L’inaugurazione della Marlborough Gallery nella 57th Street a New York ebbe luogo il 9 settembre 1975. Era la Galleria che Richard Avedon aveva scelto con cura per esporre i lavori dell’ultimo trentennio e al cui progetto espositivo aveva lavorato duramente nei mesi precedenti l’opening, con l’obiettivo di affermare il valore della propria opera artistica in un’epoca storica in cui la fotografia non aveva sicuramente il peso attuale. Solo nel 1967 una mostra tenutasi al Moma dal titolo “New Documents” aveva celebrato fotografi del calibro di Diane Arbus, Lee Friedlander, and Garry Winogrand, ma il titolo dell’esposizione rendeva chiaro come ancora il ruolo della fotografia fosse relegato al reportage, alla rappresentazione di immagini familiari o di qualunque finalità pratica che non fosse riconoscerne a tutti gli effetti il ruolo artistico. Il pubblico, tuttavia, era molto più avanti rispetto a come le istituzioni vedevano questo medium e ciò fu chiaro proprio in quella sera di inizio autunno, quando più di tremila persone accorsero all’inaugurazione della Marlborough, spingendosi nella calca di un luogo che poteva accoglierne molte meno, per assistere all’evento in cui Dick – così veniva chiamato Avedon dagli amici – aveva messo tutta la creatività che lo caratterizzava da sempre. L’ambiente era rilassato e tutta la gente che conta era presente, era un melting pot che sembrava uscito dalle pagine di un libro di Jay McInerney, dove persone provenienti da ambienti completamente differenti chiacchieravano serenamente scambiandosi opinioni sulle opere in mostra.
Questa sensazione è la stessa che si ritrova guardando il carosello di immagini presentate nella mostra Richard Avedon. Relationships presso il Palazzo Reale di Milano. Le immagini dei personaggi fotografati da Avedon si stagliano su sfondi bianchi, definendo con la loro sagoma dalle sfumature plumbee lo spazio nel quale sono inseriti. Queste dialogano tra loro e con le immagini di Avedon stesso, disseminate per le varie sale, come se i vecchi amici si fossero ritrovati alla stessa inaugurazione del 1975. La sapiente illuminazione degli ambienti fa penetrare lo spettatore in una penombra da cui emergono luminosissime le foto esposte, gioco che dona ancor più risalto ai volti già intensi dei protagonisti. I personaggi vengono sempre ritratti con espressioni non convenzionali che evidenziano l’essenza più profonda della loro anima, mettendo in risalto tutta la loro interiorità, fragilità o il loro carisma. Humphrey Bogart perde così la sua allure spavalda e viene immortalato con un’espressione disarmante, enfatizzata dalle rughe che velano il suo volto intenso. Marilyn Monroe assume una posa meditabonda e insicura, lontanissima dalle immagini sorridenti e seducenti che siamo abituati a vedere. Michelangelo Antonioni, che posa accanto alla moglie Enrica, appare sorridente, con uno sguardo sicuro rivolto verso la macchina fotografica che lo inquadra, ma con la mano intrecciata a quella della compagna al suo fianco. Un’immagine inequivocabile che rivela come il suo status del momento, così fiero e sereno, dipenda dal ruolo della moglie, con la quale ebbe un lungo sodalizio artistico e che fu fondamentale per permettergli di continuare a girare film dopo il grave ictus che l’aveva colpito. I personaggi emergono dai loro abiti, plasmando la loro spazialità e rendendo assolutamente superfluo qualsiasi altro orpello scenografico o elemento di abbigliamento.
Avedon aveva una particolare sensibilità nell’individuare quei piccoli pezzi interrotti che albergano in ognuno dei suoi soggetti, e in fondo la vita lo aveva temprato in questo senso. Era ebreo, aveva studiato in una scuola del Bronx, la sua carriera era decollata dopo esser stato il fotografo della Marina Mercantile, dove aveva scattato centinaia di foto dei documenti dei marinai appena arruolati. Dopo aver lasciato la Marina iniziò a collaborare con riviste come Harper’s Bazaar e Vogue lavorando a fianco di Diana Vreeland, fashion editor della prima rivista, quintessenza di eleganza e stile. In questa prima parte della carriera, intorno agli anni Sessanta, si era concentrato particolarmente in immagini che fossero eleganti e che mettessero in evidenza gli abiti degli stilisti a cui erano dedicati gli shooting, innovando il suo lavoro con immagini che lasciavano a bocca aperta lo spettatore. “Non era un caso” testimoniava Donatella Versace, che aveva lavorato con Avedon per anni e che era diventata essa stessa antesignana testimonial del marchio di famiglia. Nel filmato-intervista proiettato durante la mostra, infatti, Versace mette in evidenza come Avedon intervenisse in ogni scelta che precedeva il servizio fotografico: il make-up, le acconciature delle modelle, tutto affinché la narrazione messa in scena risultasse coerente dal punto di vista artistico, cromatico, scenografico e spaziale.
Nella foto Dovima con gli elefanti, abito da sera Dior, Cirque d’Hiver, Parigi, 1955, caratterizzata da una scenografia immaginifica e dalla flessuosità della modella, si percepisce l’evidente feeling creatosi con una delle donne con cui collaborò più a lungo. Dovima descrisse il loro rapporto “come quello di due fratelli siamesi” e l’immagine simbolo del loro sodalizio di quegli anni dedicati alla moda assicurerà ai posteri un ruolo esclusivo per questa grande amicizia. Avedon era solito affermare che il fascino fosse “la capacità di essere veramente interessati agli altri”. Egli possedeva totalmente questa caratteristica esplicitata durante gli shooting nel parlare con i soggetti che avrebbe fotografato, entrando in empatia e mettendoli a loro agio, comprendendo le loro idee, i loro tormenti e le loro paure. Ciò lo rese, a dispetto di un’iniziale diffidenza della stampa e dei critici, un vero artista indiscusso.
Info:
Richard Avedon, Richard Avedon. Relationships
22/09/2022 – 29/01/2023
Palazzo Reale
Piazza del Duomo 12, Milano
palazzorealemilano.it
Globetrotter, appassionata di letteratura, amante dell’arte e della fotografia. Non parto mai per un viaggio senza portare con me un libro di un autore del luogo in cui mi recherò. Sogno da anni di trasferirmi a Parigi e prima o poi lo farò!
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