A fronte di un confronto diretto con la contemporaneità, fra scenari artistici bulimici e consumistici propri di una mondanità urbana frenetica e accelerata, Arianna Marcolin, artista poliedrica di formazione veneta, rivendica il valore della lentezza dell’atto artistico nella mostra Stanza iperbarica, una rassegna di sedici opere pittoriche, negli spazi di Ex Elettrofonica in Trastevere.
Ed è proprio a causa di questa eccessiva fruizione e dell’eccessivo consumo che l’attenzione nei confronti del valore qualitativo e substanziale dell’opera viene deviata a favore del dato quantitativo, alle volte mediocre. È bene mettere le carte in tavola da subito e chiarire che ciò che rende mediocre un’opera pittorica è spesso l’eccessiva spiegazione che la decora e che la giustifica come il risultato di una sintesi segnica, quando questa risulta essere grezza e priva di maestranza, ma estremamente catchy; ancora, la si idolatra come epifania, come esito conclusivo di un procedere per sottrazione che, giustificato in nome di un significato ulteriore, può celare lacune tecniche. Basterebbe, quindi, osservare chirurgicamente se, di contro, una pittura meriti davvero il riconoscimento che le viene concesso nel nome di un estenuante perbenismo. Pochi parlano di tecnica pittorica e dei suoi ingredienti: molte tra le penne che si muovono nel mondo della comunicazione dell’arte, di contro, raccontano le rassegne sfruttando e scimmiottando i linguaggi retorici propri dei generi romanzeschi, nascondendosi dietro una presunta libertà di espressione, repressa, però, dall’impossibilità “politica” di esprimere un vero dissenso. Ci vorrebbe, dunque, una forte onestà intellettuale. A sostenere questa riflessione vi è anche la necessità inespressa da parte di alcuni artisti rassegnati e inglobati da questa mondanità, di rivendicare il silenzio nei confronti dell’opera, la riflessione nell’osservarla, il tempo di resa che la pasta pittorica a olio impiega rispetto a quella immediata dell’acrilico. Se dunque le commissioni aumentano, si restringono i tempi di attesa e di costruzione di un pensiero cruciale per lo sviluppo della ricerca di ogni artista.
Stanza iperbarica, di contro, può essere definita come l’ossigeno che permette al sangue di abituarsi a una nuova pressione, la volontà di concentrarsi e isolarsi intimamente di fronte alla tela. «La Pittura – afferma l’artista – è un momento di sedimentazione. La mia pratica è il frutto di una serie di lavori che riflettono sulla realtà intimistica individuale, considerando come elementi primari il ruolo della casa, il silenzio e la quotidianità. La contemporaneità è molto veloce e condivisibile, ed è necessario richiamare l’attenzione sulla lentezza del lavoro. La pittura richiede la tecnica e avere i suoi tempi ad osservare, chiedersi anche qual è il processo di cui ha bisogno l’immagine per avere forza e portarci dove vogliamo». Sebbene un’opinione non basti a fare un caso, resta però indiscutibile l’esigenza di poter ancora rimanere interessati e concentrati sull’oggetto di osservazione, e rimane estremamente necessario parlare di nuovo della pittura in sé, e non soltanto del contenuto che veicola.
La scelta risoluta, da parte di Arianna Marcolin, di focalizzare nel suo linguaggio pittorico l’attenzione sull’oggetto come rappresentazione è chiaramente un espediente intenzionale per innescare un rapporto intimo sempre variabile, che cambia il senso stesso dell’opera a seconda della peculiarità dello sguardo fruitore. L’elogio alla lentezza, per una contemplazione più consapevole e critica, viene sottolineato nelle sedici opere in mostra, non solo dall’attenzione al ritmo, dal formato e dalla composizione della tela scelti, ma anche dalla tipicità di ogni singolo soggetto scelto. L’alternanza fra cromie fredde e calde rivela come l’artista consideri la superficie della tela come un’apertura verso scenari autonomi. Come scrive Andrea Malagamba, «Stanza iperbarica è un luogo di soglia che invita lo spettatore a sporgersi per sentire sulla propria pelle la membrana sottile oltre la quale lo spazio si fa linguaggio di incontro con sé stessi». Questa membrana sottile è visibile nella volontà, espressa dall’artista, di cercare di rielaborare e reinterpretare la luce attraverso il colore che si rifrange nell’oggetto: la granulosità dei fasci luminosi in rapporto alle zone d’ombra è percepibile allo sguardo, ma non concretamente nella pasta materica della pittura (In bilico sul confine, 2022). Marcolin padroneggia l’olio stendendolo e sfumandolo sulla superficie, rendendola il più verosimilmente levigata. La percezione dell’esistenza di una matericità nella luce risponde alla matrice ironica della quale l’artista investe i suoi oggetti, cercando di far riemergere ciò che è invisibile.
La complessità delle opere di Marcolin si rileva nella ricerca di un’essenzialità che non si manifesta attraverso un segno sintetico, quanto in quella di un archetipo originario che troppo si è tentato di definire, quanto interpretare e tradurre i suoi significanti in significati. Il processo immaginifico tanto annunciato, che solo alle volte è intento ad attivarsi nella mente di chi osserva, viene esplicitato attraverso un uso sapiente e meticoloso della tecnica pittorica da parte dell’artista, seppur di giovane età, donando a una ciotola (Appena prima, 2020), un’investitura poetica e simbolica accompagnata da una raccolta di versi racchiusi in un piccolo opuscolo e lasciando in stasi l’osservatore.
Info:
Arianna Marcolin. Stanza Iperbarica
Testo critico di Andrea Malagamba
15/09/2023 – 12/10/2023
Ex Elettrofonica – Vicolo Sant’Onofrio 10, Roma
http://www.exelettrofonica.com/it/projects/arianna-marcolin-stanza-iperbarica/
Laureata in Scienze dell’Architettura alla Sapienza di Roma, con diploma di master in Arte contemporanea e Management presso la Luiss Business School, attualmente lavora come stagista e project manager presso Untitled Association. Diplomata in Fotografia e Critica d’Arte a Bologna, attualmente porta avanti i suoi progetti personali ed è parte del team del progetto culturale Forme Uniche.
NO COMMENT