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Scatola Nera. Dario Agrimi 2008 – 2018

Scatola Nera. Dario Agrimi 2008 – 2018

S’inaugura sabato 7 luglio a Palazzo delle Arti Beltrani un’ampia retrospettiva dedicata a Dario Agrimi (Atri, 1980) con cui la cittadina rende omaggio all’artista abruzzese che da anni ha stabilito il suo studio a Trani. Il titolo della mostra, che allude all’omonimo dispositivo di controllo e registrazione utilizzato in aviazione, ne racchiude le intenzioni anticipando al tempo stesso alcuni tratti essenziali della poetica di Agrimi. Da un lato abbiamo infatti una traccia biografica da decodificare attraverso una costellazione di opere – accadimento che ci accompagnano in un vero e proprio viaggio nella poliedrica personalità creativa dell’artista, dall’altro un’anticipazione dello spiazzamento concettuale che contraddistingue molti dei suoi lavori. Come vediamo dalla locandina infatti Scatola Nera è anche il titolo di un’opera, che designa una misteriosa scatola “naturalmente” bianca.

Pittura, scultura, performance, video e installazione sono i variegati mezzi espressivi utilizzati da Agrimi per esprimere le sue idee: ogni azione è diretta a un fine ben preciso e la coerenza sta in una cifra intellettuale piuttosto che stilistica. Come insegnano i maestri della storia dell’arte, la tecnica è uno strumento per arrivare a uno scopo e l’obiettivo è trovare la forma giusta per materializzare un’intuizione che arrivi allo spettatore senza fraintendimenti e senza necessità di articolate spiegazioni. Tenendo questo come punto fermo, Agrimi concepisce i suoi lavori come bombe a orologeria, come congegni pronti a esplodere non appena incontrano lo sguardo del pubblico che viene messo di fronte alla deflagrazione di un’evidenza. Nell’epoca dell’alta risoluzione e della realtà virtuale non è infatti pensabile che l’arte concettuale sia un gioco criptico per pochi eletti, ma si deve tradurre in un’immediatezza significante in grado di comunicare situazioni complesse con elementi lapidari. Come avviene nel caso di alcuni ready made dell’artista: Di necessità virtù (2010) ad esempio è una coppia di stampelle trasformate in scopa, Very easy (2011) è un cubo di rubik interamente monocromo, mentre More difficult (2015) è un puzzle fatto con tasselli di colore identico.

Le parole scelte per i titoli sono parte integrante del meccanismo dell’opera, in cui nulla è voluttuario o lasciato al caso: nel video Il Pozzo (2016) vediamo un’inquadratura fissa su un’assolata campagna in cui procede una giovane donna, il cui passo cadenzato si interrompe proprio davanti all’obiettivo per un’improvvisa caduta che tronca la scena, mentre in Contrappeso (2018), un quadro ricavato da una cornice vintage lasciata vuota, la scritta “guarda attentamente” applicata con i trasferibili sul fondo lasciato a vista sembra bilanciare metaforicamente (e fisicamente) il gancio decentrato che assicura l’opera alla parete, incredibilmente in perfetto equilibrio.

L’ironia verbale e visiva come mezzo per guardare senza remore la realtà e restituirne gli aspetti più caustici è uno dei fondamenti della pratica di Agrimi, come vediamo in Nume (2016), un video in cui l’artista paludato da una solenne tonaca bianca guarda in camera con serafica indifferenza senza fare assolutamente nulla o nella performance L’Effimero (2017), in cui attraverso un cartellino in forex applicato all’ingresso del palazzo fieristico di Bologna in occasione di ArteFiera, si appropriava di tutto l’evento dichiarandolo opera sua.

