La ricerca artistica di Serena Poletti tratta di tecniche e materiali tradizionali come l’incisione, la calligrafia e il disegno che si affiancano a opere scultoree e installative. La sua è un’interpretazione meditativa che rivisita i fondamenti della scienza e della fisica col personale interesse nei confronti delle filosofie taoiste, per una visione dell’universo in cui l’artista matura una personale idea di vuoto e silenzio. Vincitrice di residenze e programmi formativi in Grecia e Valencia, con base a Venezia, l’artista trae l’immaginario di forze naturali archetipiche secondo la cifra di un linguaggio astratto e minimalista. Serena Poletti è rappresentata da FineArtX (www.fineartx.com).
Sara Buoso: Dato il tuo background in studi farmaceutici, visibili in Organics, serie di acquerelli e inchiostri su carta di cotone, che riprendono la tradizione delle stampe di motivi della flora e fauna; come consideri il rapporto fra natura e artista?
Serena Poletti: Il fatto che abbia intrapreso studi scientifici influisce sulla mia pratica, ma non voglio escludere che anche la scienza abbia un lato artistico e affascinante. Mi sento molto legata alla natura e credo sia necessario avere sempre un contatto con essa, come se ci desse una sorta di energia e forza. La filosofia taoista dice che noi facciamo parte del tutto, quindi dell’universo.
Dato il contesto in cui vivi, Venezia, e le tue esperienze di residenza in Grecia, il tuo approccio è profondo, intimo, silenzioso con radici lunghissime che affondano nella tradizione. Le tue opere, poi, come le serie calligrafiche, sono ispirate a filosofie del Levante. Come avviene la tua meditazione?
È una scelta istintiva ma necessaria. Trovare una mia intimità, silenzio e spazio, mi aiuta a essere più presente per me stessa e quindi per il lavoro da svolgere. È una pratica di concentrazione e meditazione. L’isolamento è fondamentale per essere presente nel momento del bisogno. Sono sempre stata affascinata dalle arti orientali e dalle filosofie che stanno dietro a ogni pratica rituale. Il taoismo parla del tema del tutto, e quindi anche dell’universo di cui noi facciamo parte. Esistono archetipi che ci portano verso una certa corrente di pensiero. In realtà rispetto al taoismo, mi sono sorpresa di come alcuni concetti li sentissi già dentro di me, poi li ho voluti sviluppare con delle semplici pratiche come la calligrafia, non tanto per imparare gli ideogrammi, ma per imparare un certo metodo, una certa meditazione, un certo movimento che applico nei miei dipinti. Questa meditazione viene tradotta nella mia pratica quotidiana; il bisogno di preparare il mio studio in modo da essere presente in quel momento, ambiente e posizione. Inizio semplicemente con degli studi del segno per entrare nel momento, poi il segno calligrafico nella tinta con la china e il pennello per creare l’opera finale. Quindi creo uno spazio. Nei miei lavori, infine, mi piacerebbe indurre una sorta di riflessione, una rivelazione su certi punti della propria vita.
Sono rimasta impressionata dal tuo atteggiamento stoico per non dire ascetico nella narrazione di due residenze in Grecia. Se Marina Abramović è riconosciuta per il suo equilibrio e la sua carica comunicativa ed espressiva, nei tuoi lavori percepisco una voce più interiore. Come queste esperienze hanno influenzato la tua pratica?
Si ha bisogno di una preparazione mentale, a volte anche fisica, elementi che sono correlati tra loro con l’esperienza. Durante la pandemia, sono rimasta bloccata nell’isola di Creta in Grecia; nell’altra, sono stata invitata a partecipare a un workshop organizzato dall’istituto Marina Abramović in cui ho sperimentato un certo tipo di percorso, anche molto austero. Ho continuato, poi, a mettere in pratica questi esercizi in maniera autonoma. Si ha bisogno di creare un vuoto, dentro e fuori da noi, per essere più consapevoli dell’essere a livello conscio e inconscio. Per un artista, ciò aiuta ad avere anche più intuizioni, a essere più cosciente di quello che vuole mettere in pratica. La figura di Marina Abramović è importante per me, per la metodologia che ha sviluppato nella sua carriera artistica, sicuramente molto legata ad alcune pratiche buddhiste e taoiste che lei propone in una chiave più contemporanea. Ho voluto fare esperienza di ciò per riuscire a essere più in contatto con me stessa, non tanto per pensare di poter fare una performance, ma piuttosto per cercare un senso mistico.
Si legge anche una citazione dell’astrattismo di Mondrian nelle tue opere e stai progettando i tuoi nuovi lavori tra Venezia, Atene, e Valencia. Vorresti introdurli?
È stata una coincidenza incontrare Mondrian. Da tempo volevo realizzare un progetto che avesse come tema il labirinto e così ho iniziato la mia ricerca. Istintivamente sono attratta dal minimalismo e dall’astrattismo, stili intensi di significato. Da qui è nato il mio ultimo progetto sul labirinto, Metis, termine che in greco antico significa la capacità di utilizzare gli ostacoli che incontriamo per poterli superare. Dapprima, ho affrontato il progetto con il materiale ceramico, poi mi sono mossa in modo installativo, ora proposto in una galleria ad Atene. Mi piace l’idea di poter creare un’ambientazione installativa in modo tale che lo spettatore si possa sentire immerso nel tema che voglio affrontare. In questo senso, ho appreso dalla ricerca artistica di Mondrian alcuni segmenti che mi hanno affascinato e li ho riproposti in scala maggiore, creando un mio labirinto senza un centro prestabilito. Credo che ognuno di noi possa scegliere quando e come entrare e quando uscire dal labirinto, quanto lungo sarà il percorso e la fine. Ritengo che ognuno abbia il proprio percorso. Lo presenterò anche a Valencia, e poi spero a Venezia. Atene è il luogo perfetto per parlare di questo tema e ritengo che a livello installativo sia importante presentare qui Metis. Mi interessa, poi, osservare come le ombre della stessa installazione possano ingannare lo spettatore.
Due parole ritornano nei titoli delle tue opere: vuoto e silenzio. È così per Forze Silenziose, un ossimoro. Dimmi di più.
Forze silenziose è un progetto legato agli alberi di ulivo che ho sviluppato durante la prima pandemia nel 2020, poiché ero rimasta bloccata nell’isola di Creta. Mi sono trovata avvolta dall’immensità di un bosco di ulivi, alcuni millenari. Questo silenzio misterioso dava molta energia in contrasto col silenzio. Il misticismo, la forza e la storia di queste piante mi hanno indotto a relazionarmi al vuoto e al silenzio. Creare un momento intimo vuol dire raggiungere un vuoto mentale e per fare ciò ho bisogno di silenzio, di quiete, per poi sprigionare infine, la forza nel segno.
Info:
www.fineartx.com/autore/serena-poletti
È interessata agli aspetti Visivi, Verbali e Testuali che intercorrono nelle Arti Moderne Contemporanee. Da studi storico-artistici presso l’Università Cà Foscari, Venezia, si è specializzata nella didattica e pratica curatoriale, presso lo IED, Roma, e Christie’s Londra. L’ambito della sua attività di ricerca si concentra sul tema della Luce dagli anni ’50 alle manifestazioni emergenti, considerando ontologicamente aspetti artistici, fenomenologici e d’innovazione visuale.
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