“Sometimes we are eternal” ossia “A volte siamo eterni”, la brillante prima mostra personale dell’artista multidisciplinare e ballerina americano-saudita Sarah Brahim presso la Villa Heleneum – Bally Foundation a Lugano, curata da Vittoria Matarrese, sembra essere una metafora assoluta della vita, armoniosa interazione tra fisicità e spiritualità, azione e introspezione, impedimento e tranquillità.
Come spiega Sarah Brahim, l’esposizione e il formato delle varie installazioni sono stati immaginati in funzione degli spazi prima di pensare al contenuto delle opere, portando in questo modo al livello successivo la relazione di potere tra forma ed essenza, intenzione e azione, sfumando i confini e creando opere olistiche che conducono a esperienze sensoriali, introspettive, emotive e meditative. Quasi in osmosi con l’indolente lago di fronte alla sede espositiva, la mostra si sviluppa organicamente tra i piani della Villa attraverso varie installazioni multimediali che si dividono tra “Rhythm and Matter” , “Memory and Disappearance”, tutte altrettanto sorprendenti nella loro spettacolare semplicità.
Il primo corpus di opere, al primo piano, si concentra sulle varie forme di connessione che movimenti e presenza fisica possono creare all’interno delle relazioni umane. In particolare in The Second Sound of Echo, l’artista esplora il legame con suo padre “evocando come un corpo esistesse prima dell’altro, come entrambi esistessero simultaneamente, e come uno scomparirà inesorabilmente, mentre l’altro continuerà”. Le prime installazioni che il pubblico è portato a scoprire richiamano le tappe che si possono incontrare nel viaggio verso l’infinito. Inoltre, nel progetto video-scultura She said, it’s always two bodies, ispirato ai sei mesi trascorsi nello studio della compositrice americana Pauline Oliveros, Brahim spiega che “l’idea centrale di questo progetto è esplorare la connessione tra il suono e il suo impatto sulle nostre emozioni”. La storia iniziale coinvolge un bambino che gioca in un appartamento, causando accidentalmente la caduta di un tavolo e provocando due suoni distinti: il tavolo che colpisce il pavimento e la reazione di un guardiano. In questo senso, l’opera mira a catturare il momento in cui qualcosa imprevedibilmente cambia forma. Invece di rompersi, la scultura rappresenta l’idea di una trasformazione morbida e graziosa, simboleggiando la lotta umana nell’accettare il cambiamento. È una metafora della difficoltà che si può incontrare nel comprendere i cambiamenti inevitabili nella vita, specialmente la sua fine. L’opera serve in questo senso come promemoria che, nonostante le sfide, possiamo adattarci ed evolvere. Questo progetto scultoreo è una riflessione intima dell’artista, che riguarda la sua esperienza nell’affrontare la perdita della madre e abbracciare le trasformazioni inevitabili. Simboleggia anche la lotta universale nell’accettare il cambiamento.
Il secondo piano ospita una serie di installazioni inerenti al tema “Memory and Disappearance”. La prima opera presentata, No wrong sounds, è una peregrinazione sensoriale nel tempo, attraverso suoni e movimenti ritmici. Infatti, in un vero e proprio viaggio nel passato, Brahim ha rivisitato una delle sue prime passioni giovanili, il tip-tap, assegnando a un gruppo di bambini semplici compiti, come imitare i battiti del loro cuore o il suono di un fiume, promuovendo con sensibile intelligenza l’espressione individuale nell’armonia di gruppo. Questo viaggio sensoriale e contemplativo si estende attraverso la materialità dei ricordi e l’impalpabilità del presente. Affascinante, The Lightroom, induce il pubblico in uno stato di dolce e trascendente introspezione, prima di invitarlo a entrare in una doppia visione/percezione di un momento. Adagio è composto da due video, uno mostra Brahim che cammina lentamente lungo la spiaggia con una telecamera montata sul petto, l’altro rivela ciò che è stato ripreso dalla stessa telecamera, il ritmo del mare sincronizzato con il respiro dell’artista che collega la sua vulnerabilità agli elementi. Infine, nel tentativo di esplorare l’oblio involontario, i ricordi bloccati e il loro superamento, He said, we must forget, presenta due film paralleli creati nel corso di un anno. Si intrecciano e si contrastano, utilizzando tecniche di pittura a mano, creando una situazione avvincente per mettere in discussione le capacità di ricordare o di dimenticare, di immaginare o di ignorare.
Tra lo stupefacente sfondo naturale del Lago di Lugano, la splendida Villa Heleneum, originariamente costruita per una ballerina, proprio come Brahim, la presentazione precisa l’ethos delle opere, in perfetto equilibrio tra profonda riflessione e potente spiritualità. Questa prima collaborazione tra Sarah Brahim e Vittoria Matarrese è notevole per la ponderata audacia nella coinvolgente esplorazione del sentimento umano. “Sometimes we are eternal” è un’esperienza vera, in mezzo a forti sollecitazioni visive, soundtrack avvolgenti, performance coinvolgenti. Queste installazioni immersive guidano il pubblico, al ritmo di passi di danza velati e impliciti, attraverso l’accettazione e il ricordo, preparandosi tuttavia a guardare avanti, sempre.
Yasmine Helou
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