Dopo la forzata interruzione per l’inagibilità delle strutture dovuta al sisma del 2012 torna al Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara la XVI edizione della Biennale Donna con un progetto espositivo che esplora la problematica contemporaneità latinoamericana attraverso le opere di quattro artiste di fama internazionale. Ana Mendieta, Anna Maria Maiolino, Teresa Margolles e Amalia Pica, diverse per età, provenienza e linguaggio espressivo, sono accomunate da una vocazione artistica animata dalla stessa urgenza di cogliere e denunciare contraddizioni, violenze, corruzioni e fragilità delle relazioni umane in un contesto reso incandescente da criminalità, dittature militari e forti diseguaglianze sociali. L’intento della mostra è indagare la complessa criticità e vitalità di un’area del mondo in costante fermento dove le ragioni dei più deboli soccombono a difficili condizioni di vita e libertà dimostrando come l’arte possa essere una potente arma di conoscenza in grado di abbattere confini geografici e barriere ideologiche.
Il percorso si apre con un omaggio ad Ana Mendieta, esponente di rilievo dei movimenti artistici degli anni ’70 che scomparve prematuramente cadendo dal 34simo piano del palazzo newyorkese dove abitava con il marito Carl Andre, capofila della corrente minimalista. Nata a L’Avana ed espatriata negli Stati Uniti nell’ambito dell’Operazione Peter Pan che indusse molte famiglie cubane anticomuniste a separarsi dai figli per sottrarli al regime castrista, fece dell’esilio e del conseguente sradicamento affettivo il fulcro della sua intensa poetica. Nel tentativo di ripristinare il senso d’appartenenza negatole da una congiuntura politica ingannevole e repressiva, elesse la Natura come patria biologica e spirituale e trasformò il suo corpo in strumento e spazio artistico per attuare un ricongiungimento fisico e simbolico con la Terra in tutte le sue accezioni come acqua, fuoco, cenere, fango, sabbia o alberi. Nelle sue note performance, documentate dagli scatti fotografici esposti in mostra, l’artista imprime la sagoma del proprio corpo, la silueta, in paesaggi primitivi per poi dissolverla nel fuoco, attingendo al potenziale magico e rituale delle antiche credenze popolari cubane e messicane in una dolorosa ricerca delle proprie radici.
Lo spettro della dittatura militare e la sua profonda ingerenza nella vita privata dell’individuo improntano anche il lavoro di Anna Maria Maiolino, italiana trasferitasi in Brasile nel periodo più cruento del regime controrivoluzionario. Le sue performance degli anni ’70 e ’80, documentate da video e foto, esprimono la tensione e l’insicurezza di una generazione costretta a convivere con una perenne condizione di censura, violenza e pericolo. Nel video In – Out (Antropofagia) due bocche cercano inutilmente di comunicare tra loro ma vengono ostacolate da una serie di oggetti che escono al posto delle parole, mentre nel trittico fotografico Entrevidas (Between Lives) i piedi nudi dell’artista camminano su una distesa di uova posate su una strada asfaltata cercando di non schiacciarle. L’essenzialità di queste azioni performative ne amplifica la potenza espressiva restituendo il viscerale senso d’impotenza di chi teme di pagare con la vita ogni discorso o movimento ritenuto sospetto da un’autorità coercitiva che trae la propria forza dalla soppressione dei più basilari diritti umani.
Ancora la violenza e la denuncia dei soprusi perpetrati sui più deboli da un sistema socio-politico corrotto sono l’anima degli interventi artistici di Teresa Margolles che nascono dalla sua esperienza di medico legale a contatto con i corpi dilaniati delle vittime di una criminalità organizzata fuori controllo. Il suo linguaggio si fonda sulla cruda documentazione delle tracce della violenza attraverso il recupero di materiali, oggetti e testimonianze raccolte dalla strada che evocano l’onnipresenza della morte senza mai mostrarla direttamente. Emblematica a questo proposito è Aire (2003), installazione costituita da una stanza vuota in cui due climatizzatori vaporizzano acqua utilizzata per pulire cadaveri non identificati proveniente dagli obitori pubblici di Città del Messico: l’istintiva repulsione dello spettatore che leggendo una didascalia poco evidente scopre di aver respirato “l’aria della morte” lo costringe a sentirsi partecipe di una sofferenza troppo spesso percepita come estranea perché geograficamente lontana. L’intento di dare risonanza collettiva a reati che rischiano di perdersi nell’oblio si ritrova anche in Sonidos de la Muerte, installazione composta da dispositivi acustici che riproducono i rumori ambientali registrati nei luoghi di ritrovamento di un cadavere femminile, o nel lavoro site specific Pesquisas, palinsesto di volantini che denunciano la sparizione di ragazze raccolti dai muri di Ciudad Juárez, pericolosa zona di confine che attrae migranti in cerca di lavoro nelle numerose fabbriche di assemblaggio esentasse collegate alla filiera produttiva statunitense.
Dalle assordanti assenze orchestrate da Margolles si passa all’analisi del silenzio inteso come corto circuito comunicativo nel lavoro dell’argentina Amalia Pica che analizza le dinamiche di una contemporaneità resa paradossalmente babelica dall’ipertrofia dei mezzi telematici. Con approccio concettuale e ironico l’artista sottolinea le contraddizioni del linguaggio esaltandone l’ambiguità come nell’installazione Switchboard, in cui i visitatori sono invitati a sperimentare un assurdo dialogo attraverso due pareti di barattoli sonori collegati tra loro in modo casuale a cui fa da contrappunto Palliative for Chronic Listeners, allestimento formato da quattro coppie di tappi per le orecchie fusi in bronzo, rame, oro e argento in cui la definitiva rinuncia all’ascolto reciproco diventa prezioso gioiello.
Silencio Vivo. Artiste dall’America Latina.
a cura di Lola G.Bonora e Silvia Cirelli
XVI Biennale Donna / 17 aprile – 12 giugno 2016
Padiglione d’Arte Contemporanea, Corso Porta Mare 5, Ferrara
martedì – domenica 9.30 – 13.00 / 15.00 – 18.00
Amalia Pica, Palliative for Chronic Listeners #1, 2012 , Tappi per le orecchie in bronzo, rame, oro e argento su piedistallo, ciascuno cm 155 x 25 x 25 edizione 1/4, Courtesy l’artista e KÖNIG GALERIE, Berlino
Ana Mendieta,Untitled (Volcano Series #2), 1979-1999 6, Fotografie a colori, ciascuna cm 50 x 33, edizione 9/10, Modena, collezione privata, courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milano e Estate of Ana Mendieta, New York
Anna Maria Maiolino, Entrevidas (Between Lives), dalla serie Photopoemaction, 1981-2010, Fotografie in bianco e nero, ciascuna cm 88 x 56 , edizione 4/5 + 2 AP , Monza, collezione privata, courtesy l’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano
Anna Maria Maiolino, In-Out (Antropofagia), dalla serie Photopoemaction, 1973-200 0, Fotografie in bianco e nero, ciascuna cm 25 x 38 , Courtesy l’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano
Ana Mendieta, Anima, Silueta de Cohetes (Firework Piece), 1976, Super 8 trasferito su high definition digital media, 2’22” colore, muto, Courtesy Galleria Raffaella Cortese, Milano e Estate of Ana Mendieta, New York
Teresa Margolles, Sonidos de la muerte (Sounds of Death), 2008, Installazione sonora, Courtesy l’artista e Galerie Peter Kilchmann, Zurigo
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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