Risquons-Tout, ultima mostra presentata a Wiels – Centro per l’Arte Contemporanea di Bruxelles, è un’ampia collettiva di trentanove artisti internazionali, coincidente con la riapertura della stagione espositiva, post-quarantena, nella capitale belga. Ospitata in tutti gli ambienti espositivi del museo, la panoramica si concentra sul lavoro di diverse generazioni: da Sturtevant a Panamarenko, a Ed Atkins e Laure Prouvost, fino alle emergenti, tra gli altri, Nora Turato e Kati Heck. Gli artisti interrogano Leitmotiv di ogni tempo, quanto temi caldi del contemporaneo: postcolonialismo, questioni di genere, critica del capitalismo e della sorveglianza, appropriazionismo, critica istituzionale dell’arte. Questioni indagate con medium coinvolgenti vista, udito, olfatto. Nonostante l’esplorazione di tematiche globali, il focus geo-politico della mostra aspira a concentrarsi, tuttavia, sull’Europa centro-occidentale: la cosiddetta Eurocore. Una macro-area internazionale, estesa tra Parigi, Londra, Amsterdam, e diverse città tedesche, in cui gli artisti scelti si trovano a operare.
La mostra mutua il titolo da Risquons-Tout, centro urbano alla frontiera tra Belgio e Francia, storicamente famoso per un tentativo di golpe, nel 1848, contro la monarchia belga. Due parole combinate, che richiamano sia un luogo reale, sia un imperativo: un’invocazione alla salvezza, una chiamata alle armi, o una reazione a un’emergenza di varia natura.
L’idea di rischio incontra, nella mostra, altri due fili rossi nell’arte di sempre: l’aleatorietà del fare artistico, e la trasgressione. L’artista Isaac Julien, con l’installazione video A Marvellous Entanglement (2019), riflette su possibili modi di pensare il tempo, nonché su paesaggio urbano e utopia urbanistica, diaspora e identità, documentarismo e messinscena. Rievocando una frase di Lina Bo Bardi, architetto di spicco del modernismo brasiliano, Julien orchestra un poetico dialogo tra ballerini e attori, sullo sfondo degli edifici dell’architetto, a cavallo tra metropoli e natura selvaggia.
Di altre distopie riflette, con disincantato spirito polemico, nonché ironia sardonica, il franco-algeriano Neïl Beloufa. L’ennemi de mon ennemi (2018) è un’opulenta installazione sui macroeventi globali degli ultimi decenni. Dal sapore enciclopedico, l’opera fa eco alle installazioni tipiche di musei di storia. Programmaticamente intricata, quanto metodicamente organizzata, l’installazione si sviluppa attraverso una serie di tavoli, mobili e interscambiabili, con stampe, ready-made, e sculture di leader politici, opere d’arte, monumenti, oggetti del quotidiano. Riflettendo sulla caoticità della comunicazione contemporanea, Beloufa attiva uno stratagemma teatrale, notoriamente fondato da Bertolt Brecht: lo straniamento. Nella bassezza dei leader mondiali, dopo averne riso, riconosciamo, smarriti, la nostra stessa fragilità.
Pendant rispetto al lavoro di Julien, l’opera di numerose artiste in mostra analizza ancora tale violenza del linguaggio, ma ponendo al centro dell’indagine, con ardita disinvoltura, il corpo. Monika Stricker, tra pittura, scultura e video, decostruisce e ricostruisce un tabù storico dell’arte occidentale: la rappresentazione del sesso maschile. Cos’hanno in comune protesi, reperto archeologico, e fotografia medico-forense? Riflettendo sulla natura di tali artefatti, Stricker canta un’ode all’assenza, ora del viso, ora degli arti, ora di un organo, che sembra farsi palpabile presenza.
In modo analogo, ma attraverso statement dal sapore autobiografico, Evelyn Taochen Wang studia la rappresentazione del nudo in arte, mutuando tecniche pittoriche classiche dell’Estremo Oriente. L’artista sembra chiedersi: per raccontare la propria identità transnazionale, che parole scegliere, che immagini selezionare? Il sincretismo visivo tipicamente postmoderno sembra qui essere rimesso in discussione, complicato da una riflessione, del tutto personale, sull’identità di genere.
La ricerca artistica sul corpo e sulla sessualità, e su come questi possano sempre avere un’investitura, al di là di ogni epoca, biopolitica, è approcciata, tra gli altri, da Irene Kanga. Forced Love (2019), installazione di sei copie scultoree in cioccolato, a partire da una matrice in argilla, evoca uno stupro di una lavoratrice congolese, perpetrato, nel 1931, da un colono belga. L’evento, che avrebbe portato all’assassinio dell’uomo e, in risposta, al massacro di massa degli impiegati indigeni della piantagione, viene qui rievocato, in modo piuttosto astratto, rispetto al contesto storico di partenza. L’ostensione del corpo incontra, in tale opera, una fragile, nonché edibile, monumentalità.
Un’atmosfera perturbante domina, specie in chiusura, in diverse sale del museo. La sensualità, in pericolo, sembra essere partita dai corpi, e aver trasmigrato altrove.
Elio Ticca
Info:
Risquons-Tout
a cura di Dirk Snauwaert, in collaborazione con Zoe Gray, Devrim Bayar, Helena Kritis e Sofia Dati
12 settembre 2020 – 10 gennaio 2021
WIELS
Avenue Van Volxemlaan 354, 1190, Bruxelles
Nora Turato and Tarek Lakhrissi. Installation view, Risquons-Tout at WIELS, Brussels. Courtesy WIELS
Neïl Beloufa, L’Ennemi de mon ennemi, 2018. Installation view, Risquons-Tout at WIELS, Brussels. Courtesy WIELS
Irene Kanga, Forced Love, 2019. Installation view at Risquons-Tout at WIELS, Brussels. Courtesy WIELS
Evelyn Taocheng Wang, False poster, 2020. Risquons-Tout at WIELS, Brussels. Courtesy WIELS
Elio Ticca (Nuoro, 1988) è un artista visivo e autore. Laureato in arti visive e storia dell’arte, collabora con Juliet Art Magazine e altre testate giornalistiche. Vive e lavora a Bruxelles.
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