Lo scorso 16 luglio a Montelupo, un piccolo borgo vicino Firenze adagiato tra gli ampi vigneti e i fitti boschi del Valdarno, è successo che l’immateriale ha trovato forma e sostanza tra le placide colline di questo lembo di terra. Tutto è accaduto dalla sera all’alba in occasione di Ceramica OFF, festival urbano dedicato alla cultura, all’arte e all’artigianato e durante il quale ha preso vita anche la performance Sogno 4: Alba Lunare di Reverie (Vinci, 1994).
L’artista che nella sua lunga pratica ha creato uno connubio indissolubile tra vita, arte e parola, lavora incessantemente attraverso la formalizzazione di azioni, sculture, installazioni, video e architetture futuribili, un’attitudine che spinge Reverie costantemente oltre ogni limite sia esso sperimentale, verbale, sonoro, fisico e gestuale. Un’intensa costruzione poetica, materica e concettuale rende il lavoro dell’artista etereo, di una raffinata fattura formale e spirituale. Quello di Reverie è un processo relazionale in continuo divenire elaborato insieme alla lavorazione di più media come il bronzo, la seta, il vetro, gli specchi e la fotografia. Tutte le sue operazioni realizzate nei più importanti musei e istituzioni italiane hanno un valore totale, in senso wagneriano fin da quando negli spazi della Fondazione VOLUME! di Roma Reverie ha eseguito Sogno 1: l’archetipo del sé. Con la performance Sogno 4: Alba Lunare, che ha origine da un incubo, l’artista trasforma le inquietudini notturne in un atto di condivisione, una lirica poetica legata a un momento di rinascita, un sogno lucido che diviene antidoto contro i nuovi mali della contemporaneità. Reverie ci racconta come ha distrutto e ricostruito la Luna e che cosa significa per lei l’alba lunare
Giuseppe Amedeo Arnesano: Come hai vissuto questa esperienza nella terra del tuo lavorare?
Reverie: La performance è una parte di un progetto site specific realizzata per Montelupo, che è un luogo a cui sono molto legata perché mi permette di dare corpo alla mia immaginazione attraverso gli “oggetti da sogno”. Quando mi è stato proposto di partecipare a Ceramica OFF, un festival curato da persone curiose, dinamiche e attente, ero felice di poter dedicare un’opera a questa terra. Ho scelto un giorno in concomitanza con l’anniversario dell’allunaggio e, malgrado il 90% di sicura pioggia, le nuvole si sono diradate e la luna stessa quella notte è stata presente tra il pubblico.
Perché in Sogno 4: Alba Lunare distruggi e ricostruisci la luna?
L’“alba lunare” rappresenta per me il momento perfetto del giorno e di massima riflessione: è legato alle mie sveglie notturne quando dopo lente colazioni mi avvio a vedere il cielo prima del sorgere dell’alba e incontro la luna. Per questa performance, ho voluto raccontare un comune momento catastrofico per esorcizzarlo insieme: ho immaginato la distruzione della luna e la sua ricostruzione. Quando si sogna lo sgretolamento violento di un pianeta, significa che si sta vivendo un periodo di grande stress e tale è stato per tutti noi quello recente e attuale. Ho pensato che fosse importante per tutti idealmente rinascere. A partire dal raggio lunare in proporzione ho così costruito a mano 35 mattonelle di terra cruda di 30 x 30 cm ciascuna. Le ho così collocate nel piazzale della Fornace Cioni Alderighi, cuore della manifestazione toscana, e alle 22 vestita da contemporanea Selene, con tanto di corna in ceramica, le ho violentemente distrutte per poi ricomporre in un faro di luce del diametro di 3,476 cm (sempre in proporzione) la “nuova” luna e poi stendermici sopra. Il pubblico è stato accolto da una mia lettera e come unica richiesta c’era l’assoluto silenzio.
La performance è stata fulminea a differenza dei miei soliti progetti di lunga durata, da un massimo di tre giorni a un minimo di dodici ore; e come sempre accade non si esaurirà qui: l’opera di sintesi sarà realizzata a partire da quei frammenti che colorati e cotti saranno parte del lavoro che verrà acquisito dalla collezione del Museo della Ceramica di Montelupo e anche di questo sono felice e riconoscente alle donne meravigliose che hanno creduto nel mio sognare…
Dalla visione onirica della performance alla materialità della ceramica. Come convivono in te queste anime, quella spirituale e quella del fare, e quali sono le origini della formalizzazione scultorea nei tuoi “oggetti da sogno”?
In generale gli “oggetti da sogno” sono opere slegate dal mio ciclo di performance. Si tratta infatti di elementi che realmente mi compaiono durante i più diversi momenti onirici, dai sogni a occhi aperti a quelli notturni fino agli incubi e ai sogni guidati, e ai quali decido di dare vita. Ho cominciato nel 2018 scegliendo la ceramica proprio per la sua fragile forza e l’intensità leggera per poter concretamente dare corpo a qualcosa che fino a poco prima era intangibile. I primi sono stati ispirati dalle foglie del loto e dell’albero di Giuda e li ho realizzati con oro puro e varie cromie: ho immaginato quelle foglie che mi parlavano all’orecchio proprio come una conchiglia e il suono del mare; ho proseguito poi con uteri di smeraldo, nati da un incubo in cui ho rivissuto abusi subiti; lacrimatoi, uroboro… Potrei dire che tutti gli “oggetti da sogno” (riportano tutti lo stesso titolo) sono una branca intimista della mia produzione sociale e collettiva, ma allo stesso tempo riconosco che anche questi nascono dal mio corpo ma si dirigono verso quello di tutti.
