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Residenza come riflessione sul tempo e sull’attesa: Raffaele Di Vaia al Cassero di Poggibonsi

Non sono una novità i progetti che sanno coniugare arte contemporanea e rigenerazione del patrimonio storico e artistico, ma sono sempre da lodare le progettualità che riescono a unire diversi partner istituzionali, come Comune, Regione e associazioni che partono dal basso. Queste iniziative, spinte dall’amore – non strumentale – per il territorio e la comunità con cui dialogano, propongono attività all’insegna della scoperta e della valorizzazione in termini culturali, di vita e non esclusivamente di sfruttamento turistico.

Raffaele Di Vaia, “La casa del custode”, 2024. Veduta della mostra, ph Maurizio Sorvillo, courtesy l’artista

É sicuramente il caso di Mied Media, che da anni lavora nel contesto della provincia senese e in particolare della cittadina di Poggibonsi, realizzando iniziative di produzione e diffusione artistica e letteraria. La nuova scommessa è dedicata al complesso del Cassero di Poggibonsi, che insiste su una straordinaria stratificazione di patrimonio storico, archeologico e paesaggistico, con particolare attenzione agli spazi recuperati della struttura medievale identificati come quelli della “casa del custode”, in questa occasione riaperti e affidati alle cure di un artista. Riqualificazione fa dunque rima con ritorno alla frequentazione, abitazione e conoscenza per una rilettura in senso culturale e produttivo che nella prima edizione del progetto di residenza, inaugurato nel 2024, è stata consegnata a Raffaele Di Vaia, artista di stanza a Prato e legato biograficamente alla cittadina di Poggibonsi, in cui ha trascorso gli anni dell’adolescenza.

Raffaele Di Vaia, “La casa del custode”, 2024. Veduta della mostra, ph Maurizio Sorvillo, courtesy l’artista

Lungo l’arco della permanenza e del lavoro l’artista ha avuto modo di confrontare la sua esperienza personale con le nozioni e conoscenze di alcuni specialisti, quali l’antropologa Maria Elisa Dainelli, il fisico Piero Centorrino, gli archeologi dell’Archeodromo e il geometra Marco Mestri. Queste differenti narrazioni del luogo sono state rimodulate da Di Vaia, che negli angusti spazi della Rocca è stato capace di intrecciare diversi livelli di complessità e modulare la sua proposta in relazione sia a spazi con una ben definita caratterizzazione architettonica, sia all’esperienza della residenza. Il titolo dell’esposizione, “La casa del custode”, conferisce il filo rosso e l’indizio principale nella decodifica delle diverse opere che, senza arrivare a una messa in scena, giocano con l’identità del custode, sospesa tra quella di uomo, in costante attesa, dedicato alla mappatura del sito archeologico, quella del ragno, che nella sospensione mette in atto la sua strategia di attacco, e quella dell’artista stesso, che durante la sua permanenza ha abitato e modulato lo sguardo su quell’orizzonte espanso e quelle stanze buie.

Raffaele Di Vaia, “La casa del custode”, 2024. Veduta della mostra, ph Maurizio Sorvillo, courtesy l’artista

Fotografie che raccontano le prime esplorazioni del sito, mappe fisiche e concettuali della rocca, installazioni e video intrecciano ancora una volta il linguaggio formale di Di Vaia con la dimensione del tempo e del racconto, che diviene uno strumento performativo e biografico nei continui rimandi alla sua storia personale e all’esperienza viva dei giorni vissuti nei panni del “custode”. In questo continuo alternarsi di media, spicca la qualità e la raffinatezza delle opere fotografiche, sia in termini di sguardo, sia nella scelta dei materiali e della modalità di stampa. È il caso della serie di cinque immagini che descrivono l’approccio con lo spazio e il suo recupero funzionale, che passa dal rapporto con il corpo dell’artista, unità di misura percettiva e artistica della rielaborazione. Il primo senso messo in campo è quindi la vista, che guida la scoperta dell’orizzonte lontano e delle tenebre che invece avvolgevano le piccole stanze non ancora dotate di luce artificiale. Queste visioni idealmente dialogano con un “recupero” nell’archivio dell’artista con lo scatto che ritrae i resti di un possibile banchetto di un ragno, dalla sua trappola, la ragnatela, a quel che rimane della preda. Di Vaia propone una riflessione su un luogo di memoria collettiva storica e culturale che è anche un romanzo kafkiano, con molteplici identità e soggetti che si intrecciano e innescano nuove storie e germinazioni, come le parole dell’artista che spesso nel weekend si rende disponibile in mostra per accompagnare chiunque ne abbia voglia alla scoperta della “casa del custode”.

Serena Trinchero

Info:

Raffaele Di Vaia. La casa del custode
23/03 – 30/06/2024
Cassero delle Fortezze di Poggio Imperiale, Poggibonsi (SI)


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