Saba Masoumian. Un’eco lontana

Una musica suona in lontananza, una malinconica musica latina; qualcuno è passato da quella casa, non ci è dato sapere chi, forse perché laggiù non esiste tempo, le presenze sono oniriche, inconsce, sono racconti che continuano in uno spazio indefinito tra passato e presente. In questi luoghi si instaura un linguaggio tra le esperienze primordiali e il ricordo e ogni oggetto è permeato dal tempo; essi portano con sé  un alito di esistenza, cadente nell’oblio, è così che trascendono dalla morte.

Suggestioni intime, effimere, innocenti e rarefatte, ma con sordidi rimandi. Creature che ci introducono in realtà sconosciute, in pensieri ingannevoli e atroci verità, questa è l’arte di Saba Masoumian, artista iraniana, che alza il sipario sulle sue opere e contemporaneamente, sul palcoscenico del suo inconscio, quello più atavico e remoto, introducendoci in quel microcosmo simbolico quale è il suo mondo, basato sulla trascendenza, sulla metamorfosi e sull’inquietudine. La sua poetica è rinchiusa in scatole, esse ci ammaliano con piccoli e poetici luoghi estranei al tempo, fragili prigioni in cui sono transitate fuggevoli esistenze. L’artista costruisce con minuzia frammenti di realtà, instanti di Purgatorio: un bagno arrugginito, un vecchio cavallo a dondolo che riporta al passaggio di un bambino, scarpe abbandonate, una sigaretta dimenticata accesa sul posacenere. Opere al contempo cupe e grottesche in cui nascono, sfumano, trapassano presenze con simbologie spesso dualistiche ed è così che ci troviamo spaesati dinanzi alla vitalità del sangue, che ci appare perfino nella sua forma più materna e naturalmente cruda di cordone ombelicale in quanto legame inestinguibile con la vita; il suo colore rosso attraversa scorrendo le stanze, libero senza tabù per poi dileguarsi in uno scarico arrugginito fino ad incontrare la morte e la sofferenza. Quelle di Saba Masoumian sono racconti di vita e delle loro zone d’ombra, in questi piccoli mondi si rivelano realtà che non sono state e per questo veritiere, con lasciti di sentimenti, di abbandono da cui sorge il ricordo mimesi del dolore. Gli oggetti che l’artista lavora minuziosamente quali una saponetta, le piastrelle, lo specchio, gli organi, sono vestigie, sono la poesia della memoria di quella più profonda e sincera e per questa ragione truce crudele e dolorosa, poiché rivelatrice dell’inconscio, il quale conduce ad affrontare reminiscenze di una repressione vissuta. Il cambiamento è un continuo susseguirsi nei lavori dell’artista, dal dolore che si trasforma in liberazione, alla rappresentazione della sessualità soppressa e ritrovata attraverso la lugubre immagine di una capra appesa sanguinante, in primo piano lo squarcio che denota il simbolo dell’organo femminile, una femminilità, una vita che rinasce attraverso la grazia di una farfalla, viva, cangiante che con le sue ingenue  ali variopinte, va a posarsi proprio sull’animale esanime, ridonandogli speranza e dignità e sarà poi il leggiadro lepidottero insieme ad altri a trovare, nello scorcio di una piccola finestra  aperta, la forza del  vento, del volo dell’indipendenza e della tanto ricercata libertà. Un costante divenire quello dell’artista nelle sue opere, che cresce, muta, attraverso i suoi simboli, rimanendo immensamente legata alla madre terra, descritta sempre con assoluta semplicità, anche nella sua più grande crudezza. Questa necessità di volare, di vivere appieno l’indipendenza e l’emancipazione conquistata è testimoniata proprio nei suoi ultimi lavori, dove la metamorfosi e lo sviluppo dell’artista arrivano al suo apice.

In questo secondo atto trapela un’innocenza apparente e sconcertante, in cui l’artista cerca di liberarsi dai fantasmi del passato per cadere e catturare quelli presenti del mondo che la circonda. Lascia questo compito a delle figure estranee ingenue e mitologiche, ovvero dei   curiosi volatili, quali rivelatori di percezioni e sentimenti a noi ormai estranei, portatori di immagini che rappresentano non solo la convivialità, ma anche il rispetto per la natura e per l’altro. In queste opere, Saba Masoumian con il suo costante linguaggio di allegorie, descrive la freddezza dell’uomo postmoderno, evidenziando il suo essere meccanico privo di sentimenti, i cui pezzi si possono assemblare come se esso fosse un dispositivo, una macchina. Gli organi dell’amore, della riproduzione, della sessualità, sono descritti dall’artista in maniera cruda, come se non fossero collegati tra di loro e funzionassero ormai per automatismi. Masoumian affronta qui il concetto della società contemporanea, di un uomo incapace di comunicare, narcisista, vorace ed egoisticamente possessivo; appare in queste tele il legame tra il sesso e i sentimenti e delle relazioni minuziose di organi sessuali narrati come rabbiosi e repressi, specchio di esseri avari che hanno abbandonato i propri sentimenti sopraffatti dalle frustrazioni, divenendo irriguardosi nei confronti  della società, di loro stessi e dell’ambiente.

L’artista pone nelle sue estemporanee e soavi presenze la capacità di rieducarci e riportarci al nostro primario senso istintivo ovvero il legame con la terra, ne conseguirà il rumore del silenzio della complessità umana che si apre al cospetto della natura, da qui le trame di vite non vissute che echeggiano in lontananza, che sovrastano sempre il nostro essere ed il nostro buio.

In mostra alla galleria VILLA CONTEMPORANEA di Monza dal 30 settembre al 25 novembre 2017

Leda Lunghi

Saba Masoumian, Scatola, 2016, tecnica mista con specchio sintetico su creta, polimeri espansi e legno (detail)

Saba Masoumian, Uccelli, 2017, tecnica mista su ferro, polimeri espansi, legno

Saba Masoumian, Scatola, 2016, tecnica mista con specchio sintetico su creta, polimeri espansi e legno


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