Sin dagli anni ’60 il lavoro di Stephen Rosenthal (Washington D.C., United States, 1935) s’inquadra in modo anarchico nella diffusa corrente di pittura astratta, nata in quel periodo come decisione di esistere di per sé e senza alcuna interferenza esterna. L’artista condivide con i suoi colleghi la necessità di un’introspezione critica sull’oggetto pittorico svincolato da immagini, sentimenti e tradizione storica e l’interesse per una processualità fondata sulle proprietà fisiche e tangibili dei materiali coinvolti, ma rifiuta la rigida sintassi in cui sfociano le frange più ortodosse (e celebrate) del movimento. Come sottolinea un intenso saggio di Germano Celant, scritto nel ’75 in occasione di una personale dell’artista a La Jolla Museum of Contemporary Art, l’intento di Rosenthal è restaurare l’individualità della pittura ripristinando nei suoi elementi primari una variegata gamma di valori accidentali e materiali non replicabili ed enfatizzando la complementarietà tra lo strato pittorico e il suo supporto, valorizzato come agente attivo della creazione.
A questo modo la superficie dipinta si trasforma in uno spazio che afferma la propria vocazione ambientale generato dalle tracce delle azioni che progressivamente si sedimentano l’una sull’altra. E proprio il concetto di traccia, intesa sia come impronta che come residuo, è al centro della poetica dell’artista statunitense, che da quasi un cinquantennio indaga le possibilità di riduzione della pittura attraverso l’uso di film trasparenti e di colori applicati per essere successivamente cancellati da solventi, incisioni e abrasioni. I diversi stadi di interazione tra i materiali (al momento dell’esecuzione e nel corso del tempo a causa dei loro assestamenti reciproci) assumono quindi il valore di eventi plastici e diventano strumenti per documentare e rivelare la vitalità della pittura. Questi segnali, offerti alla libera interpretazione dello spettatore, diventano poi il tramite tra le ragioni interne della pittura e l’immaginario di chi la guarda, senza dover passare attraverso la mediazione concettuale o narrativa di un’immagine precostituita.
La galleria P420 di Bologna inaugura la sua collaborazione con Rosenthal con la mostra Islands, Archipelagoes, Constellations. Works on canvas and paper 2006-2018, che presenta i due più recenti cicli pittorici dell’artista, sviluppati nell’ultima quindicina d’anni. Entrambe le serie sono il risultato di una stratificazione di azioni che si stabilizzano sulla tela secondo un ordine preciso, manifestando in ogni opera un diverso punto di equilibrio tra il “mettere” (l’aggiunta del colore) e il “togliere” (la sua parziale cancellazione con stracci e solventi). Rispetto ai lavori storici sembra che l’interesse dell’artista si sia spostato dalla riflessione sulle implicazioni ontologiche della disciplina pittorica a una meditazione esistenziale esperita per mezzo della pittura. I presupposti tecnici di partenza non sono cambiati molto, e nemmeno l’idea della tela dipinta come campo di segni auto-significanti, ma è radicalmente mutato il suo approccio, ora focalizzato sulla concretizzazione di un’assenza, sullo sbiadire di una percezione, sulla costruzione di un’intangibilità materica. Oppure sul fissare ciò che per sua natura è sfuggente liberandolo dal peso della permanenza, sul resistere all’inconsistenza con grumi di materia discreta ma tenace, sull’osservare il tempo come azione lenta e inafferrabile.
Il fulcro ideale della mostra è un foglio di appunti scritti a matita in cui l’artista satura lo spazio con le innumerevoli varianti del suo mantra sotto forma di parole: dirottare, espungere, dislocare, revocare, trasporre, ritrattare, respingere, sparire, spazzare via, ripulire, trasportare, confondere, cancellare, distruggere, ricollocare, fuorviare, buttare fuori, stupire, confondere, deviare, riaffiorare, perdersi. È come se ogni termine fosse una sfumatura di una tavolozza di suggestioni mentali che si traducono sulla tela come macchie, sbavature, ripensamenti, impronte, gocce rapprese, pennellate rarefatte di cui rimane quasi solo l’andamento, ghirigori in punta di grafite che si perdono in un’abrasione, cifre tracciate a mano. Fare pittura per Rosenthal significa cadere e rialzarsi fino a quando non trova la quiete, esplorare i propri retropensieri, sospendere il visibile in uno stato di latenza per comprenderne la struttura e le segrete relazioni interne.
Il primo ciclo di opere esposte, che richiama la suggestione Islands del titolo, mostra delle pennellate coprenti di tonalità bianca da cui affiorano brani di imprimitura (sempre bianca, ma più fredda) e leggerissime tracce colorate mescolate a segni a matita. La pittura materializza uno spazio corposo modellato dal gesto che guida il pennello, all’interno del quale spicca un circoscritto addensamento di colore contrastante lasciato a vista. Non ci è dato sapere cosa giace al di sotto della spessa coltre superficiale e nemmeno se quel galleggiamento cromatico semisommerso sia solo una piccola parte di un più esteso affioramento che verrà con il tempo, ma l’assertività della sua presenza ci ricorda come a volte uno sforzo di rimozione finisca per intensificare ciò che si vorrebbe eludere.
Dalla pacata concentrazione di questi primi quadri si passa alla pulviscolare disseminazione di tracce, idealmente afferenti ai termini Archipelagoes e Constellations, che caratterizza i disegni e dipinti più recenti, esposti nella seconda sala. Qui la preparazione bianca è uno strato sottile che sembra trascinare nel proprio movimento piccoli detriti cromatici che volteggiano come petali in una danza delicata. Lo spazio è multicentrico, impossibile da cogliere con un unico sguardo e da una sola angolatura e i minuscoli rilievi colorati che lo punteggiano (come le cifre a matita che qualche volta compaiono) sono segnali e punti di riferimento che aiutano l’occhio a perdersi nella delicata sensibilità di Rosenthal.
Info:
Stephen Rosenthal. Islands, Archipelagoes, Constellations.
Works on canvas and paper 2006-2018
29 settembre – 3 novembre 2018
P420
Via Azzo Gardino 9 Bologna
Stephen Rosenthal, Islands, Archipelagoes, Constellations. Works on canvas and paper 2006-2018, installation view, 2018, Courtesy P420, Bologna Photo Credit Carlo Favero
Stephen Rosenthal, Ochre 506, 2007, olio su tela_oil on canvas, cm. 49,5×44,5 courtesy the artist and P420, Bologna Photo Credit Carlo Favero
Stephen Rosenthal, Painting 4.04, 2016, olio su tela_oil on canvas, cm. 63,5×63,5 (courtesy the artist and P420, Bologna Photo Credit Carlo Favero
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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