“Un’isola, un continente, da solo un mondo” disse Edgar Degas parlando del maestro giapponese Hokusai, i cui paesaggi colorati – in maniera quasi torbida e vaga – mi sono tornati alla mente vedendo le opere Honey Boxes. Panel #5.22 (2022) e Honey Boxes. Panel #6.22 (2022). Strati su strati di cera e paraffina che vanno da un grigio blu a un azzurro o un verde marino, con sprazzi di un bianco sporco verdognolo e polvere di lapislazzulo che non possono non ricordare le onde che si infrangono, esattamente come La (grande) onda presso la costa di Kanagawa (1830-1832 ca.). È con questo antico paesaggio negli occhi che ho ammirato di primo acchito le opere presenti in Terra!, la prima personale di Stefano Cescon (Pordenone, 1989) curata da Sabino Maria Frassà al Gaggenau DesignElementi Hub di Milano.
Artista giovanissimo ed emergente, Cescon tocca il terreno di una nuova arte con le opere in mostra, dei quadri-scultura di dimensioni variabili in cera, paraffina e pigmenti. Si tratta di un approdo avvenuto non senza ostacoli, iniziati con una carriera intrisa di pittura materica e a tratti informale, e conclusi solo dopo quasi tre anni di silenzio artistico echeggiati da un lavoro d’introspezione che portava la pesante domanda del “che cosa è rimasto da dire?”. Questa domanda trova risposta nelle quattordici opere portate in mostra all’interno di uno spazio che nulla a che fare con le classiche pareti bianche da istituzione artistica; i mattoni a vista dei muri, il divano, il tetto a tratti trasparente e gli elettrodomestici elegantemente a vista inquadrano bene la novità intrisa nelle opere di Cescon: non più opere che trovano significato solo se circondate da un vuoto incanutito, ma che urlano individualmente la propria identità. Ed è proprio l’identità uno dei grandi fulcri della mostra. Innanzitutto, viene fuori l’identità dell’artista: è chiaro un percorso pittorico all’interno dei suoi quadri, scandito da un interesse non indifferente per la ricerca dei materiali, naturali (cera, pigmenti) e artificiali (paraffina), che unisce da solo, creandosi da sé, in modo rinascimentale, i colori visibili nei quadri. Si ha poi l’identità dell’osservatore. Essendo opere realizzate attraverso una stratificazione di colore, di materia, è chiaro il rimando alla vita di ciascuno di noi intesa come insieme di avvenimenti, emozioni ed esperienze. In più, l’imprevedibilità di un collasso tra uno strato di colore e un altro crea opere uniche in cui ognuno di noi vede qualcosa di diverso che rimanda ad altro di nostra conoscenza: esattamente come le figure di Rorschach, nei quadri di Cescon ci si può vedere tutto o niente, in ogni caso lasciano un’esperienza che può solo essere personale.
L’altro grande fulcro della mostra è il processo artistico che vi sta dietro. L’arte di Stefano Cescon è una meticolosa ricerca di equilibrio tra il suo essere passato e presente, tant’è che a lavoro ultimato l’opera semplicemente funziona o viene distrutta. Diventa, quindi, una questione di ritmo e di mancanza di ritmo; come scriveva Henri Lefebvre “il ritmo appare come tempo regolato, governato da leggi razionali, ma a contatto con ciò che è meno razionale nell’essere umano: il vissuto, il carnale, il corpo”. Se viene a mancare uno dei due aspetti il ritmo cessa di esistere, e l’opera non ha più valore per l’artista. Emblematica in questo senso è l’opera Honey Boxes. Panel #1.22 (2022), la prima della serie ma che tuttavia non è presente nella personale, era visibile solo all’interno della mostra La Caduta presentata a settembre dallo stesso Frassà. Si tratta di un’opera che racchiude meravigliosamente il passaggio di tecnica proposto dall’artista, e ben visibile dalla cera che appare grezza alla vista e al tatto, dettaglio che fa scaturire pathos all’opera.
Il tour si conclude con un’opera che ben fa comprendere il punto di arrivo di questo percorso, e anche il punto di partenza per quello in avvenire. La colonna – così chiamata dallo stesso Cescon a cui realmente non ha attribuito un titolo all’opera – ossia un grande monolite in cui gli strati di colore-materia danno forma a un parallelepipedo costruito sulle proporzioni dell’artista: è della stessa altezza dell’artista, mentre la profondità è data dalle dimensioni della sua testa. È a tutti gli effetti un suo autoritratto in cui la tridimensionalità è data ora dalla stratificazione presente su tutti e cinque i lati (anche la “testa”). Da rettangoli di poco più di venti centimetri Cescon è andato oltre, arrivando alla sua stessa altezza, orizzonte di un nuovo viaggio materico verso terre colorate sconosciute.
Myrta Mognoni
Info:
Stefano Cescon, Terra!
a cura di Sabino Maria Frassà
6/10/2022 – 22/12/2022
Gaggenau DesignElementi Hub
Corso Magenta 2, 20123 Milano
designelementi.it/event/mostra-stefano-cescon/
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