In occasione della ventunesima edizione del Festival di Filosofia, il palazzo ducale di Sassuolo, sede delle Gallerie Estensi, ospita fino al 31 ottobre 2021, The Marazzi years. Ad essere esposti, trenta scatti realizzati da Luigi Ghirri, tra il 1975 e il 1985, per la Marazzi ceramiche, azienda leader nella produzione di piastrelle in ceramica con sede a Sassuolo. Alla curatrice, Ilaria Campioli, va dato atto di aver allestito, all’interno delle tre sale dell’Appartamento dei Giganti, un piccolo capolavoro espositivo, sorprendente per la delicatezza e il rispetto mostrati verso la poetica di un assoluto gigante della fotografia italiana. La mostra, accessibile da una piccola porta che si affaccia sulla corte interna della “delizia” di Francesco I d’Este, si snoda in lunghezza su tre ambienti consecutivi, un camerino e due camere vere e proprie, entro i quali ogni immagine trova il suo spazio e la sua ragion d’essere grazie all’impeccabile regia di Campioli, il cui approccio curatoriale pare essersi indirizzato allo svelamento di un legame quasi naturale tra le immagini esposte e gli spazi preesistenti.
Armonia svelata, del resto, già in apertura, nel gioco di ammiccamenti tra architetture reali e la prima immagine (una campata voltata vista in prospettiva) che funge “da anteprima” rispetto alla mostra vera e propria, o ancora nella piacevole assonanza cromatica tra le dominanti rosa e cenere a tinte pastello di pareti e cornici, le quali si dimostrano, una volta di più, l’habitat ideale per gli scatti di Ghirri, protetti da quel fondo bianco tanto amato dal fotografo: “io tendo normalmente a ottenere dei colori poco intensi, che si combinano molto meglio con uno sfondo bianco, il fondo nero li ucciderebbe[1]”, scrive nelle Lezioni di fotografia.
Sin da subito, la mostra si apre lasciando che sia il concetto di spazio a farsi largo tra le sale: uno spazio misurabile, sulla scia della grande tradizione rinascimentale italiana (Piero della Francesca su tutti) e riducibile a quella griglia quadrettata che Ghirri, ancora nelle Lezioni, associa immediatamente al vetro smerigliato dell’inquadratura, “identico”, per lui, “alla quadrettatura di una lavagna per imparare a scrivere o a disegnare[2]”. La pratica quotidiana dell’esperienza dello spazio, troppe volte data per scontata, non scade qui in facili intellettualismi. Il pattern quadrettato delle piastrelle è infatti inteso da Ghirri anche nella sua piena solidità: “La ceramica” – spiega il fotografo – “è sempre stata un ‘oggetto’ su cui si vengono a posare altri oggetti: i mobili, i gesti, le immagini, le ombre delle persone che abitano quegli spazi”, ed è esattamente così che Ghirri la vede, mostrandosi in grado di camminare tra due estremi, di conciliare con abilità innata il materico di un abaco, di un pallone (ancora il tema del gioco) o dell’ ormai iconico cucchiaio con uovo (chiaro eco alla Pala di Brera di Piero) con il razionale delle dimensioni aperte dai riflessi allo specchio e, infine, di effettuare con la fotografia un lucido ragionamento sullo stato di salute dell’uomo moderno.
Questa idea di equilibrio tra res cogitans e res extensa, tra interno ed esterno, è infatti intimamente connessa con la pratica fotografica in sé. È ancora al momento dell’inquadratura che Ghirri affida quel discorso sulla “soglia” che lo ha accompagnato lungo l’intero arco della sua carriera. Atto supremo di giudizio, l’inquadratura altro non è che una selezione della porzione del reale da eleggere a soggetto dell’arte (“la fotografia è sempre un escludere il resto del mondo per farne vedere un pezzettino[3]”). Un reale assolutamente normale, il cui compito è stabilire con lo spettatore un contatto duraturo, non relegato al mero atto della visione e recante con sé l’idea di tensione, di non detto. Una rivoluzione in silenzio, quindi, pare informare l’intera prassi fotografica di Ghirri, che assume su di sé la responsabilità di invitare a una pausa l’uomo contemporaneo, rallentandone il battito cardiaco per sottrarlo, anche solo per qualche istante, al regime dell’ipervisibile: “La nostra percezione dell’immagine si è velocizzata attraverso il cinema, la televisione, l’automobile. Noi riusciamo a percepire anche messaggi pubblicitari che vediamo sui cartelli passando ai 100 all’ora[4]”.
Silenzio come obiettivo ultimo, dunque, in virtù del quale anche soluzioni tecniche ricorrenti quali l’estrema raffinatezza nelle gradazioni luminose e l’attenuamento complessivo della saturazione si dimostrano strumenti perfettamente funzionali allo scopo: mettere in discussione la presunta “banalità del reale”, recuperare quanto ciò di complesso alberga nella semplicità, abitando lo spazio come dimensione immune agli stimoli esterni, come luogo per ri-conoscersi. Una rivoluzione “non eloquente”, dunque, come quella che fu di Piero.
Andrea Bardi
Info:
The Marazzi years. 1975 – 1985
16/09/2021 – 31/10/2021
A cura di Ilaria Campioli
Gallerie Estensi – palazzo ducale di Sassuolo
Piazzale della Rosa, 10, 41049 Sassuolo (MO)
https://gallerie-estensi.beniculturali.it/events/luigi-ghirri-the-marazzi-years-1975-1985/
[1] Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, Macerata, Quodlibet, 2009, p. 194
[2] Ivi, p. 140
[3] Ivi, p. 53
[4] Ivi, p. 50
For all the images: Luigi Ghirri, The Marazzi Years. 1975 – 1985, installation view at Palazzo Ducale, Sassuolo, ph Andrea Bardi
Laureato in conservazione dei Beni Culturali, attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Arti Visive presso l’Università di Bologna. È parte del team che si occupa della gestione di un noto blog di divulgazione culturale ed è inoltre contributor per Juliet Art Magazine. Crede nell’arte come spazio di recupero di una complessità perduta.
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