L’artista britannica Emma Talbot (1969, Stourbridge, Regno Unito) è stata una delle grandi protagoniste femminili della mostra Il latte dei sogni curata da Cecilia Alemani nell’ambito della 59ª edizione della Biennale Arti Visive di Venezia, conclusasi lo scorso novembre con uno straordinario successo di pubblico. La sua inconfondibile cifra espressiva, che trova la sua più tipica formalizzazione in una scrittura pittorica continua intervallata da apparizioni testuali in bilico tra il pop up digitale e la grafica fumettistica, è prevalentemente associata a supporti fluttuanti di tessuti pregiati, simili a tende, che restituiscono su scala ambientale la vocazione onnicomprensiva del suo pensiero. Questa scelta, influenzata dalla teoria della femminista francese Hélène Cixous sull’écrirure féminine nasce dall’intenzione di concepire un linguaggio artistico femminile inteso come azione liberatoria istintivamente traslata dal piano formale a quello politico.
Nel suo prolifico immaginario, Emma Talbot fa confluire figurazioni semplificate, motivi mitologici, citazioni tratte dalla storia dell’arte, pattern astratti e testi calligrafici che, scaturendo dal suo vissuto personale, arrivano a toccare tematiche che spaziano dalla tecnologia alla natura, all’urbanistica e all’eco-politica, fino alla pandemia e all’invecchiamento. Le teorie post-antropocentriche e postumane che costituiscono il presupposto concettuale delle sue ricerche vengono da lei declinate in un positivo anelito al cambiamento in cui la nostalgia per una mitica armonia perduta diventa la spinta propulsiva di una sorta di “magia etica” in grado di invertire il tragico decorso delle vicende di un’umanità che sembra oggi votata all’auto-distruzione. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare a prima vista osservando i suoi incantati dipinti su seta, l’artista non propone un’utopica fuga dalla catastrofe imminente in un universo onirico, ma un tentativo esistenzialmente disincantato di invertire la rotta attraverso un’attiva mobilitazione del genere umano guidata proprio dalle categorie normalmente considerate più deboli, come le donne, gli emarginati e gli oppressi.
Indaga queste tematiche anche la mostra The Age/L’Età che, dopo aver esordito alla Whitechapel Gallery di Londra, è approdata negli spazi dedicati alle esibizioni temporanee della Collezione Maramotti, che ne acquisirà le opere. La monografica è l’esito di una residenza di sei mesi in cui Emma Talbot, vincitrice dell’ottava edizione del Max Mara Art Prize for Women (riconoscimento biennale assegnato ad artiste attive nel Regno Unito ancora non insignite di una mostra antologica istituzionale), è stata invitata in Italia per dedicarsi allo studio dell’artigianato tessile, della permacultura[1], della mitologia classica e per esperire luoghi di interesse naturalistico e storico inerenti alla sua ricerca artistica. Le tappe della residenza, organizzata dalla Collezione Maramotti, sono state Reggio Emilia, dove l’artista ha imparato a lavorare a maglia in collaborazione con un’azienda di maglieria digitale, la Sicilia, dove ha avuto l’opportunità di soggiornare sull’Etna in un sito di permacultura e di visitare aree archeologiche come il Tempio di Ercole ad Agrigento, e Roma, dove si è concentrata sull’iconografia dell’eroe romano celebre per le sue dodici fatiche e su come la sua storia sia stata adattata in epoche diverse.
La protagonista del nuovo ciclo di opere scaturite da queste esperienze è una donna anziana che per sembianze e postura ricalca il personaggio più maturo de Le tre età della donna (1905) di Gustav Klimt, dipinto conservato alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma che Talbot ha potuto ammirare da vicino durante il suo viaggio in Italia. Se il personaggio immaginato dal pittore austriaco si nasconde il volto tra le mani in un atteggiamento quasi di vergogna e sembra incurvarsi sotto il peso delle prove che hanno consumato e deformato il suo corpo, quella che vediamo in mostra è una vigorosa anti-eroina nelle cui rughe circola la preziosa linfa di una saggezza stratificatasi nel tempo, grazie alla quale la donna è riuscita a sopravvivere nel paesaggio distopico in cui abita solitaria, didascalica prefigurazione delle conseguenze a lungo termine della nostra cultura di distruzione, aggressione e avidità. Nei grandi dipinti sospesi della serie Ruins, evidentemente ispirati alle rovine romane visitate durante la residenza, e Volcanic Landscape, visionaria emanazione delle escursioni sull’Etna, il visitatore è indotto a sostare come in un rituale laico di fronte alle “stazioni” testuali che scandiscono la consequenzialità visiva elencando i principi della permacultura, in dichiarata opposizione alla dittatura dell’informazione asservita al tardo capitalismo.
Quella concepita da Emma Talbot è una monumentale narrazione epica inversa che invita a ripensare il concetto di potere non più in relazione all’aggressione e alla forza, di cui Ercole è l’espressione mitologica, ma alla cura e alla condivisione, valori suggeriti come ancora più arcaici, di cui l’anziana sembra essere l’ultima depositaria. L’aspirazione di costruire un futuro sostenibile re-imparando a interagire con la natura e riaffidandosi a metodi olistici di appartenenza al mondo è l’humus di cui si nutre l’inesauribile fervore disegnativo dell’artista, che è in grado di trasformare anche le potenziali derive centrifughe del suo discorso in una solida mitologia iconografica.
Il riuscito sincretismo tra preoccupazioni contemporanee, trasversalità stilistica e un’appassionata introiezione delle logiche della pittura vascolare classica, forse l’aspetto più interessante di questa nuova produzione, appare ancora più evidente nella video-animazione in capitoli che conclude la mostra. L’opera, prima prova con questo medium a cui Emma Talbot si è approcciata da autodidatta durante il lockdown, mostra la protagonista impegnata in una serie di prove analoghe alle dodici fatiche di Ercole che diventano pretesto per un ipnotico duetto tra parole e disegno. La stretta interdipendenza tra questi due elementi nel rapido susseguirsi delle immagini arriva ad annullare la costitutiva differenza tra parole e segni in un continuum percettivo di grande efficacia che, messo in rapporto alle pitture, esplicita il processo creativo dell’artista mostrandolo nel suo farsi senza limitazioni di spazio e di tempo e manifesta l’orientamento della sua ricerca stilistica instillando la curiosità di scoprirne i prossimi sviluppi.
[1] https://www.permacultura.it/index.php/en/cosa-e
Info:
Emma Talbot. The Age/L’Età
23/10/2022 – 19/02/2023
Collezione Maramotti
Via Fratelli Cervi 66, Reggio Emilia
www.collezionemaramotti.org
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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