Nel cuore di Milano Samantha Lina apre – per la prima volta – le porte del suo studio. Una selezione poliedrica di opere racconta il suo viaggio da artista fra emozione e creatività. La sua arte è una danza silenziosa e meditativa, un intreccio di materia e significato che invita lo spettatore a riscoprire il valore del simbolico e del sentire. Attraverso un linguaggio multiforme – dalla pittura alla scultura, dal collage al video – un mondo inquieto e affasciante disegna percorsi che vanno oltre il visibile e regalano una percezione sospesa di attesa e movimento, staticità e trasformazione. La mostra “La danza nel giardino” allestita in studio, è uno sguardo intimo su un percorso artistico che sfugge alle definizioni e si lascia scoprire come una rivelazione. Samantha Lina, che nel suo universo di simboli e forme parla una lingua antica e profondamente umana, ci invita in questa intervista a un ascolto profondo e a un coinvolgimento autentico, guidandoci oltre i confini della rappresentazione tradizionale.
Francesca Liantonio: Uno studio d’artista custodito in un luogo storico di Milano: il Palazzo delle Stelline. Come ci si sente?
Samantha Lina: Il Palazzo delle Stelline ha per me da sempre un fascino misterioso, un legame sottile con storie passate e ricordi nascosti. Qui si respira un’energia femminile, un richiamo al lavoro di mani esperte e sapienti: storie di cura e di crescita attraversano questo luogo. Accanto agli importanti uffici di oggi, vi è ancora l’edicola di Santa Maria della Stella. Un luogo dalla memoria profonda, una storia che sento viva e pulsante: soffermandosi in silenzio, si ha quasi l’impressione di sentire ancora le risate delle “stelline”, di tutte le bambine durante la ricreazione sul prato. Chi ha vissuto questo luogo, ve ne ha lasciato una parte indelebile di sé.
Cosa rappresenta per te questa danza e come si riflette in ogni opera?
La danza nel giardino è una danza di morbidi sguardi, che attraversa lo spazio del mio studio e di cui anch’io faccio parte. Aprire questo mio luogo di lavoro, mi ha reso partecipe a questo incontro di ballo, fatto non solo di forme e colori, ma sguardi, emozioni, e connessioni. È una danza silenziosa e collettiva, un percorso intimo e meditativo, un cammino unico e circoscritto per un momento di condivisione autentica in cui ogni visitatore porta il proprio sentire, arricchendo il significato di ogni opera con la propria presenza e sensibilità.
Il tuo desiderio è invitare lo spettatore a “sentire” e unirsi a questa danza visiva. Come immagini questa metaforica e speciale interazione?
Immagino che, muovendosi nello spazio espositivo, il pubblico possa sperimentare il piacere non solo del “vedere” ma soprattutto del “sentire”: un invito a lasciarsi catturare da un dettaglio, una forma, un colore. Ho creato un percorso libero, una sorta di coreografia pensata appositamente per accompagnare il visitatore lungo il filo della mia ricerca, una danza visiva che mi auguro susciti curiosità e meraviglia. Spero che chi osserva possa entrare in contatto con un’immagine lontana dal quotidiano, un ricordo, un’idea e – contemporaneamente – con la materia stessa dell’opera. Questo incontro tra spettatore e opera diventa così una speciale interazione, un momento sospeso in cui si può “sentire” e partecipare alla danza che ogni pezzo racchiude, riscoprire la vita di qualcosa in estinzione.
La tua pratica artistica esplora tecniche differenti. Come avviene la scelta del medium da utilizzare?
La scelta dipende sempre dallo spazio che mi trovo a dover allestire, dal progetto che intendo realizzare e dal sentire di chi commissiona l’opera. Se creo per me stessa, il medium dev’essere funzionale alle condizioni di lavoro in cui mi trovo. Potrei essere in studio, in viaggio, avere a disposizione uno spazio ristretto o tempi ben definiti. Ognuno di questi elementi influisce sulla mia scelta. Dunque il medium diventa un dettaglio puramente tecnico, funzionale al momento. Solo dopo si trasforma nell’unico medium adatto al mio messaggio, che coglie la mia ricerca di espressione in quell’istante.
Il legame fra arte e vita racchiude per te tempo e memoria. Questi concetti descrivono una dimensione fluida del processo creativo a volte inatteso. Quanto è importante l’improvvisazione rispetto alla pianificazione?
