Martina Camani (Vicenza, 1994) è tra i finalisti della decima edizione del Premio Francesco Fabbri, nella sezione “Arte emergente”, con l’opera “I WANT (to kiss you so much)”, che appartiene alla serie “I WANT” (2021) incentrata sulla lettura del desiderio come moto interiore che ci muove verso qualcuno o qualcosa in modo tanto semplice, quotidiano, infantile, quanto profondo, intimo e travolgente.
Eleonora Reffo: Il mondo sportivo è tra gli immaginari a cui attingi per la tua ricerca, cosa ti affascina maggiormente di questo ambito?
Martina Camani: Il mondo dello sport è per me come una calamita, un’estasi visiva che mi emoziona profondamente. Il primo aspetto su cui ho avuto l’occasione di lavorare è stato il tifo sportivo: credo si tratti di una forma d’amore sotto ogni aspetto, con tutte le derive e le follie che l’irrazionalità di questo sentimento può comportare. Inoltre penso abbia su di me una presa così forte perché in parte lo vedo connesso a quella che è la mia formazione teatrale. Dello sport amo tutto il contorno, è un’opera complessa che richiede un impianto registico di altissimo livello e che segue ritualità prestabilite e fondamentali: unə o più atletə si esibiscono su un palcoscenico dando prova delle loro abilità di fronte a un pubblico che, nella maggior parte dei casi, ha pagato un biglietto d’ingresso per assistere a uno spettacolo che lo emozioni, fatto di musica, luci, costumi, cibo, azione e soprattutto corpi. Corpi che esultano, corpi in tensione, corpi significanti.
“Il Salotto” è il nome dello studio che condividi a Vicenza con altre artiste e differenti figure professionali. Che ruolo ha questa dimensione condivisa nella tua pratica artistica?
Nei miei lavori l’interazione con altre figure professionali è sempre stata essenziale, sia da un punto di vista dell’ideazione e sia della realizzazione dell’opera. Per quanto riguarda “Il Salotto”, oltre a rappresentare per me un pezzo di cuore e a ospitare artistə e amicə che stimo e amo profondamente, penso che la sua forma ibrida sia la chiave per la complessità dei linguaggi che cerco. È un ambiente vitale e aperto al dialogo, le persone che lo abitano sono come universi a sé stanti, ognunə di noi arricchisce l’altrə continuando ad essere ciò che è, portando avanti il proprio lavoro singolarmente o in progetti comuni quando si presenta l’opportunità (come per esempio “Fitness Bodies”, l’installazione site-specific che ho realizzato a maggio 2021 con Fabio Ranzolin, Gianna Rubini e Francesco Pozzato nelle vetrine del passante ferroviario di Porta Garibaldi a Milano per “Co_atto”).
Il non umano entra nella tua ricerca ridisegnando ruoli e valori simbolici prestabiliti e facendo leva sull’interiorità umana. Cosa guida la tua riflessione visiva?
Il mio primissimo approccio con il mondo animale non umano credo sia avvenuto a un livello esclusivamente interiore. Non ho mai avuto animali domestici, ma da bambina – e poi è rimasta una costante negli anni – giocavo a rispondere alla domanda “che animale sei?”. Cercavo risposta anche per le persone che mi circondavano, come se la soluzione a questo quesito potesse dirmi qualcosa in più su chi fossi io o chi fossero lə altrə. Ho sempre saputo di essere una scimmia. La ricerca artistica sul mondo animale nasce per me con uno studio dal punto di vista simbolico-mitologico, in particolare sugli animali nei sogni, a partire dalle riflessioni di Hillman su questi come archetipi vivi che abitano le menti e le anime dell’umano. Nel tempo mi sono sempre più spostata verso gli animal studies, con un approccio più scientifico all’universo degli animali non umani, cercando di evadere, per quanto possibile, dalla visione antropocentrica della quale è intrisa la nostra contemporaneità. Come dicevo prima, il linguaggio animale è attualmente la mia principale zona di interesse, perché mi permette di aprire un’indagine sugli aspetti più diversi dell’animale: il corpo, l’estetica, il carattere, i sentimenti, le relazioni, i comportamenti e gli effetti che tutte queste aree d’interesse producono. Apre immaginari infiniti. Credo che le diverse modalità di approccio al mondo animale abbiano rappresentato una concatenazione di percorsi che non vedo necessariamente separati, ma che penso continueranno a incontrarsi tra teoria, progetti attuali e futuri.
