentosessanta gradi che spaziano dalla video installazione, al disegno, alla pittura. In questo modo, attraverso una sorta di debito nei confronti del teatro e della tragedia classica, riesce a procedere su una molteplicità di livelli, incorporando frammenti, cammei e citazioni della storia del cinema, della musica, della cultura visiva e della letteratura. Il tutto in modo molto pacato e con grande dominio di ogni più piccolo aspetto compositivo.
Kjartansson, che ha rappresentato il suo paese alla Biennale di Venezia, nel 2009, per poi essere invitato, al Palazzo Enciclopedico, mostra centrale firmata da Massimiliano Gioni per la Biennale del 2013, ha un curriculum di tutto rispetto, avendo conseguito personali al Reykjavík Art Museum, al Barbican Centre di Londra, all’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington D.C., al Musée d’art contemporain de Montréal, al mitico Palais de Tokyo di Parigi, al New Museum di New York, al Migros Museum of Contemporary Art di Zurigo, e così via.
Ora, il De Pont Museum gli dedica una bellissima e impeccabile personale, e va sottolineato che questa è la prima volta che l’autore viene proposto nei Paesi Bassi. La mostra, oltre a confermare il fatto che il suo lavoro è incentrato soprattutto sugli aspetti performativi del work in progress, include l’anteprima mondiale della sua grandiosa video installazione No Tomorrow, datata 2022. Quest’opera è stata realizzata da Ragnar Kjartansson con la collaborazione della coreografa Margrét Bjarnadóttir e del compositore Bryce Dessner. L’installazione è avvolgente e si basa su sei schermi di grandi dimensioni dove vengono proiettate le azioni di otto donne, vestite in jeans e T-shirt bianca, che suonano la chitarra acustica, in una sorta di carosello circolare e di perdita di coscienza (vi ricordate delle danze sufi e dei tarantolati?), dove la musica diviene danza e la danza diviene musica. Il lavoro incorpora una canzone basata su una molteplicità di fonti e di frammenti; così una novella di Vivant Denon (1747 – 1825, scrittore, incisore, storico dell’arte, egittologo, diplomatico) trova qui la sponda con i versi della poetessa greca Saffo, fino a sconfinare nell’evocazione della pittura (semplice, umile, quotidiana) di Antoine Watteau. Nelle parole dell’artista: “In No Tomorrow suoniamo motivi classici della cultura occidentale nel tentativo di creare un nuovo modo di fare musica e una nuova modalità di presentarla. Usando i movimenti delle ballerine per creare la musica e un suono su 30 canali e un’installazione video su 6 canali per rifletterla nello spazio espositivo. Stockhausen incontra il Grand Ole Opry, come Bryce lo descrive. È anche una fascinazione sul nostro ideale di bellezza, la nostra ricerca di essa e l’assurdità delle sue rappresentazioni, ispirate dalla frivolezza e realtà dei dipinti rococò, del balletto classico e dalle canzoni e danze dei film. Le performer hanno contribuito molto a creare questo pezzo con noi, è un loro ritratto e della loro arte” (“In No Tomorrow we’re playing with classic motifs of Western culture in an attempt to create a new way of making music and a new way of presenting it. Using the movements of the dancers to create music and a 30 channel sound and 6 channel video installation to reflect it in the exhibition space. Stockhausen meets the Grand Ole Opry, as Bryce describes it. It is also a wondering on our ideals of beauty, our search for it and the absurdity of its representations, inspired by the frivolity and reality of rococo paintings, classical ballet and song and dance films. The performers all took a great part in creating this piece with us, it is a portrait of them and their art”).
