Alla White Cube di Londra, la personale di Sarah Morris, artista inglese, da tempo di base a New York, presenta una scelta di lavori inediti, riflettendo dell’architettura, del film, e della pittura, interrogandone la composizione astratta alla luce di nuove tipologie relazionali che derivano dai contesti globali e urbani. Per chi è già familiare con i lavori di Morris, è evidente l’eco della pittura Astratta modernista, il cui vocabolario, tradizionalmente pensato attraverso la linea, la forma, il colore e la composizione, si rinnova di un nuovo linguaggio indessicale che l’artista trae dal ritmo della città contemporanea diventando scenario di nuovi network e relazioni così come generati dalle nuove tecnologie, dai nuovi modi di collegamento e dalle moderne forme di comunicazione. Guardando inevitabilmente al progresso e alle nuove reti di relazione da esso creati, l’artista chiede quale sia la dinamica agente che ci permette di immaginare questi network in un contesto sempre più tecnologico. Il punto d’osservazione dell’artista lo si può dedurre dall’installazione Hellion Equilibrium, 2019, recentemente permanentemente installata presso la 39.ma Avenue di Long Island presso la New York City’s Metropolitan Transportation a New York, ovvero la prima installazione di vetro dell’artista che ripensa lo spazio urbano attraverso forme di riflessione, frammentazione, e la trasparenza della città.
Alla White Cube, la mostra si apre con un ambiente immersivo che ci invita ad abitare la dimensione concettuale della pittura di Sarah Morris. La pittura murale Ataraxia, 2019, che riveste le intere pareti di uno spazio cubico, intende suggerire, come definisce l’artista, uno stato di imperturbabile calma in cui convergono linee, punti, e superfici, ripensando la dimensione pittorica e astratta attraverso forme di energia e dinamiche contemporanee. Questo pensiero espanso, composto di patterns e geometrie cromatiche, trova un contesto ideale nel volume scultoreo, cubico, e minimalista dell’installazione What can be explained can also be predicted, 2019, composto di moduli circolari in vetro, plastica, e marmo, come fosse un monumento urbano della molteplicità.
Un’intera sala è dedicata ai lavori pittorici dell’artista che si caratterizzano per la reinvenzione del vocabolario astratto modernista, creando un’analogia tra il visivo e il testuale, non solamente attraverso forme di iscrizione ma soprattutto attraverso i codici digitali, la matematica, i diagrammi e nuove forme di mappatura. L’astrazione di Sarah Morris, pur rimanendo concettuale nel processo artistico, è quindi una forma fortemente radicata nel contesto cittadino interrogandone le logiche e le dinamiche interne, così come per la serie di dipinti [Sound Graph], 2019, la cui composizione deriva da file audio e registrazioni dell’artista, pensando composizioni quali Bad City, 2019, Property is Compensation, 2019, Aggressivity of Thinking, 2019, The Building as a Pretext, 2019, Reality if its own ideology, 2019, in cui Morris ripensa la geometria di linee, fenditure, e circolarità secondo un suono grafico che rievoca il ritmo incalzante della città moderna e della sua industriosità. Ciò che emerge dai lavori di Morris, è una dinamica frenetica che racchiude una sua armonia interna, in cui è necessario prendere posizione e azione se si vuole rimanere partecipi di questa vibrante frenesia, come è evidente nel trittico War of Roses [Sound Graph], 2019, in cui la storia sembra ripetersi in quella che è la battaglia di ogni giorno nel contemporaneo.
La dimensione sonora oltre che immaginativa dei lavori di Morris è suggerita dalla colonna sonora ed elettronica dei film presentati in mostra, come per Abu Dhabi, 2017, commissionato dal museo Guggenheim e pensato come una psicogeografia della capitale, colta nel momento di celebrazione del ‘National Day’ nel suo 46.mo anniversario. Nel film Finite and Infinite Games, 2017, Morris suggerisce un nuovo modo di ripensare l’educazione al pensiero nei confronti del contesto sociale, basandosi sul romanzo di James P. Carse, con un short-film girato presso la filarmonica di Amburgo ad opera degli architetti Herzog and de Meuron.
Info:
Sarah Morris, ‘Machines do not make us into Machines’, White Cube Bermondsey, 17 April – 30 June 2019 © Sarah Morris. Photo © White Cube (Ollie Hammick)
Sarah Morris, ‘Machines do not make us into Machines’, White Cube Bermondsey, 17 April – 30 June 2019 © Sarah Morris. Photo © White Cube (Ollie Hammick)
È interessata agli aspetti Visivi, Verbali e Testuali che intercorrono nelle Arti Moderne Contemporanee. Da studi storico-artistici presso l’Università Cà Foscari, Venezia, si è specializzata nella didattica e pratica curatoriale, presso lo IED, Roma, e Christie’s Londra. L’ambito della sua attività di ricerca si concentra sul tema della Luce dagli anni ’50 alle manifestazioni emergenti, considerando ontologicamente aspetti artistici, fenomenologici e d’innovazione visuale.
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