Ho avuto il piacere di fare una chiacchierata con te presso il Civico 13 di piazza De Gasperi a Padova, dove ha sede “MAC”: iniziativa dell’Ufficio Progetto Giovani che mette a disposizione degli studi d’artista condivisi. Per nove mesi, gli artisti selezionati usufruiscono gratuitamente degli spazi, affiancati dal team dell’Area Creatività (Caterina Benvegnù, Stefania Schiavon, Patrick Grassi, Elisa Pregnolato) e dai curatori ospiti (Stefano Volpato, Francesca Manni e Giovanni Paolin). In che modo l’iniziativa sta attualmente influenzando il tuo percorso progettuale e di ricerca?
Per questi nove mesi a “MAC” ho deciso di sviluppare la mia riflessione sugli animali non umani che occupano lo spazio urbano e sui linguaggi ad essi interconnessi. Questi studi, per loro intrinseca conformazione, spingono verso la dimensione dell’integrazione sociale e la riflessione sull’occupazione di determinati luoghi e spazi comunitari. Lavorare sugli animali umani e non umani qui, per me, significa approfondire una riflessione intersezionale sul corpo come principale strumento di linguaggio e veicolo di significato, anche in relazione alla città e chi la abita.
A questo sto affiancando la ricerca sul mondo sportivo e le possibilità performative a esso connesse: vedremo chi andrà a canestro! In un certo senso è come se stessi finalmente mettendo insieme tanti pezzi raccolti in questi anni.
Eleonora Reffo
Info:
www.instagram.com/martinacamani
Martina Camani nasce a Vicenza nel 1994. Nel 2016 si laurea in triennale in Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Venezia e conclude nel 2019 il suo percorso di laurea magistrale allo IUAV di Venezia in Arti Visive e Moda. Nel 2016 è co-fondatrice della compagnia teatrale Teatro della Cenere; lo stesso anno vince il premio della giuria popolare al Combat Prize di Livorno. Partecipa a diverse mostre nazionali e internazionali. Tra le più recenti: Ho rubato un giardino (Casa Capra, Schio-VI, IT, 2019); Pelle d’Oca (Villa Vertua Masolo, Milano, IT, 2019); ReA! Fair (La Fabbrica del Vapore, Milano, IT, 2020); Santa Carne (AB23, Vicenza, IT, 2020); Fitness Bodies – Remembrance from the Lethe (Co_atto, Milano, 2021). Nel 2019 riceve la menzione della giuria per l’arte emergente al Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee, curato da Carlo Sala ed è trainer alla residenza teatrale per il progetto Santa Carne organizzato da Teatro della Cenere, L.S.L.C. e Piero Martinello, con i quali a marzo 2020 ha pubblicato l’omonima fanzine.A luglio e agosto 2021 ha lavorato come performer nella mostra monografica su Bruce Nauman a Punta della Dogana – Venezia. Da giugno 2021 è artista residente presso MAC – Studi d’artista, Padova; e da gennaio 2019 è artista residente presso Il Salotto, studio artistico indipendente, Vicenza.
Martina Camani, I WANT (to kiss you so much), installazione, 2021, courtesy l’artista
Martina Camani, Angeli (Il sognatore), installazione, 2020, courtesy l’artista
Martina Camani, Citylove (piccione), serie fotografica, 2021, courtesy l’artista
Martina Camani, Citylove (cani), serie fotografica, 2021, courtesy l’artista
Martina Camani, Fitness Bodies, installazione, 2021, courtesy l’artista
Nel 2019 si laurea in Pittura e Arti Visive presso NABA (Milano), dove prosegue gli studi nel biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali. Da qualche anno collabora, in qualità di curatrice, con realtà culturali attive fuori dai grandi centri per l’organizzazione di progetti multidisciplinari rivolti a pubblici eterogenei.
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