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Studio visit diaries #3 (feat Villa Lena): Anousha Payne in conversazione con Giulia Pontoriero

Ho avuto modo di intervistare Anousha Payne nell’autunno del 2023, appena rientrata a Londra, dove ancora oggi vive, e dopo un periodo di residenza a Jana Koya in Landers (CA). Osservavo le sue figure dipinte su tela o scolpite in ceramica, né umane né totalmente animali, e non potevo far altro che pensare a qualcosa di fluido e dinamico: a qualcosa che va verso un elemento altro, profondamente primordiale, a volte surreale e fittizio, altre, invece, lontano.

Anousha Payne, ritratto. Courtesy l’artista

Giulia Pontoriero: Com’è stata l’esperienza di residenza all’interno di Villa Lena e come è stato approcciarsi a quello spazio?
Anousha Payne: Villa Lena è arrivata in un momento in cui ero agli inizi della mia pratica e lavoravo con la ceramica. Sperimentavo molto ed ero molto interessata all’idea di fluidità tra umano e animale: guardavo gli esseri non umani e davo loro attributi umani. Molti dei miei lavori si concentrano maggiormente su racconti popolari e storie brevi che hanno a che fare con i comportamenti umani in relazione al mondo naturale. Ora la mia ricerca è maggiormente incentrata su narrazioni fittizie e surreali che sono esperienze passate incrociate con la finzione, con i sogni e con la mitologia. Il periodo trascorso a Villa Lena è stato importante per avere spazio e tempo per sperimentare. Infatti, prima di Villa Lena, non avevo mai lavorato con i dipinti su coppa o sulla tela tesa e non avevo mai veramente approfondito la pittura come mezzo. Quel periodo è stato il mio modo di capire cosa avrei fatto con le mie sculture e sto ancora attraversando e sfruttando questa parte del processo di elaborazione diventata poi parte della mia pratica. Uno dei dipinti nati in quel periodo è stato esposto nella mia prima mostra personale “and here she dwells” presso Indigo+Madder a Londra, nel 2020. 

Anousha Payne, “As She Curled Over and Folded Inside, A Droplet Squeezed Out”, 2019. Courtesy Villa Lena Foundation e l’artista

Anousha Payne, “Tangled toes twisted ears”, 2022. Courtesy Public Gallery e l’artista

Quali sono le fonti da cui attingi per creare il tuo vocabolario simbolico?
Nel mio lavoro cerco di creare il nuovo corpo di una specie di creatura familiare e al tempo stesso non familiare; come se cercassi di avvicinarmi all’idea di corpo fluido o comunque a un mondo non umano. Tuttavia, penso anche che, poiché ho guardato e letto molti racconti popolari e poi ho iniziato a scrivere i miei racconti, la mia resa formale sia una sorta di risposta a questo tipo di storie di folklore. Molto dell’immaginario prodotto da questi testi è una sorta di proiezione di un essere impossibile, qualcosa che è per metà umano e per metà animale. L’idea di creare un’immagine simbolica è interessante per me. Mi affascinano le immagini che in un certo senso sono indicate come guida spirituale, in quanto trovo intrigante il fatto che possiamo attribuire così tanto significato o fede a un essere sconosciuto.

È questo il motivo che ti ha portata a creare figure che ricordano rettili o serpenti?
Credo che il serpente, a cui oggi in realtà non faccio più tanto riferimento, sia parte di una fase della mia pratica di ormai due anni fa. Il serpente per me era un simbolo perfetto, perché ha una trama molto familiare e perché in quegli anni andava molto di moda: la gente indossava pelle di serpente, portava borse di serpente e questo tipo di oggetti era considerato quasi come un elemento quotidiano. Vedevo quel motivo estetico tutti i giorni e ciò che volevo fare era di riportarlo alla sua forma archetipica, che è anche metafora, o simbolo, della fertilità femminile, come del potere e della forza. Inoltre, dal momento che le mie sculture sono statiche, la presenza del serpente come elemento principale dona loro un senso di movimento o di vita. Il serpente è lo strumento perfetto per questo, perché è come un pezzo di pelle su un muro: improvvisamente si ha la sensazione che qualcosa si muova e che abbia vita solo grazie alla sua consistenza e credo che questo sia veramente magico, oltre il fatto che lo si può ottenere difficilmente con altri materiali preesistenti.

Anousha Payne, “Tangled toes twisted ears”, 2022. Courtesy Public Gallery e l’artista

Quali sono i legami tra le tracce del passato e le tue opere?
È una domanda piuttosto difficile, ma credo di essere interessata a creare simboli che non sembrino antichi, perché quando ci si immagina un simbolo o un oggetto antico, si pensa a qualcosa senza tempo o di cui non ci si può sbarazzare facilmente e credo che questo sia legato a un modo di creare immagini. Sono istintivamente attratta dalle immagini che sembrano antiche perché penso che siano le più immediate per raccontare l’umano. In sostanza la mia è un’indagine sull’interazione umana, come ci relazioniamo l’uno con l’altro, con la Terra, la Natura e con i materiali che ci circondano.

Quali progetti stai portando avanti in questo momento?
Ho appena esposto alcuni nuovi lavori all’India Art Fair (febbraio 2024) e sto per inaugurare la mia personale con Sperling a Monaco: “A faint glow, a stone and a shark’s tooth”. A proposito di questa mostra, mi ha influenzato molto la residenza a Joshua Tree, dove ho raccolto oggetti come pietre e rocce e alcune piante, e ho poi realizzato alcune sculture di metallo con colature nella sabbia; da questo processo è nata una nuova serie di personaggi che saranno esposti nella mia prossima mostra a Monaco.

Giulia Pontoriero

Info:

Anousha Payne
anoushapayne.com


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