A fianco di questa mega installazione vengono esposte altre opere significative della sua carriera artistica, come il video Me and My Mother (acquistato da De Pont nel 2020) assieme a dipinti, sculture, schizzi e grafiche. La sala principale del museo sarà il palcoscenico della performance Woman in E (la prima realizzazione è del 2016): quattordici performer, a rotazione e per tutta la durata della mostra, interpreteranno questa sorta di piccola recita edulcorata. Eccone un breve resoconto: una donna, che indossa uno scintillante abito dorato, si trova su una pedana rotante a strimpellare, con una chitarra elettrica, in maniera monodica e ossessiva, un accordo in mi minore. La profusione dell’oro (nel fondale, nella pedana, nell’abito) rinvia a Las Vegas, a quel senso di spettacolo un po’ triste e stiracchiato che rende privo di senso qualsiasi percezione del passaggio dalla luce artificiale alla luce del sole, e questo per ogni giorno e per tutti gli anni. La vita non può avere interruzioni e l’oro ne è il luccicore falso e coinvolgente. Che si tratti di un ragionare sulla vanitas o siamo in presenza di un memento mori? Si suona, si balla e, come in un quadro di Bruegel, il trionfo inevitabile è poi quello della morte; un po’ come nella partita a scacchi del cavaliere con la Morte, nel film di Bergman. La sensazione che se ne ricava è di malinconia, tristezza e angoscia. Lo spunto per quest’opera non sarà stato originato da un confronto con l’incisione di Dürer e con la filosofia che vi sta dietro, ma di certo la sensazione è di una vita dove le ragnatele del tempo hanno creato una cappa che nel suo avvolgerci non ci dà via di fuga. Come dire, la consapevolezza è quella del nostro vivere in società, nel nostro essere animali sociali e non eremiti abbarbicati sulla cima del monte, con le gioie e le tristezze che ne conseguono, le cadute e gli errori di cui siamo causa o di cui siamo vittime.
La mostra, dal titolo Time Changes Everything, è curata da Martijn van Nieuwenhuyzen e Maria Schnyder.
Roberto Vidali
Info:
Ragnar Kjartansson, Time Changes Everything
17/09/2022 – 29/01/2023
De Pont Museum
orari: da mar a sab: 11.00 – 17.00
giovedì ingresso libero: 17.00 – 21.00
Wilhelminapark 1, Tilburg, NL
depont.nl
Ragnar Kjartansson, Margrét Bjarnadóttir e Bryce Dessner, No Tomorrow, 2022, fotogramma da video. Installazione sonora a sei canali video, 29′ 18”. Commissionata da Sigurður Gísli Pálmason, basata sul previo balletto No Tomorrow commissionato dalla Compagnia Iceland Dance. Courtesy gli artisti, Luhring Augustine, New York e i8 Gallery, Reykjavik
Ragnar Kjartansson, Woman in E, 2016, performance. Originariamente presentata e organizzata dal Museo di Arte Contemporanea di Detroit, Michigan. Ph. Corine Vermeulen, courtesy foto MOCAD. Courtesy opera l’artista, Luhring Augustine, New York e i8 Gallery, Reykjavik
Ragnar Kjartansson, Woman in E, 2016, performance. Originariamente presentata e organizzata dal Museo di Arte Contemporanea di Detroit, Michigan. Ph. Elisabet Davids, courtesy l’artista, Luhring Augustine, New York e i8 Gallery, Reykjavik
Ragnar Kjartansson, The End – Venezia, 2009. Performance di sei mesi durante la quale sono stati prodotti 144 dipinti olio su tela. Padiglione Islanda, Palazzo Michiel dal Brusà, 53° Biennale di Venezia, 2009, dal 14 giugno al 22 novembre, ogni giorno per sei ore. Collezione Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Turino. Ph. Rafael Pinho, courtesy l’artista, Luhring Augustine, New York e i8 Gallery, Reykjavík
Ragnar Kjartansson, The End – Venezia, 2009, 144 dipinti olio su tela, dimensioni variabili. Performato al Padiglione Islanda durante la 53° Biennale di Venezia, dal 14 giugno al 22 novembre, ogni giorno per sei ore. Collezione Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Turino
È direttore editoriale di Juliet art magazine.
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