Per me, l’atto creativo è una sospensione, un’attesa che si carica di significato, dove elementi come il particolare e la spirale diventano simboli di un’evoluzione naturale e temporale. La spirale rappresenta il caos, una matassa intricata che si oppone alla linea o al filo ordinato. Queste immagini ritornano nei nomi delle mie opere come presenze ricorrenti, segnando i simboli del mio processo creativo. In Habitus: un abito da sposa diventa presenza effimera, un leggero fiocco ne simboleggia un’unione speciale, un’apparizione della parola anima Anima si manifesta alla mente più attenta e si espande. L’opera non si ferma al visibile, ma si apre a un significato nuovo, oltre quello che all’inizio vi avevo immaginato, dimostra un potenziale che forse non avevo ancora intuito. È in questa dinamica di sorpresa e apertura che percepisco ogni mia opera viva e aperta, dal momento della creazione al tempo a venire.
La natura simbolica è il centro del tuo percorso artistico. Come nascono i simboli che utilizzi e come riesci a rendere vibrante ogni dettaglio per nuove interpretazioni?
I simboli che utilizzo nascono spesso dai dettagli del quotidiano: ritagli di giornali, frammenti anatomici, immagini comuni che catturano la mia attenzione e diventano essenziali nella loro contestualizzazione nello spazio – sia esso una tela, una scatola, un monitor, o un’installazione. È come se fossi una calamita, sempre allerta a ciò che mi circonda, una sensibilità che mi porta verso elementi in apparenza marginali o scartati, e che inaspettatamente si rivelano per il loro profondo significato. Alcuni simboli arrivano spontaneamente, durante la giornata o persino nei sogni, come richiami di un linguaggio primordiale. Mi attrae questa fervida forza – e a volte ambivalente – di certe immagini: ad esempio il simbolo della bicicletta che svolta presente in Dreadlocks. Mentre i simboli fissi hanno un significato condiviso e riconoscibile, i frammenti che scelgo sono volutamente aperti e vibranti, capaci di esprimere potenzialità infinite. Questo potenziale permette all’opera di “muoversi” sia nella fase creativa che interpretativa, creando una sorta di dialogo continuo. In fondo è proprio questa la forza dei simboli arcaici e delle geometrie pure: il cerchio o il caos ordinato di una spirale portano con sé la capacità di trascendere il tempo, di fremere dall’interno. È lo stesso motivo per cui amo lavorare con figure che, accostate o contrapposte, esplodono di significati, come nel concetto di Riciclo perpetuo: un equilibrio tra caos e direzione, una moltitudine che vibra come unità.
Il filo è presenza ricorrente: visibile o invisibile. Qual è il suo significato e come lega le connessioni uniche dei tuoi lavori?
Per me il filo rappresenta un’energia sottile che attraversa e lega tutte le cose, una connessione invisibile ma profondamente percepibile. Non è un filo logico, bensì un filo intimo, che si snoda tra mente e cuore, una connessione che ogni essere umano può cogliere e tessere attraverso il proprio sentire. A volte, questo filo si rende visibile nelle mie opere, altre volte rimane solo intuibile, come un gesto tracciato per mano, e si fa differente per ogni fruitore. La mano, simbolo stesso dell’azione e del sentire, diventa quindi quell’elemento che incarna questa connessione senza tempo. Penso a Cueva de las Manos, alle mani antiche che testimoniano il passaggio umano, simboli che sfidano il tempo. E a Writing’s Writing’s: le scritture che ho realizzato con l’inchiostro di china si fanno ricamo su carta, la calligrafia diventa un filo, una trama di segni che unisce passato e presente, memoria e interpretazione in un movimento sottile, perpetuo e delicato.
Memoria e spiritualità segnano il flusso creativo delle tue opere, intrecciano la tua personale realtà. Come riesci a esplorare questa esistenza nell’arte?
Per me, l’arte è un continuo processo di trasformazione, un passaggio dal frammento alla metamorfosi, oltre i limiti della memoria. Il processo creativo mi permette di far fluire i ricordi in una dimensione temporale sospesa, in cui passato, presente e futuro si intrecciano liberamente. Mi sorprende e mi attrae riuscire a trasmettere il valore profondo che questa particolare dimensione assume nella mia produzione: non ho certezze definite per la spiritualità. Lavoro molto sull’ascolto, sul sentire in modo autentico, e in questo stato ricevo dei frammenti, come coincidenze che si rivelano quasi per magia. Elaborando queste intuizioni in forme visibili, provo a restituirne una traccia tangibile, un riflesso visibile, una delle molte possibili interpretazioni di questo mistero chiamato vita.
Francesca Liantonio
Info:
Samantha Lina. La danza nel giardino
Palazzo delle Stelline
Corso Magenta 63, Milano
25/10/2024 – 7/11/2024
da martedì a venerdì 16.00 – 19.00
sabato e festivi su appuntamento
www.samanthalina.it
is a contemporary art magazine since 1980
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