La 14sima edizione di Art Verona ǀ Art Project Fair conferma la manifestazione come una realtà in crescita, orientata a promuovere un collezionismo di qualità che non necessariamente richiede investimenti economici proibitivi. Il secondo anno della direzione artistica di Adriana Polveroni vede il coinvolgimento di 150 espositori focalizzati sugli artisti italiani (ecco perché #backtoitaly) che si confrontano sul tema dell’utopia, un invito a vivere il collezionismo come possibilità di promuovere nuovi valori e di appassionarsi non solo all’arte ma al mondo. Nella Main Section, asse principale che attraversa i due padiglioni della fiera, si mescolano artisti storicizzati del Novecento, mid career e giovani: ancora manca la presenza delle gallerie leader della scena italiana (molto affezionate ad Artissima e Miart) ma le proposte sono convincenti e meditate, molto attente alla qualità nella sezione moderna e sensibili alle nuove istanze culturali ed estetiche nel settore più strettamente contemporaneo.
Si consolida l’area dedicata alla ricerca e alla sperimentazione, che costituisce uno degli aspetti più interessanti e vitali della fiera: tornano quindi Raw Zone, area riservata ai solo show, Scouting, composta da 16 gallerie di taglio sperimentale che presentano 3 artisti ciascuna, e la corsia dedicata ai Project Space, sempre più attivi nell’individuazione e nel sostegno degli artisti emergenti. È invece una novità assoluta il progetto Focus on, che riunisce gallerie provenienti da un Paese ospite, quest’anno la Lituania con la sua vivace scena artistica grazie alla collaborazione con Julija Reklaité, addetto culturale della Repubblica Lituana in Italia.
Tra i lavori in mostra troviamo molta pittura, nelle sue varie declinazioni stilistiche e tecniche, fotografia, sempre più inscindibile dalla rielaborazione digitale o manuale, e scultura di piccole e medie dimensioni. La prevalenza, come è ovvio che sia in una situazione fieristica, è di stand che presentano proposte variegate non raccordate da un filo conduttore stringente (il tema curatoriale suggerito aleggia come intenzione senza offrire molti riscontri immediati), tra cui ci siamo divertiti a individuare alcuni elementi ricorrenti lasciandoci guidare dalla curiosità e dall’irresistibile attrazione per alcune opere.
Anzitutto abbiamo notato un serpeggiante ritorno del ritratto, inteso come attestazione di presenza, indagine sociale, introspezione, provocazione o strumento critico: si va dai collages materici dello street artist americano Bäst (Cellar Contemporary) che stratifica sulla tela reperti e immagini tratti dalla strada in un infinito processo di sovrapposizione e mascheramento, al fotoritratto su carta di credito del trio sloveno Janez Janša (MLZ Art Dep), esito di una performance relazionale realizzata nel 2015 con l’inconsapevole collaborazione della Nova Ljubljanska Banka. Il servizio di carte di credito personalizzate della banca è stato infatti utilizzato per realizzare un ritratto di ciascuno dei 3 artisti derivato dalla frammentazione delle foto ingrandite dei loro documenti identificativi successivamente ricomposte in un grande mosaico di carte di credito customizzate. L’opera critica dall’interno la fittizia sensazione di affinità con il cliente che questo servizio vuole suggerire e l’ipotesi non molto lontana di un nuovo documento d’identità che registri anche le transazioni finanziarie dell’utente. Al controllo sociale allude anche la serie Self Portrait from Surveillance Camera (2018) di Irene Fenara (UNA), una serie di autoscatti realizzati dall’artista posizionandosi di fronte alle telecamere di sorveglianza di vari luoghi, sempre inquietantemente solitari, e recuperando in rete il fermo immagine del proprio passaggio. Il risultato è un intrigante gioco di presenza-assenza in bilico tra voyeurismo e riappropriazione del sé. Accanto a questi esempi non possiamo fare a meno di citare un classico del genere, I’d like to be a cubist sculpture in another life (2005) di Urs Lüthi (Galleria L’Elefante) in cui l’artista svizzero fonde in bronzo il proprio busto sostenuto da un instabile totem di scomposizioni cubiste, e una vera e propria chicca, una lettera affrancata che Maurizio Cattelan si è auto-inviato negli anni ’90 sostituendo al regolamentare francobollo la propria beffarda effige (Nicola Turco arte contemporanea).
