Tarō Okamoto, il Picasso Giapponese

Tarō Okamoto, pittore, scultore e scrittore giapponese, famoso per i suoi dipinti e per le sue sculture astratte e sperimentali, è nato il 26 febbraio 1911 a Kawasaki, una città di poco meno di un milione e mezzo di abitanti, nella Prefettura di Kanagawa, in Giappone.

Artista e scrittore molto prolifico fin sino alla sua morte (Tokyo, 7 gennaio del 1996), ebbe una grande influenza sulla società e cultura nipponica. Dopo essere entrato alla Tokyo Fine Arts School nel 1929, Okamoto si trovò, quasi per caso, ad accompagnare i suoi genitori in un viaggio in Europa. Fu fortemente affascinato da Parigi e dalla sua frizzante vita culturale tanto da fermarsi ne la ville lumière per oltre dieci anni. Studiò alla Panthéon Sorbonne, laureandosi, sotto la guida del professor Marcel Mauss, in Etnologia, focalizzando i suoi studi sui riti tipici di alcune tribù dell’Oceania. Molto ispirato dal lavoro di Pablo Picasso (e anche per questo definito in patria il Picasso Giapponese), Okamoto iniziò a interessarsi all’Astrattismo (dal 1933 al 1937, fece parte del gruppo Abstraction-Création) e al Surrealismo di André Breton e Kurt Seligman. In quegli anni l’artista fu anche profondamente attratto dall’occulto e dai culti misterici: frequentò il “Collège de sociologie” tenuto da Georges Bataille, partecipando anche ad alcuni riti mistici nel bosco di Saint-Germain, nei dintorni di Parigi, come membro di Acéphale, una società spirituale segreta.

A causa dell’invasione tedesca della Francia, nel 1940 decise di ritornare in Giappone. È proprio in questi anni del secondo conflitto mondiale che comincia a maturare l’idea di una totale incompatibilità fra i due Movimenti artistici a cui aveva aderito e che, invece, fino ad allora aveva considerato compatibili e intercambiabili. Nel 1947, pertanto, introduce quello che sarà il nuovo nucleo del suo principio artistico, il Taikyoku-ism (o polarismo): un’idea originale di comunione degli opposti, definito dal critico d’arte Ichiro Hariu come “una filosofia che chiedeva di avventurarsi nelle profondità delle contraddizioni senza cercare di unirle con soluzioni o compromessi facili”.

Sulla base di questi principi e respirando l’atmosfera, politicamente carica, di un Giappone occupato dagli americani e annichilito fra distruzione fisica e vuoto spirituale, nascono alcune dipinti di grande dimensione come Dawn (1948, conservato al The National Museum of Modern Art, Tokyo) e altri due poderosi dipinti, Heavy Industry (1949) e Law of the Jungle (1950). Nel primo Taro racconta di un’epoca di disordini sociali, ferrovieri licenziati e di una “industria pesante” accusata di capitalismo spericolato, rampante e senza scrupoli. Nel secondo dipinto, un enorme, misterioso ed esoterico animale con la bocca serrata da una cerniera si lancia in avanti minacciosamente mentre le creature più piccole cercano di salvarsi dalla sua furia allontanandosi di soppiatto mente il trio delle scimmie sagge, Kikazaru , Mizaru e Iwazaru (non sento il male, non vedo il male, non parlo del male) si rannicchiano, spaventate e inermi, in un angolo. Okamoto stesso definì il mostro centrale del quadro come la bieca simbologia del fascismo oppressivo e autoritario.

L’estetica alla base della sua arte può essere riassunta dalle parole “libertà”, “orgoglio” e “dignità”. Ma l’arte da sola non riusciva a rinchiudere la vivace e poliedrica curiosità di questo geniale artista. Nel 1964, infatti, Tarō Okamoto pubblicò un libro intitolato “Misteri del Giappone”: la scintilla primordiale di questo interesse erano stati gli oggetti del Periodo Jōmon (dal 10.000 al 300 A.C.) da lui visti nel Museo Nazionale di Tokyo. Dopo questa pubblicazione, l’artista si mise in viaggio per tutto il paese alla ricerca della “ripetizione” di quella sensazione che aveva percepito osservando quegli oggetti e pubblicando, pochi mesi dopo, un altro libro, “Riscoperta della topografia dell’arte giapponese”.

Alla fine degli anni Cinquanta, Okamoto iniziò a cimentarsi con le sculture ed è proprio con la tridimensionalità  che riuscirà a esprimersi al meglio creando forme coinvolgenti ed evocative; fra cui troviamo quella che certamente è la sua opera più nota: l’imponente “Torre del sole” (per l’Expo ’70, fiera mondiale di Osaka) in cui lo sfarfallio della fiamma cerimoniale di uno stregone, i totem tribali e i principi razionalistici del modernismo classico si fondono magistralmente assieme a raffigurarci il passato, il presente e il futuro della razza umana.

Negli anni Ottanta una eccessiva esposizione mediatica (televisione e spot pubblicitari) e una altrettanto eccessiva implementazione dei suoi atteggiamenti istrionici e bizzarri avevano un po’ negativamente inciso sullo spessore culturale del suo personaggio pur contribuendo alla sua notorietà (“L’arte è esplosione”, la frase che ripetuta durante lo spot, martellando una campana da lui stesso realizzata, divenne un mantra di uso comune). Ma già dagli anni Novanta la sua leggenda riparte: nel 1993 viene nominato Cittadino Onorevole della città di Kawasaki e quello stesso anno il Kawasaki City Museum realizza una grande retrospettiva del suo lavoro; a Tokyo, nel 1998, il suo grande studio a Minami Aoyama viene trasformato in Museo del Memoriale di Tarō Okamoto e l’anno seguente, un importante Museo d’Arte gli viene interamente dedicato a Kawasaki. Infine, proprio in questo Museo, da poco riaperto dopo l’emergenza del Covid-19, si è appena conclusa l’interessante esposizione dal titolo “Baschet Exhibition – F.Baschet and Taro Okamoto”.

Manifesto di Tarō Okamoto mentre scolpisce

Tarō OkamotoTarō Okamoto, scultura (dettaglio)

Tarō Okamoto, scultura (dettaglio)

Tutte le foto sono state scattate da Angelo Andriuolo (© 2020) al Taro Okamoto Memorial di Minami Aoyama (Tokyo), la casa/studio dell’artista


RELATED POST

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.