È tradizione che il giorno dell’inaugurazione di ARCO Madrid, Felipe VI di Spagna, cammini tra i corridoi e saluti sorridendo. Accadde però, nell’edizione del 2019, che una scultura iperrealista con le sue sembianze e il suo profumo, soggiornò per l’intera durata della manifestazione dentro lo stand della Prometeo Gallery Ida Pisani. Presentata da Santiago Sierra ed Eugenio Merino, l’opera, El Ninot, alta quasi cinque metri e realizzata con materiali combustibili, cera, resine, legno, tessuto e capelli naturali, era destinata a essere consumata dalle fiamme fino a lasciare solo le ceneri e un teschio ignifugo. Il 12 ottobre 2020, giorno della festa nazionale spagnola in cui si celebra la Hispanidad, l’ispanità, ovvero la cultura spagnola diffusa in ventitré nazioni del mondo, il Ninot del Re Felipe VI, dietro la sua giacca scura e un sorriso “da campagna elettorale”, ha preso fuoco. È successo nel comune di Berga, a Barcellona, svegliando, immediatamente, le grandi fiamme mediatiche.
Se è inevitabile, dal punto di vista mediatico appunto, che l’operazione di Sierra e Merino scateni una serie di reazioni tra loro discordanti – gli anti-monarchici la osannano, i filo-monarchici gridano alla lesa maestà – è altrettanto urgente, dal punto di vista artistico, rivendicarla come un’idea che si è manifestata con qualcosa di percepibile, avente la funzione di segno che incarna un concetto e lo trasforma in metafora.
Se si guarda all’arte del XX secolo ci si accorge che sebbene risulti ancora radicale, quell’approccio che rifiuta l’identificazione del lavoro dell’artista con il prodotto finito, riconoscendo l’essenza dell’arte nelle idee, nelle indagini e nelle definizioni che precedono e determinano l’opera, è parimenti consapevole e noto, trovando il proprio precursore in Marcel Duchamp, che esso ha privato gli interrogativi artistici del loro carattere morfologico per attribuirgliene uno funzionale.
Proviamo a trasformare “che cosa è bello?” in “che cosa è arte?”: riconosciamo innanzitutto che la Quema (bruciatura) del Ninot è un’azione reale, ovvero che per quanto progettata e organizzata, non è una recita. È, vale a dire, un’azione trasformata in opera d’arte, in metafora di qualcosa che Sierra e Merino hanno ritenuto importante e che noi percepiamo, toccati a livello emotivo o cognitivo da un alone suggestivo di senso, a prescindere dall’estetica. Il gesto dei due artisti, che si sono personalmente messi in gioco, ha di fatto comportato qualcosa di rischioso, di estremo e di compromettente, per lasciar cadere il velo della finzione e far apparire la verità.
Quale verità? Forse i sogni e i desideri di gran parte della popolazione di liberarsi di un’istituzione obsoleta? Il Ninot, tradizionalmente, è una figura con fattezze umane, confezionata con materiali combustibili e vecchi abiti, che fin dal XVIII secolo rappresenta il fulcro della festa de Las Fallas di Valencia, il cui scopo era dare fuoco a tutti i monumenti, ovvero alle fallas infantiles e alle fallas mayores. I due artisti, nella progettazione, sono rimasti fedeli allo spirito con cui si bruciano le Fallas nella cultura popolare, ovvero liberarsi del vecchio e del corrotto per far posto al nuovo.
C’è però qualcosa di più, qualcosa di enigmatico, che rimanda all’idea di effimero, ampiamente inteso come un elemento intrinseco dell’identità mediale dell’azione che si traduce con la sua inevitabile evanescenza. La questione è se l’opera risieda nel mentre che accade o nella sua documentazione. Quando consideriamo l’effimero non possiamo prescindere dalla sua relazione co-determinante con l’archivio, che si rivela strumento gnoseologico per capire cosa Sierra e Merino hanno messo in gioco nel modo di costruire, materialmente, l’opera.
Quale opera? La quema o quel che resta? Riconoscendo che il carattere effimero di questo lavoro non è in antitesi con la sua possibilità di archiviazione ma, al contrario, essa è garantita dalla documentazione che ne sopravvive, il fuoco dell’indagine si sposta sulle componenti in cui l’effimero risiede. Se l’opera è durata il tempo della quema, allora la documentazione fotografica che ne resta garantisce la sua persistenza nel tempo, accentuando, tra l’altro, la percezione di effimerità, oltre che il carattere di documento storico del nostro tempo.
Santiago Sierra ed Eugenio Merino, che hanno unito le forze e fuso gli stili per produrre quest’opera, sono tra coloro che – dentro e fuori l’etichetta di “arte politica” – hanno mosso una decisa critica al potere e agli atteggiamenti di un sistema che, ora più che mai, cerca di rafforzarsi per continuare a sostenersi al di là delle sue possibilità sotto gli slogan diffusi dalle autorità spagnole di “disciplina sociale” e della “nuova normalità”. L’immagine-paradigma che hanno prodotto è minimalista, facile e alla portata di tutti e quel che ne resta in forma di fotografie, di un video e di un teschio è iconico ma senza identità, come a dire che nessuno può essere chiunque.
Il re è nudo bruciato.
Elsa Barbieri
Info:
Estudio Santiago Sierra
archive@santiagosierra.org
@estudiosantiagosierra
Eugenio Merino
eugeniomerino@gmail.com
@eugeniomerinostudio
Prometeo Gallery Ida Pisani
info@prometeogallery.com
@prometeogallery
For all the images: Santiago Sierra ed Eugenio Merino, La quema del Ninot. Courtesy of the artists and Prometeo Gallery Ida Pisani Milan/Lucca
Crede che l’arte sia una continua ricerca di forme espressive per raffigurarsi il mondo in modi che ancora non conosciamo. Laureata in Lettere, prima si è specializzata all’Università degli Studi di Bergamo con una tesi su cosa resta di una performance, poi ha frequentato la scuola curatoriale presso l’Università di Malta. Dal 2013 collabora con associazioni, spazi espositivi e gallerie come cultural producer e curatrice indipendente.
NO COMMENT