Studio Visit #8: Massimo Caccia

Le tue opere, dal tratto stilizzato, sono in genere abitate da un animale e da un oggetto di uso comune: cerotti, prese elettriche, forchette, spazzolini da denti. Nel tuo studio sono effettivamente presenti questi oggetti? 
Gli oggetti che dipingo non sono tutti presenti in studio, e a volte anche di quelli presenti cerco in rete delle forme che mi piacciano di più. Oggetti e animali sono per me gli elementi da inserire nelle storie che racconto. La presenza degli animali è una cifra fissa nel mio lavoro, mentre gli oggetti sono richiami all’essere umano che non è presente fisicamente ma attraverso sue costruzioni o azioni. Una specie di cortocircuito tra la sensazione umana che si può provare, che può essere paura o stupore, e l’assenza dell’umano, rivelata dalla presenza degli oggetti.

Lo spazio fisico dello studio ha mai cambiato qualcosa nel tuo modo di lavorare?
Il mio studio non è enorme, ma è a mia misura, mi va bene. Penso che lo spazio abbia un’influenza sulle dimensioni del mio lavoro, e non potrebbe essere diversamente visto che non ho un magazzino. Poi dipingendo su legno e usando legni di spessore, non posso lavorare su grandissime dimensioni. Ma la dimensione del piccolo e medio formato mi si addice, mi mette a mio agio.

Hai mai avuto uno studio in casa?
Ho lavorato per 15/20 anni in casa, in una mansarda a Milano. Avere una casa/studio ha degli aspetti positivi ma naturalmente anche negativi, primo tra tutti l’ambiente che offre molte distrazioni. Mi sono trasferito a Vigevano dopo essere stato a trovare un amico che aveva uno studio in una vecchia scuola di Arti e mestieri, con laboratori artistici in un unico cortile. Avere la casa e lo studio separati mi ha permesso di concentrarmi di più, di lavorare il triplo. Ho anche deciso di dividere le fasi del lavoro e di non portare il computer in studio, dove ho solo acrilici e smalti, che sono il 99% del lavoro.

Cosa offre uno studio con accanto altri studi d’artista?
Lavorare in uno spazio con altri atelier vicini ha fatto sì che nascessero delle collaborazioni che diversamente non sarebbero mai nate, come per esempio quella con David Bacter per il ciclo “Happy days”, una specie di gioco a due nato in cortile con due block notes: uno di noi due iniziava un soggetto e poi passava il quaderno all’altro, inserendosi nel lavoro e modificandone il senso, ma senza stravolgerlo.

Come vivi la vicinanza casa/studio e i ritmi di lavoro connessi?
Sono un tipo abbastanza pigro e non amo camminare. La prima casa che ho trovato è stata fortunatamente a 30 mt dal cortile dello studio, a Palazzo Roncalli, e anche ora mi sono spostato a circa un centinaio di metri di distanza dallo studio. Ho orari da lavoro fisso ma in più lavoro anche il sabato o la domenica. Anche quando non sono in studio, blocchi e quaderni li porto sempre in giro con me, in caso mi venisse un’idea. In dieci giorni in montagna, ad esempio, ho fatto tutti i bozzetti del libro che poi ho solo rifinito in seguito. Non mi piace lavorare di sera e di notte: mi piace alzarmi presto ed essere in studio già alle 7.00 – 7.15 per poter godere della luce naturale. Poi vado a casa, pranzo, faccio una pennica di mezz’ora e ritorno al lavoro.

Hai degli assistenti? Se sì, quale fase del lavoro lasci loro?
Non ho degli assistenti, faccio tutto da solo. Vado dal falegname a farmi tagliare il legno e costruisco i tamburati. Le parti più noiose sono il mio modo di avvicinarmi di più al lavoro, e le faccio in genere quando non sono molto ispirato o non ho voglia di dipingere. Anche se quest’anno per fare dei murales in una scuola di 13 e 7 metri ho portato con me un aiutante, perché ogni colore necessitava di 4 o 5 passaggi.

Vedi lo studio più come un luogo sociale/di partecipazione, un luogo solitario oppure di rappresentanza?
Il mio studio non è molto grande, ed è pieno di lavori… quindi non faccio feste né esposizioni. I posti per esporre sono altri. Molto semplicemente penso allo studio come a un luogo in cui mi devo concentrare e lavorare. Poi se qualcuno viene a trovarmi mi fa molto piacere. Dopo il lockdown ho iniziato a pensare alla possibilità di trovare uno spazio più grande e articolato proprio per poter accogliere più persone contemporaneamente, perché l’incontro e lo scambio arricchiscono sempre.

Massimo Caccia nasce a Desio (MB) nel 1970, e si diploma in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1992. Da allora si dedica quasi esclusivamente alla pittura ed espone in varie mostre collettive e personali. Lo stile pulito e immediato lo porta a cimentarsi con l’animazione (realizza uno spot per la campagna natalizia di Tele+, 2001), il fumetto (pubblica la graphic novel “Deep Sleep”, 2007) e l’illustrazione. Come illustratore ha pubblicato quattro libri con la casa editrice Topipittori. Attualmente collabora con il Corriere della Sera realizzando illustrazioni per il supplemento “laLettura”. Di recente si è dedicato alla colorazione del fumetto “Children” (Edizioni BD), vincitore del premio Lucca Project Contest 2015. Nei tempi morti prende oggetti comuni e li trasforma in animali. Vive e lavora a Vigevano (PV). Tra le ultime mostre: “Cadenze Animali”, Brescia, Colossi Arte Contemporanea, 2019, “Giorni Bestiali”, Milano, Galleria L’Affiche, 2018, “Il colore delle parole”, Fondazione Corriere della Sera e la Lettura, La Triennale di Milano, collettiva, 2017, “Apnea”, a cura di Alessandra Redaelli, Varese, Punto sull’Arte, 2016.

Info:

www.massimocaccia.it

For all the images: ph Credits: Andrea Caccia


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