In Sogno 3: La camera degli specchi, messa in scena lo scorso giugno durante il festival FOG alla Triennale Milano Teatro, eri entità singola e allo stesso tempo multipla, immagine riflessa, forma in movimento e senza volto. Per Lacan il concetto dell’altro è un’immagine che aliena, percepita anche come terapia per il senso dell’Io. Qual è il tuo rapporto con l’immagine allo specchio e come vivi l’esperienza dell’azione?
Le percezioni degli altri ci parlano spesso di noi. Sono i nostri specchi più prossimi, forse quelli ai quali prestiamo più attenzione. Ma siamo abituati a restare da soli con la nostra immagine? “Sogno 3” era una performance nata due anni fa e che inizialmente prevedeva la creazione non di “una stanza tutta per” lo spettatore ma di un vero e proprio labirinto di specchi per una dinamicità espansa alla scoperta del sé. Date le circostanze vissute, mi sono fermata a riflettere e ho capito che forse quasi nessuno si era davvero preso del tempo e dello spazio per conoscersi fuori e dentro lo specchio. Ho voluto così stravolgere il progetto, attualizzarlo, e dare la possibilità al pubblico di fare quello stesso identico viaggio che avevo ideato sin dall’inizio, esperendolo da solo con tutti i sé in un luogo circoscritto attraverso una dinamicità soprattutto interiore oltre che spaziale. La mia presenza è stata così solo una voce, una guida invisibile e attenta. Affermavo di essere il loro “osservatore onirico”, proprio come in geometria quando la presenza di un punto esterno che “osserva” gli altri dimostra la loro intrinseca esistenza, o l’osservatore che crea la realtà nella fisica quantistica… Per quanto riguarda il mio personale rapporto con l’immagine riflessa, vorrei riassumerlo in una parola ma non riesco. Da poco più di cento giorni ho infatti iniziato un “diario di specchi” che porterò avanti almeno per un anno. Quotidianamente mi rifletto e scrivo di getto quello che vedo. Qualsiasi cosa io veda, come la vedo e non mi censuro mai.
A tal proposito, le tue azioni sono delle forme di terapia spirituale e allo stesso tempo corporea?
Ho sposato Arte e a lei dedico in purezza ogni giorni della mia esistenza. Non credo assolutamente sia una forma di medicina o un farmaco per lo spirito o per il corpo; non ritengo infatti abbia un valore né legato alla meditazione né alla scienza. Non è nemmeno un credo e lo dico con assoluta convinzione, seppure abbia dedicato il mio ciclo precedente di produzione ai “Sacramenti atei”. Arte è arte, è una persona con un’identità propria, è una presenza con cui molti si relazionano; per me è la donna della mia vita.
Nell’arte il tema della maschera è sempre attuale. Per Nietzsche l’uomo è un attore che per inganno si accorda alle regole del mondo esterno, mentre in Pirandello la maschera è consapevolezza, identità e voglia di uscire allo scoperto, desiderando e raggiungendo la libertà. Durante la performance cerchi la liberazione, la catarsi o rifuggi dalla luce del sole, quindi dalla verità?
Nel Teatro Nō giapponese c’è una cerimonia che permette all’attore di entrare nel personaggio: nella sala degli specchi, kagami-no-ma, cancella le proprie emozioni e indossa la maschera e il relativo archetipo. Spesso vediamo immagini di noi ferme nel tempo. Lo specchio non riporta i nostri cambiamenti interiori e il rischio è quello di smettere di guardarsi come per un presagio di morte: coprire idealmente tutti gli specchi, allontanarci così per paura della malattia, del dolore, della morte. Dietro alla maschera c’è lo specchio, da cui il vero volto traspare. La performance per me è vita condivisa col pubblico. Per questo è verità e accade tutto come deve accadere senza prove, preconcetti, limiti o finzioni. Se la catarsi avviene è collettiva e il mio corpo è solamente un tramite per la realizzazione di queste azioni che rappresentano sempre la comunità coinvolta e la sensibilità globale. Non nego però che le performance possano portare anche a una personale liberazione da parte dell’artista. Non l’avevo mai scritto pubblicamente ma così mi è successo per lo “Sposalizio” del 2016. Da quel momento sono rinata. Ma sempre da quel momento non mi è più importato del mio corpo singolo ma di quello collettivo. Col pubblico siamo una cosa sola: io non esisto malgrado a volte il mio ruolo sia apparentemente principale. Il soggetto è lo spettatore e il mondo che rappresenta: uno specchio attivo della società che muove il mio corpo-voce-essere come una marionetta con i fili. Siamo collegati senza possibilità di recisioni: d’altronde la performance è nel presente, Arte è nel presente e tengo moltissimo all’attualità del lavoro.
Giuseppe Amedeo Arnesano
Info:
Per tutte le immagini: Reverie, Sogno 4: alba lunare, Ceramica OFF, Montelupo Fiorentino, 16 luglio 2021, foto L. Mugri, courtesy l’artista
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