C’è una bellezza facile. È c’è una fotografia in cui la relazione tra tecnica e creatività raggiunge un equilibrio classico, insindacabile, di una bellezza rasserenante. Sarà proprio per questa bellezza lineare, rinascimentale (la sua ragazza afgana del 1984 è stata paragonata da Sgarbi alla Dama con l’Ermellino) che Steve McCurry ha sempre le code di visitatori alle sue mostre. Sarà sicuramente così anche al Palazzo delle Albere a Trento dove dal 19 giugno al 19 settembre è allestita “Terre Alte”, il progetto del fotografo di Filadelfia dedicato al tema della montagna.
La mostra, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi e Gabriele Accornero, è realizzata con Sudest57, agenzia italiana che rappresenta i maggiori fotografi internazionali. Curata da Biba Giacchetti e Denis Isaia, rappresenta un pacificante punto di convergenza tra l’identità del Muse – diretto da Stefano Zecchi e quella del Mart di Vittorio Sgarbi. Due coinquilini che han trovato nel popolare McCurry la perfetta equazione tra ricerca scientifica e artistica. Montagna, antropologia e cambiamenti climatici nell’immagine fotografica riportano la scienza alla meraviglia, la ricerca, allo stupore che dovrebbe muoverla. Cento e trenta gli scatti stampati su supporto rigido che raccontano come la forza dell’uomo sia direttamente proporzionale alla forza del contesto, naturale o politico che sia.
C’è una umanità compresa tra orizzonti e montagne che afferma un denominatore antropologico comune. I popoli che abitano in simbiosi – soprattutto cromatica – con i paesaggi dell’Afghanistan, il Tibet, la Mongolia, il Giappone, il Brasile, la Birmania e poi delle Filippine, del Marocco, dello Yemen forse non ci aiuteranno ad attraversare la soglia che separa il turista dall’antropologo, ma ripropongono una nuova versione del sublime kantiano. Non più perdita del sé o spavento, ma sacralità di uno sguardo che ancora vuole correre il rischio di innamorarsi dell’incanto, dello stupore come processo di conoscenza.
I reporter giustamente arricciano il naso davanti ai cedimenti estetici (o estetizzanti) ma qui in gioco c’è l’idea del viaggio ottocentesco nelle terre inesplorate che custodiscono l’arcano del “buon selvaggio”, dell’uomo che sa stare nella sua resistente fragilità confrontandosi quotidianamente (e lontano dalla macchia fotografica di McCurry) tra pericolo e opportunità. La gente di montagna può integrarsi come i selvaggi raccontati nei diari di Colombo descritti da Todorov nella bellezza fisica disarmante dei paesaggi. Da quelle stanze lontane, fatte di pericoli e risorse, volti di rughe e sole possono incrociare la nostra distrazione persa nel bello. Proprio come fa il ritratto della ragazza afgana esposta nella Icons Room assieme ad altre dieci fra le più note opere fotografiche più note di McCurry. Guardarci per dirci una verità più vera del presunto reale naturalistico: i loro e i nostri desideri sono universali, come scriveva Fitzgerald: “tu non sei solo. Tu appartieni”.
Simone Azzoni
Info:
Steve McCurry. Terre Alte
19/06/2021 – 19/09/2021
Palazzo delle Albere
Via Roberto da Sanseverino, 43, Trento
Steve McCurry, Nepal, 1983 © Steve McCurry
Steve McCurry, Mongolia, 2018 © Steve McCurry
Steve McCurry, Afghan/Pakistan Border, 1981 © Steve McCurry
È critico d’arte e docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo IUSVE. Insegna inoltre Lettura critica dell’immagine presso l’Istituto di Design Palladio di Verona e Arte contemporanea presso il Master di Editoria dell’Università degli Studi di Verona. Ha curato numerose mostre di arte contemporanea in luoghi non convenzionali. È direttore artistico del festival di Fotografia Grenze. È critico teatrale per riviste e quotidiani nazionali. Organizza rassegne teatrali di ricerca e sperimentazione. Tra le pubblicazioni recenti Frame – Videoarte e dintorni per Libreria Universitaria, Lo Sguardo della Gallina per Lazy Dog Edizioni e per Mimemsis Smagliature nel 2018 e nel 2021 per la stessa casa editrice, Teatro e fotografia.
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