La ricerca artistica di Mattia Ozzy B. (Rozzano, 1998) prende le mosse dai graffiti per evolversi verso una pittura che tende all’astrazione e alla quale collega l’uso di oggetti ready-made, sviluppando così un linguaggio unico e personale. Attraverso questa pratica, esplora l’estetica del Post-Graffiti e del Post-Vandalismo, affrontando temi urgenti come la sovrapproduzione e le dinamiche della società contemporanea nel contesto urbano.
Entrando nello studio di Mattia Ozzy B., si ha immediatamente la sensazione di trovarsi non in un semplice spazio di lavoro, ma in un autentico archivio della città. Qui, cerchioni, griglie e lastre di metallo, serrature, tubi e altri elementi urbani abbandonano il loro significato originario per divenire parte di una trama più ampia. Alla base di questa ricerca risiede quello che Hal Foster definisce “impulso archivistico”: un desiderio quasi istintivo di raccogliere e preservare i segni del presente e del passato, svincolandoli da una logica storica lineare o dalle rigide leggi di causa ed effetto. Sebbene lo studio funzioni come un vero e proprio Atlas, Ozzy considera la metropoli stessa, con il suo substrato underground fatto di scarti e tracce dimenticate, il suo reale luogo di lavoro. Tuttavia, il panorama cittadino non rimane confinato all’esterno: penetra nell’atelier, divenendo parte integrante del processo creativo. I suoi richiami si percepiscono ovunque, dal brusio degli oggetti accumulati al sottofondo costante di una radio da cantiere.
La connessione profonda con l’ambiente urbano trova una risonanza particolare nelle parole di Italo Calvino ne Le città invisibili (1972): la città, scrive Calvino contiene il suo passato come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, nei corrimano delle scale». Ed è proprio in questi segni discreti e spesso dimenticati, tra superfici logorate e angoli consumati, che l’artista trova ispirazione, trasformando racconti e testimonianze nascoste in espressioni visive. L’assemblaggio spontaneo di materiali e nuove opere che dialogano con progetti passati riflettono la sua filosofia: nulla è mai realmente concluso. Ogni creazione vive in uno stato di incompiutezza, sempre pronta a mutare e integrarsi in forme nuove. Questa visione si intreccia con la sua scelta estetica e concettuale di lavorare con risorse di recupero, ispirata ad artisti come Thomas Hirschhorn e alle sue opere, in particolare Les Monstres e Flamme Éternelle.
Spiega l’autore: «Nulla è davvero scarto, ogni oggetto è un simbolo, non appartiene più solo al luogo in cui è stato trovato, ma diventa un portatore di storie, un oggetto empirico che ha qualcosa da raccontare e assume nuovi significati avendo una propria esperienza unica e specifica». Questo rapporto profondo e viscerale con la città è stato al centro della sua prima mostra personale a Milano, MAI-LAND, recentemente conclusa presso la galleria LUNGOLINEA e concepita come un’opportunità per presentare il suo lavoro in tutta la sua complessità ed eterogeneità. Il titolo, un gioco di parole tra “Mailand” (nome tedesco di Milano) e “My Land” (“la mia terra”), richiama il territorio da cui l’artista trae ispirazione, evocando un luogo sospeso tra realtà fisica e dimensione mentale. Questo doppio significato sottolinea l’idea di uno spazio che non si limita agli aspetti concreti, ma che raccoglie esperienze e narrazioni collettive in un intreccio complesso. Seguendo il pensiero di Foucault, l’artista interpreta la città come un “dispositivo” complesso, un sistema di relazioni e dinamiche. Non è solo un insieme di architetture o materiali recuperati, ma una rete viva di significati interconnessi, dove ogni elemento è intriso di tempo, memoria e vissuto.
Nel lavoro di Mattia Ozzy B. il colore assume un ruolo centrale, superando la semplice dimensione estetica per trasformarsi in un vero e proprio linguaggio narrativo. «Il colore è un linguaggio», afferma l’artista, «ogni tonalità racconta una storia, si diffonde nello spazio e crea un dialogo visivo costante». Questa visione trova la sua massima espressione in installazioni site-specific come FAR FALLE (2024), dove le tonalità cromatiche diventano il fulcro di un racconto spaziale e totale. La filosofia della mutazione si ritrova, invece, nella serie My Land (2023), dove opere racchiuse in cassette contenenti aria evolvono nel tempo attraverso processi chimici, modificando lentamente la loro forma. Allo stesso modo, in CIRCONVALLA (2024), copri cerchioni d’auto abbandonati formano una struttura modulare potenzialmente in perpetua espansione.
Per Ozzy, la continua metamorfosi della città si traduce in un legame intimo, quasi materno, con l’ambiente cittadino, un rapporto esplorato soprattutto in Madre Metropoli. Quest’opera fa parte di una serie di lavori in cui fotografie analogiche, scattate tra Philadelphia e Città del Messico e applicate su lastre ondulate in fibra di vetro, filtrano squarci di vita urbana in mutamento. Tra queste, spicca l’immagine di una donna di chiesa che, nel traffico, vende biscotti a forma di ruota. Una scena che per l’artista racchiude simbolicamente la forza incubatrice che egli attribuisce alla città: un’entità che accoglie, forma e sfida, mettendo chi la vive di fronte a dure verità. «La città è come una madre», riflette l’artista, »perché per me, e penso per molte persone, è in strada che si passa più tempo. La città è una presenza che sa essere al contempo protettiva e severa, capace di cullarti ma anche di metterti di fronte a verità inevitabili e spesso difficili da accettare».
Per il giovane artista di Rozzano ogni dettaglio urbano, anche il più marginale, diventa un simbolo da decifrare e trasformare, rivelando una bellezza che si cela nell’imperfezione e nelle contraddizioni. È in questa tensione tra frammento e totalità, tra ciò che viene scartato e ciò che rinasce con nuovi significati, che si radica la sua ricerca artistica. Ozzy mi saluta canticchiando: «Più vicino ai marciapiedi, dove è vero quel che vedi» un verso di Loredana Bertè che sembra diventare, per lui, quasi un mantra. Un invito a osservare lo spazio che abitiamo con occhi rinnovati, scoprendo, nelle sue stratificazioni un racconto corale che non smette mai di evolversi.
Francesca Tripoli
Info:
www.instagram.com/mattiaozzy.b
is a contemporary art magazine since 1980
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