La smitizzazione ritorna nel dipinto Dio (2018) che ritrae un clochard vestito in abiti moderni in campo neutro: la figura, originariamente distesa a terra nell’atto di coprirsi il volto come per proteggersi dalla luce, appare inquietantemente monumentale grazie all’orientamento verticale della tela, che colloca il personaggio in un innaturale stato di levitazione. Non si tratta di sovvertimento fine a sé stesso, ma di uno sguardo ravvicinato e lucido che vuole indagare il rimosso e le implicazioni nascoste nell’apparente inerzia del quotidiano. Il dipinto appartiene a una serie che riprende alcune illustrazioni tratte da enciclopedie degli anni ’80, in cui le immagini, inizialmente neutre e manierate, appaiono stravolte nel significato dalla riproduzione pittorica ingigantita che le trasforma in presenze grottesche ulteriormente amplificate dallo sfondo astratto. L’iperrealismo della pittura qui ha una funzione straniante: riducendo la distanza tra realtà e finzione mediante un abile equilibrismo tra tipizzazione e individuazione, Agrimi ci invita a guardare le cose con più attenzione per cogliere le logiche interne di ciò che ci circonda senza arrenderci all’abitudine.

La sua attitudine in campo artistico è animata da una curiosità quasi scientifica, come si evince da alcuni esperimenti comportamentali messi in atto nei luoghi più impensati, come la performance Da vedere a guardare realizzata nel 2017, in cui l’artista ha applicato al basamento di una scultura devozionale collocata in una piazza di Cosenza una targhetta con scritto “S. Dario Agrimi da Trani” che è rimasta in loco per quasi un anno prima che qualcuno si accorgesse della sostituzione. Lo stesso approccio demistificante caratterizza i lavori imperniati su tematiche esistenziali, che scandagliano la condizione umana con chirurgico accanimento per squarciare il velo dell’illusione servendosi degli ingannevoli artifici dell’arte come cavallo di troia per eludere le resistenze di un pensiero precostituito. Così nell’installazione Limbo (2015) vediamo un volto emergere parzialmente da una vasca riempita di petrolio: l’accuratezza mimetica della maschera in silicone, tanto relistica da instillare il dubbio che sotto la coltre semiliquida giaccia veramente una persona, suscita un’istintiva immedesimazione e l’imminenza dell’annegamento sembra alludere, in senso più ampio, a tutte le volte in cui ci si trova invischiati nella vita senza riuscire a prendere possesso delle nostre azioni.

La comprensione razionale delle cose in Agrimi implica un rafforzamento della loro intensità poetica e non, come sarebbe scontato supporre, una riduzione del loro potenziale immaginifico, come nella scultura Non dice chi è … (2015) che mostra una figura incappucciata sospesa nell’aria nel tentativo ascendere, in realtà un ingenuo Lucifero che prova a riguadagnare il Paradiso celando la sua vera identità. O come nello scatto intitolato Vita Vera (2016) in cui uno spaventapasseri si erge solitario in un campo arato sul baratro di una fossa scavata a forma di croce che ripete esattamente la sua sagoma.

La conclusione ideale di questo excursus si trova nel video Biografia di un’esistenza (2017) che sintetizza con semplicità emozionante una visione laica e appassionata della vita come fugace scintillio nel buio. Agrimi, che attualmente oltre a Palazzo Beltrani ha in corso altre 3 personali (a Cassino presso la Galleria Marrocco, a Galatina da Art and Ars Gallery e da A100 Gallery), dichiara che “l’artista è come un serial killer, non può sfuggire alla sua natura” e la sua personale coazione a ripetere ci assicura che ogni approdo sarà per lui un nuovo punto di partenza.

Info:

Dario Agrimi. Scatola Nera
7 luglio – 26 agosto 2018
a cura di Roberto Lacarbonara
Palazzo delle Arti Beltrani
via Beltrani 51, Trani (BT)

Dario Agrimi, Nume, 2016, frame da video

Dario Agrimi,  Contrappeso, 2010. Materiali vari, dimensioni variabili

Dario Agrimi, Dio, 2015. Smalto su tela, 205 x 140 x 3cm

Dario Agrimi, Limbo, 2105. Silicone, 50 litri di petrolio e materiali vari, 5 x 200 x 100 cm

Dario Agrimi, Vita Vera, 2017 Materiali vari, dimensioni reali

Dario Agrimi, Biografia di un’esistenza, 2017. Video


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