La storia dell’arte si autoalimenta attraverso un continuo gioco di rimandi e citazioni, come rileva Adriano Altamira nella serie di fotocollage intitolata Area di coincidenza (Studio G7). La sopravvivenza e l’analisi delle immagini del passato è il punto di partenza anche per la ricerca di artisti più giovani, come Serena Gamba (Isolo 17 Gallery) che propone una rigorosa mappatura che concettualizza un sabba di streghe di Francisco Goya attraverso parole disegnate su tela parzialmente cancellate da ricami a filo nero o Vik Muniz che s’ispira ancora al maestro spagnolo per comporre un distopico paesaggio miniaturizzato in cui i residui della filiera produttiva sembrano aver definitivamente annientato l’uomo. All’arte come mestiere legato a un patrimonio di tecniche e strumenti tramandati nel tempo allude invece l’opera/oggetto presentata da Spazio Buonasera, una confezione di pastelli a cera autoprodotti dai sette fondatori del progetto.
L’artificialità del paesaggio contemporaneo come sintomo di un nuovo stile di vita e di una nuova estetica accomuna i rigogliosi intrecci vegetali dello street artist Tellas (Magma Gallery) in cui la fluidità delle linee naturali diventa una campionatura genetica di pattern decorativi tendenzialmente monocromi, i rendering 3D di Matilde Cassarini (Porto dell’Arte) che esaminano un archivio di architetture brutaliste sovietiche trasformandole in modelli fantascientifici e i sintetici interni domestici di Laura Giardino (Area/B) resi ostili da incongruenze e trappole che ricordano le sempre più sofisticate stanze virtuali dei videogiochi creati con grafica digitale. L’apoteosi della mistificazione si raggiunge nella Sheep n.16 di Yang Maoyuan (ABC-ARTE), una vera pecora gonfiata e tinta di blu come estrema derivazione della pecora Dolly, il primo essere vivente clonato artificialmente. La nostalgia di un paesaggio chiaramente leggibile e la constatazione della sua impossibilità nell’era della moltiplicazione delle immagini è invece al centro dei fotomontaggi analogici in bianco e nero di Roberto Rinella (aperto al contemporaneo), che sovrappongono scorci panoramici reali in spazi saturati dalla simultaneità.
Il fascino conturbante dei materiali contemporanei con le loro allettanti cromie e la loro muta efficacia nell’evocare mondi familiari e stranianti al tempo stesso è una fonte di ispirazione sempre più frequente per le giovani generazioni. Segnaliamo a questo proposito le sculture eleganti ed equilibrate di Martino Genchi (Galleria Michela Rizzo), i sensuali guardrail verniciati di Giovanni De Cataldo (z2o Sara Zanin Gallery), la soffusa pittura cosmetica di Serena Vestrucci (Galleria Fuoricampo) e la raffinata installazione di Agostino Bergamaschi (Galleria Massimodeluca) che interpreta in chiave quintessenziale le creature fantastiche dei bestiari medievali attraverso originali accostamenti materici e stilistici.
Bäst, Sei cappelli, 2018, tecnica mista su tela (Cellar Contemporary)
Janez Janša, All About You, 2015 (MLZ Art Dep)
Irena Fenara, Self Portrait from Surveillance Camera, 2018, digital print on hahnemuhle paper (UNA)
Adriano Altamira, Area di Coincidenza: Pietà, 1990-2009, fotocollage (Studio G7)
Serena Gamba, Lettura e obnubilamento de Sabba di Streghe, 2018, grafite su tela, filo nero (Isolo 17 Gallery)
Tellas, Wet Tropics, 2017, acrilico su tela (Magma Gallery)
Matilde Cassarini, News From Nowhere – nowhere #3, 2018 (Porto dell’Arte)
Laura Giardino, Flood 01, 2016, tecnica mista su tela (Area/B)
Martino Genchi (Galleria Michela Rizzo)
Giovanni De Cataldo, Yoshi, 2018, guardrail verniciato (z2o Sara Zanin Gallery)
Urs Lüthi, I’d like to be a cubist sculpture in another life, 2005 (Galleria L’Elefante)
Maurizio Cattelan, Senza titolo, 1994 (Nicola Turco arte contemporanea)
Vik Muniz, Saturn devouring one of his son, after Francisco de Goya y Lucientes, 2005, stampa cromogenica
Wax pastels, 2018 (Spazio Buonasera)
Yang Maoyuan, Sheep n.16, 2003, pecora tinta e gonfiata (ABC-ARTE)
Roberto Rinella, collage fotografico (aperto al contemporaneo)
Agostino Bergamaschi, 2018 (galleria Massimodeluca)
Serena Vestrucci, Trucco, 2018 (Galleria Fuoricampo)
Ale Guzzetti, Dies Irae Gregorian robotic chair, 2011-2012, resina, silicone, led, voci sintetiche e circuiti elettronici (Valmore Studio d’Arte)
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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