L’uomo è l’essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in sé; e, se dice il contrario mente.
(Marcel Proust, Albertine dìsparue, 1925)
Viviamo in un’epoca agitata: forze oscure sono all’opera al di sopra del nostro controllo e delle nostre coscienze per orientare i nostri comportamenti e scelte nelle direzioni che più convengono ai poteri forti. L’individualismo esasperato della cosiddetta “società liquida” si infrange quotidianamente contro l’impotenza del singolo di fronte di fronte a un destino collettivo che appare sempre di più come una barca alla deriva. Quelle parti di noi che sono ancora sensibili oggi sembrano scorticate a vivo, sono il ricettacolo senziente del nostro disagio esistenziale nei confronti di una società in cui la logica del profitto e dell’efficienza sembra aver definitivamente surclassato gli ideali umanistici. Per quanto cerchiamo di tacitare l’insoddisfazione e l’insicurezza con surrogati consolatori e seduttivi, il corpo ci dice che qualcosa non funziona: è una sensazione animalesca che non ci abbandona mai.
Il corpo ha un potere immenso: in un mondo smaterializzato e omologante continua a essere un punto fermo perché rappresenta l’inizio e la fine di ciascuno di noi. Il corpo è il luogo dell’introspezione, della costruzione del sé e dello scambio con l’altro e per questo il potere oppressivo vorrebbe controllarlo, limitarlo e appiattirlo. In tempi difficili, il corpo si riduce semplicemente a un contenitore di dolore, ma continua nonostante tutto a esistere, a essere ribelle e perturbante.
Queste riflessioni sono al centro della poetica di Shirin Moayya, pittrice iraniana già coinvolta in numerose mostre a Tehran, città dove vive e lavora, e che negli ultimi anni sta riscuotendo l’interesse delle giurie di svariati concorsi internazionali, come il 1st Dubai Painting Symposium and Residency o l’11th Annual London International Creative Competition, solo per citarne alcuni. La sorgente del suo lavoro è l’esperienza emozionale e spirituale della realtà, che traduce sulla tela con un linguaggio di matrice espressionista caratterizzato da una forte accentuazione cromatica e da una potente deformazione emotiva dei dati visivi. Nei suoi quadri non ci sono gradazioni di colori e sfumature per creare le ombre e i volumi, ma tinte accese e fortemente contrastanti. La tridimensionalità è abolita a favore di un unico piano pittorico inteso come campo di battaglia tra forze contrastanti, le forme sono semplificate, i colori netti e squillanti, la linea forte ed espressiva. L’autrice deforma consapevolmente la realtà per rendere evidente che ciò che noi vediamo sulla tela non è la riproduzione di un oggetto così come appare, ma come lei lo «sente»: concretizzando le sue percezioni interiori, l’artista costringe lo spettatore a vivere sulla propria pelle le sue stesse sensazioni, senza possibilità cercare rifugio in anestetiche divagazioni estetizzanti.
Nella serie di dipinti intitolata Inward Organized (2015-2016) larghe stesure di colori giustapposti individuano le sagome sintetizzate di enigmatici oggetti circondati da una linea di contorno irregolare e spessa, che non è più il disegno costruttivo e idealizzante di lontana origine rinascimentale, ma un mezzo per conferire drammaticità alla composizione. Shirin Moayya fagocita il mondo e lo trasferisce nella propria anima per poi restituirlo in una visione trasfigurata come un’allucinazione popolata da oggetti-corpi, che sembrano barcollare per poi riassestarsi in un nuovo misterioso equilibrio. Questa riconciliazione, seppure combattuta, tra interno ed esterno deriva dalla capacità dell’artista di allinearsi emotivamente con gli oggetti della sua visione per poi lasciare che l’istinto guidi il pennello senza alcuna aprioristica imposizione progettuale. A questo modo ciò che accade sulla superficie della tela è la manifestazione di un retropensiero colto sul nascere, prima che la parola o la teoria lo impoveriscano per renderlo intelligibile.
Nella serie Human Beings and Forgetfulness (2017-2018) l’artista esaspera la deformazione caricaturale dell’immagine e la pittura diventa un vero e proprio urlo esistenziale. Le linee di contorno si propagano come ondate a partire da molteplici epicentri psichici, concavità e convessità si susseguono con pericolosa rapidità, il colore appare steso come diretta emanazione di gesti impulsivi e brutali, la tavolozza è squillante e a tratti sgarbata, incurante della raffinatezza pittorica che armonizzava le visioni sghembe della serie precedente. In questo caso i soggetti sono gigantografie di stati d’animo, umori e alienazioni generate da un’urgenza espressiva che trasformandosi in corpo e carne supera la dimensione individuale per diventare grido universale. Ogni personificazione appare isolata e plasmata dalla propria monomania, a stento contenuta nel limitato spazio della tela, pronta ad aggredire lo spettatore dal quale sembra allo stesso tempo aspettarsi comprensione e aiuto. La materia pittorica di questi quadri è arricchita dall’inserimento di carte e ritagli di giornale che conferiscono tridimensionalità all’immagine e che la proiettano inequivocabilmente nel qui e ora della nostra contemporaneità. La lucidità di Shirin Moayya nell’individuare i tratti peculiari di ogni psico-patologia dimostra come l’accentuazione espressionistica del linguaggio pittorico non escluda la sua capacità di restituire uno sguardo critico e disincantato sul disagio umano pur manifestando una profonda compartecipazione emotiva. E proprio questa capacità di conciliazione tra crudo realismo, empatia e schiettezza pittorica ci fa comprendere come per l’artista mettere a nudo le incongruenze dell’esistenza sia solo il primo passo di un percorso di speranza animato dalla fiducia che in futuro un nuovo umanesimo riesca a rifondare l’essere umano a partire dalla distruzione delle false certezze del presente.
Shirin Moayya, Inward Organized, Painting, Acrylic 2016 – 2017
Shirin Moayya, Inward Organized, Painting, Acrylic 2016 – 2017
Shirin Moayya, Inward Organized, Painting, Acrylic 2016
Shirin Moayya, Pessimists, Painting, Acrylic, Collage 2016 – 2017
Attore e performer, ama le arti visive in tutte le loro manifestazioni.
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