Martedì 21 marzo è stata la Giornata internazionale delle Foreste 2023. La data è stata istituita dall’ONU per accrescere la consapevolezza del valore inestimabile di tutti i tipi di foreste e dei pericoli della deforestazione. La gestione sostenibile delle foreste e l’uso responsabile delle risorse sono fondamentali per combattere il cambiamento climatico e per contribuire alla prosperità e al benessere delle generazioni attuali e future. A parte le opinioni fasulle dei negazionisti, queste sono cose risapute e accettate. Le foreste svolgono anche un ruolo cruciale nella riduzione della povertà e nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG). Eppure, nonostante tutti questi inestimabili benefici ecologici, economici, sociali e sanitari, le foreste continuano a essere minacciate da incendi, parassiti, siccità e deforestazione senza precedenti.
Ecco perché a dover fare il punto sullo stato delle foreste resta sempre l’amaro in bocca. Si parla tanto e si combina poco. La pressione demografica (che è indubbiamente il primo problema di una progressiva distruzione della natura e della crescita mostruosa di megalopoli da 50milioni di abitanti) è per esempio un argomento sul quale si continua a glissare. Secondo dati delle Nazioni Unite, ogni anno il pianeta perde 10 milioni di ettari di foresta: una superficie pari a quella dell’Islanda. E poco conforta che la situazione in Europa sia in controtendenza dove la superficie forestale ha visto, in questo decennio, un incremento. Quello che spaventa è il destino delle foreste pluviali. Le più significative (per estensione e biodiversità) sono quella amazzonica e quella del bacino del Congo. E l’amazzonia brasiliana ha subito tra il 2009 e il 2023 una deforestazione record, con incrementi del 60%. Inoltre, senza interventi di tutela, l’intera foresta del Congo è destinata a sparire nell’arco dei prossimi settanta anni! Questi sono argomenti fondamentali non solo per l’essere umano, ma per tutte le specie viventi sulla faccia della Terra.
Ora, sull’onda di una partecipazione emotiva e di una dichiarazione di intenti, la Fondation Cartier pour l’art contemporain, nell’ambito del partenariato di otto anni con la Triennale Milano, ha firmato la mostra “Siamo Foresta” che è ospitata fino al 29 ottobre, al Palazzo della Triennale di Milano. Il progetto è firmato da Bruce Albert, antropologo e da Hervé Chandès, Direttore Generale Artistico della Fondation Cartier e tocca proprio queste tematiche millenarie, sollevando il velo sulla catastrofe annunciata e mettendo l’indice nella piaga. L’allestimento, davvero incantevole e che unisce allo stesso tempo in maniera sobria e coinvolgente il lavoro dei vari autori, è firmato da Luiz Zerbini, peraltro uno degli autori in mostra.
Ventisette gli autori coinvolti: Fernando Allen (Paraguay), Efacio Álvarez (Nivaklé, Paraguay), Cleiber Bane (Huni Kuin, Brasile), Cai Guo-Qiang (Cina), Johanna Calle (Colombia), Fredi Casco (Paraguay), Alex Cerveny (Brasile), Jaider Esbell (Makuxi, Brasile), Floriberta Fermín (Nivaklé, Paraguay), Sheroanawe Hakihiiwe (Yanomami, Venezuela), Aida Harika (Yanomami, Brasile), Fabrice Hyber (Francia), Morzaniel Ɨramari (Yanomami, Brasile), Angélica Klassen (Nivaklé, Paraguay), Esteban Klassen (Nivaklé, Paraguay), Joseca Mokahesi (Yanomami, Brasile), Bruno Novelli (Brasile), Virgil Ortiz (Cochiti Pueblo, Nuovo Messico, Stati Uniti), Santídio Pereira (Brasile), Solange Pessoa (Brasile), Brus Rubio Churay (Murui-Bora, Perù), André Taniki (Yanomami, Brasile), Edmar Tokorino (Yanomami, Brasile), Adriana Varejão (Brasile), Ehuana Yaira (Yanomami, Brasile), Roseane Yariana (Yanomami, Brasile), Luiz Zerbini (Brasile).
Comunque, un encomio va in primo luogo alla Fondation Cartier, dalle cui collezione proviene il 70% delle opere esposte, e ciò indica che la partecipazione della fondazione a queste tematiche non è cosa dell’altro ieri. In particolare la mostra è anche l’immagine del rapporto che la fondazione ha instaurato da tempo con artisti di alcune comunità indigene dell’America Meridionale. L’incontro con questi mondi estetici e metafisici, indigeni e non, è stata l’occasione per dare vita a questo nuovo progetto, con opere inedite e talvolta collaborazioni inaspettate. La nascita di questa mostra, è anche frutto di conversazioni dalle quali sono scaturiti sodalizi senza precedenti, in particolare quello tra gli artisti Sheroanawe Hakihiiwe, yanomami del Venezuela, e il francese Fabrice Hyber; l’incontro tra l’artista di Rio de Janeiro Adriana Varejão e Joseca Mokahesi, yanomami brasiliano; e la collaborazione più recente tra la yanomami brasiliana Ehuana Yaira e Cai Guo-Qiang, artista cinese con base a New York.
Che siano appassionati osservatori della diversità vegetale e animale della foresta in cui vivono, o che siano abitanti di una città, affascinati dalla realtà della foresta, gli artisti in mostra dialogano su un tema comune: la necessità di ripensare il ruolo dell’uomo all’interno dell’universo dei viventi. Riuscirà questa mostra a svegliare le nostre coscienze? Riusciranno queste opere a incidere là dove in passato gli altri non ci sono riusciti? La risposta non è nella nostra disponibilità. Quello che possiamo dire è che questo progetto è ambizioso e che gli va dato il merito della sua perfetta attualità.
Roberto Vidali
Info:
AA.VV., Siamo Foresta
22/06/2023 – 29/10/2023
Triennale Milano
viale Alemagna 6, Milano
www.triennale.org
È direttore editoriale di Juliet art magazine.
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