Le recenti restrizioni imposte per il contenimento del contagio da Covid-19 hanno messo a dura prova il sistema culturale internazionale. La chiusura forzata di musei, teatri e cinema così come le drastiche, quanto necessarie, limitazioni alla mobilità hanno generato una crisi senza precedenti del settore turistico e culturale ma l’intensificarsi dell’emergenza epidemiologica, specie in ambito museale, sembra sia andato di pari passo con l’aumento dei licenziamenti. I tagli al personale così come la riduzione dei servizi educativi hanno evidenziato le criticità insite in un sistema già fortemente precario ben prima del Coronavirus. Gli stessi artisti hanno risentito a loro volta della crisi generata dalla pandemia. L’interruzione delle attività espositive ha portato all’allestimento via social delle mostre e degli eventi in programma. La produzione di contenuti online gratuiti ha contribuito ad ampliare l’offerta culturale di numerose istituzioni. Non sono mancate neanche le aste a sostegno delle realtà in maggior difficoltà. Ciononostante, un generale ripensamento delle consolidate dinamiche economiche e sociali che muovono il sistema dell’arte sembra venir meno.
Il primo effettivo riferimento a uno sciopero degli artisti risale all’iniziativa promossa dai dipendenti dal periodico socialista The Masses nella primavera del 1916. Gli Artisti denunciano la deriva propagandistica della politica editoriale imposta dagli editori Max Eastman e Floyd Dell. Tra il 1935 e il 1937 anche l’Artists’ Union, il sindacato degli artisti formatosi a New York durante la grande depressione, indice tre scioperi previsti per il 21 agosto 1935, il 9 dicembre 1936 e il 27 maggio 1937. I membri dell’organizzazione assunti dal Federal Art Project, affiancati dai lavoratori del Federal One, proclamano l’interruzione della produzione per denunciare la riduzione dei fondi e i tagli salariali previsti dalla Work Progress Administration. Tuttavia l’ipotesi di uno sciopero che faccia direttamente riferimento al sistema dell’arte in sé viene argomentata per la prima volta nel saggio di Alain Jouffroy What’s To Be Done About Art?, pubblicato nel 1968 in Art and Confrontation. Il poeta e critico parigino parla della possibile proclamazione di uno sciopero attivo dell’arte che metta in evidenza le latenti contraddizioni che animano l’industria culturale, facendo eco all’Internazionale Situazionista e al movimento del sessantotto da cui scaturiscono le contestazioni della XXXIV Biennale di Venezia e l’occupazione della XIV Triennale di Milano. L’intento di Jouffroy non consiste nella completa interruzione della produzione artistica, quanto nel raggiungimento di una differente concezione dell’arte che faccia delle opere i mezzi per la generazione di idee, forme e tecniche rivoluzionarie.
Le idee dell’autore parigino hanno portato nel gennaio del 1969 alla formazione dell’Art Workers Coalition (ACW). L’eterogenea organizzazione newyorchese rivendica la costituzione annuale di un comitato di artisti per la curatela delle esposizioni, l’apertura gratuita del museo per un giorno a settimana, l’assunzione di personale qualificato per la manutenzione e l’allestimento delle opere nonché una maggior comunicazione tra gli organi dirigenziali del museo, il pubblico e gli artisti. I tredici punti presentati dal gruppo al direttore del MoMA Bates Lowry sembrano in parte rifarsi alle posizioni di Gustave Courbet, il quale nel 1871 auspica che la gestione di musei e collezioni passi nelle mani degli stessi artisti. Il coinvolgimento del massimo esponente della pittura realista nella Comune di Parigi implica una rottura con la monarchia quanto con le istituzioni borghesi, facendone una figura emblematica della transizione, verificatasi nella seconda metà dell’Ottocento, verso l’idea di “lavoratore artistico” (art worker) indipendente. Questo passaggio è infatti centrale proprio per comprendere il nesso tra i movimenti sociali e l’arte contemporanea che muove anche le richieste dell’AWC. I tredici punti prevedono inoltre il finanziamento di opere sperimentali realizzate in spazi pubblici e il sostegno di artisti indipendenti, agevolando l’esposizione di lavori delle comunità afroamericane e ispaniche. Nel 1970 l’AWC si è unita ai lavoratori del MoMA nel gruppo noto come PASTA (The Professional and Administrative Staff Association) per affrontare l’instabilità di tutte le professioni che orbitano attorno ai diversi aspetti e alle diverse fasi della produzione artistica, mentre la prevalenza maschile dell’organizzazione ha portato alla nascita del collettivo femminista Women Artists in Revolution (WAR) nel 1969. L’AWC ha indetto due scioperi a sostegno delle proteste contro la guerra in Vietnam il 15 ottobre del 1969 e il 22 maggio del 1970. L’organizzazione ha ottenuto la chiusura di alcune delle più importanti sedi espositive in città, a cui hanno fatto seguito l’interruzione della mostra di Robert Morris presso il Whitney Museum e il boicottaggio del padiglione statunitense alla XXXV Biennale di Venezia, ispirando probabilmente anche lo sketch Art Gallery Strikes dei Monthy Python’s Flying Circus andato in onda il 15 dicembre del 1970.
Le attività dell’AWC cessano nel 1971 ma l’eredità del gruppo viene presto raccolta da Gustav Metzger. Nel 1974 l’ideatore dell’arte autodistruttiva pubblica il testo Years Without Art all’interno del catalogo realizzato per l’esposizione collettiva Art Into Society-Society Into Art: Seven German Artists tenutasi presso l’ICA di Londra. Metzger riprende quanto fatto da Lee Lozano nel 1969 con General Strike Piece ma ne amplia la portata, proclamando uno sciopero che conduca, tra il 1977 e il 1980, alla completa interruzione della vendita, dell’esposizione e della produzione di qualsiasi opera. Il testo evidenzia come in tre anni il mercato sarebbe arrivato a un inedito punto critico, evidenziandone l’ingerenza nei successivi testi How Long… Before All Artists Cease to Mutilate Themselves in the Interests of the Art Trade? e The Art Dealer: a Bibliography. Metzger, seppur nella paradossalità della sua proposta, è cosciente del fatto che lo sciopero avrebbe inevitabilmente portato al licenziamento di numerosi dipendenti museali, ma allo stesso tempo ritiene che una simile iniziativa rappresenti l’unico mezzo per rimettere in discussione il sistema dell’arte nella sua interezza. Il contributo dell’artista tedesco, il quale rifiuta di esporre i propri lavori all’ICA, si conclude con When Is Political Art Political?, un breve testo in cui l’insolito accostamento tra Eisenstein e la Disney così come il paragone tra i lavori propagandistici sovietici e nazisti servono da pretesto per interrogarsi circa l’effettivo ruolo politico dell’arte, immaginando un futuro prossimo in cui gli artisti, guidati dalla compagine sudamericana, avrebbero spinto l’arte verso una nuova direzione, dove anche la Gioconda avrebbe perso il suo valore.
La chiamata allo sciopero di Metzger si è rivelata sostanzialmente un fallimento in quanto unico partecipante. Nel 1979 Goran Dordevic prospetta a sua volta l’ipotesi di uno sciopero internazionale dell’arte ma le numerose perplessità dimostrate dai circa quaranta artisti interessati lo spingono ad abbandonare il progetto. L’appello di Metzger viene riproposto per il triennio 1990-1993 da Stewart Home, a cui si deve anche la realizzazione dell’iconico logo con il pennello spezzato. Lo sciopero, preceduto dalle pubblicazioni sulla rivista Smile e dall’Art Strike Handbook del 1989, viene presentato da Home come uno strumento per stimolare un ampio dibattito critico intorno allo stesso concetto di arte. Nonostante un’inaspettata risposta mediatica, Home è consapevole che lo sciopero non può effettivamente riuscire a bloccare il sistema dell’arte ma sottolinea quanto una simile iniziativa possa contribuire a rimettere in discussione quelle che definisce come le strutture gerarchiche dell’arte. Complici le precedenti esperienze sotto gli pseudonimi collettivi di Karen Eliot e Monty Cantsin, Home si interroga sulle possibili conseguenze dello sciopero sull’identità sociale degli artisti. L’attivista londinese, fuoriuscito dal movimento Neoism, si sofferma infatti sull’assenza di un criterio universale per definire cosa sia realmente un’opera d’arte. A tal proposito evidenzia come le composizioni di John Cage siano considerate alcune delle più influenti e importanti opere del Novecento, mentre gli album di Madonna, pur riscuotendo un incredibile successo, non ottengono lo stesso riconoscimento. Secondo Home ciò che distingue un’opera d’arte non è altro che l’insieme delle relazioni sociali e istituzionali che vi ruotano attorno. Lo sciopero dell’arte, pur riprendendo le idee di Metzger, diviene quindi un mezzo per ridiscutere anche la posizione privilegiata degli artisti, spostando l’attenzione sul conflitto di classe all’interno dello stesso mondo culturale.
La “debiennalizzazione” dell’arte contemporanea proposta nel 2009 dall’Art Strike Biennal di Alytus, le iniziative dello Spart Action Group o i più recenti J20 Art Strike e Women Artists’ Strike dimostrano l’attualità e la rilevanza di certe questioni. In tal senso La nascita di gruppi come Art Workers Italia e NYC Art Workers così come i tagli denunciati in Spagna dall’Amecum e in Portogallo dai dipendenti della Fondazione Serralves evidenziano quanto Il radicale approccio politico delle opere esposte spesso non trovi alcun riscontro nelle discrepanti decisioni prese da musei e fondazioni. Se da una parte il discusso sondaggio pubblicato dal The Sunday Times riporta come, per l’opinione pubblica singaporiana, gli artisti risultino le figure professionali meno utili per la collettività, rievocando amaramente le dichiarazioni dell’ex ministro Tremonti, dall’altra proprio il mancato riconoscimento delle specificità professionali e l’assenza di provvedimenti che tutelino la condizione quanto mai precaria del lavoro artistico e culturale manifestano, ancora una volta, la necessità di un’azione condivisa.
Jacopo De Blasio
Artists Attack MoMA, Foto Pubblicata dall’East Village Other il 24/01/1969
Presidio Art Workers’ Coalition, Whitney Museum, 1971
Copertina del catalogo Art Into Society-Society Into Art: Seven German Artists, ICA, Londra, 1974
Pamphlet Art Strike 1990-1993
Jacopo De Blasio (Roma, 1993) si è laureato con lode in storia dell’arte all’Università “La Sapienza” di Roma, attualmente assistente bibliotecario presso il MAXXI di Roma. È stato collaboratore dell’artista Maria Dompè e mediatore culturale presso il Palazzo delle Esposizioni. Curatore indipendente, si occupa prevalentemente del rapporto tra arte contemporanea e società.
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