A domanda rispondo è il titolo dello scritto in cui Tomaso Binga espone con chiarezza inequivocabile il suo abecedario, laddove ogni lettera è raccontata attraverso l’intreccio di proprie vicende personali e artistiche. La lettera T è collegata al titolo dell’opera Transumanze creative[1], nella cui sinossi è espresso il desiderio del ritorno di un’arte come azione plurale, utile a rinvigorire la collettività attraverso un confronto costruttivo di voci differenti. Proprio sulla scia di tale impulso si pongono in dialogo le opere di Tomaso Binga e María Ángeles Vila Tortosa, esposte alla mostra Corpus Naturae a cura di Benedetta Carpi De Resmini e realizzata in collaborazione con Latitudo, in programmazione al Mattatoio di Roma sino al 13 ottobre 2024.
Le due ricerche artistiche, affatto coincidenti, sono comunque accostabili per la capacità di indagare, con tecniche di diversa origine, la questione del corpo femminile, il linguaggio e la natura. Proprio nell’approfondimento di quest’ultimo tema si ha modo di entrare in contatto con l’universo delle piante officinali, che entrambe le artiste indagano con graffiante verità, sino ad accostarlo alla complessità del corpo e dei suoi organi, senza tralasciare le insenature più intime. Così, quanto si costruisce negli spazi del Mattatoio è un percorso narrativo malleabile e fluido per le infinite variazioni e per le specifiche connessioni tra la geografia fisica e il mondo vegetale, in cui opere su tela, video, sculture, installazioni sonore e ambientali si susseguono in un dialogo ricco di energie. Se María Ángeles Vila Tortosa colpisce impetuosamente per il carattere primitivo e inclusivo verso qualsiasi forma vegetale, mettendo in luce le disuguaglianze piuttosto che appiattirle, Tomaso Binga accarezza invece l’occhio e l’orecchio dello spettatore con opere segnate da un’intelligente ironia, all’apparenza innocente.
Inoltre, il progetto rivela quanto tale approccio di ricerca sia inattuale rispetto all’odierno tempo, poiché confronta, equilibra, accosta e coraggiosamente riduce la distanza tra le due produzioni. Nel complesso le opere di Tomaso Binga rivelano un comune filone che segue un principio di relatività: ogni pezzo svela la connessione primordiale tra il corpo e la natura, rivelando nuovi piani semantici per stimolare un’attenzione mentale e visiva. Di particolare pregio, per l’impatto partecipativo critico richiesto e l’assenza di distinzione tra il poetico, il visivo e l’uditivo, sono le opere l’Alfabeto Officinale, A/Z e Mater/Madre in cui si instaura un gioco ironico e demistificatorio verso il corpo ed il linguaggio. Difatti, in entrambi i casi le opere non sono affatto considerabili come elementi autonomi, poiché, necessitando di una fluidità narrativa e spaziale, vivono al di là della loro scrittura didascalizzata.
Quel che risulta più attrattivo di questi lavori è senza dubbio la capacità di affrontare la questione della “fisicizzazione” femminile, intesa come azione che si apre alla scrittura al pari di una azione ginnica. Eppure, seguendo con lo sguardo la parete dell’abecedario sono le stesse parole a porci la questione se a domanda si debba veramente rispondere, sì da invitarci a recitare ad alta voce le lettere per scoprire le loro infinite connessioni. In questo modo, per Binga il potere di trasferibilità del pensiero non si allinea alla ripetizione dei costrutti linguistici, bensì svincola ogni regola per trasformare la scrittura in una questione esistenziale. Tant’è che dall’inesauribile ricchezza del fraseggio corporeo che caratterizza il progetto emerge l’artista che insegue, per naturale indole, un corso poetico, sfiorando la questione femminile, il corpo, il linguaggio, la parola, la voce, con l’obbiettivo di sollecitare lo spettatore a decriptare e collegare i significati più immediati e rintracciare, nel contempo, anche quelli meno superficiali.
Si pone, invece, agli antipodi il lavoro di Vila Tortosa, la cui intera produzione vive di un’energia sotterranea, qualcosa di primordiale che ci invita a immaginare le opere originate da una fertile prateria selvaggia. Difatti le colorazioni tipiche della terra brulla, assieme a una modalità esecutiva rude che conferisce asprezza d’immagine, conducono l’artista a definire le atmosfere e i grossolani profili di fiori, erbe, bulbi e frutti. Anche in questo caso tutte le opere in mostra rivelano il rapporto prettamente fisico, quasi corporale, che l’artista instaura con le sostanze vegetali del creato. Difatti, è evidente che in ogni opera sono compresenti ulteriori modalità d’indagine e di lettura, riassunte nel confronto tra immagine e parola, così da invitarci a studiare, piuttosto che capire, il corpo, pregno com’è di suggestiva complessità. Inoltre gli elementi naturali, incasellando le diciture del fisico, avvalorano la nomenclatura che afferma con certezza il rapporto che si instaura tra il corpo e l’arbusto.
Tuttavia, il protagonista assoluto per l’artista è l’organo, che viene proposto come parte fondamentale del percorso espositivo, così le ovaie sono riprodotte a grandezza naturale sino a diventare delle sculture tattili, accoglienti e invitanti, nonostante la loro impossibilità a essere percorse fisicamente. Nel complesso le opere di Vila Tortosa emergono per il loro essere ‘rizomatico’, in quanto vivono della stessa azione e della profondità dei filamenti delle radici naturali, donando la capacità di percepire, vedere, capire le cose fino alle origini, ossia fino al punto in cui la natura e il corpo ritrovano la loro essenza comune. Così, quanto stimola l’affermazione di Binga A domanda rispondo, è una logica questione la cui risposta risiede nelle infinite possibilità combinatorie vagliate dalla Vila Tortosa tra la natura vegetale, il corpo e il sillabario, ipotizzando che a qualsiasi domanda non è affatto dovuto rispondere.
Maria Vittoria Pinotti
[1] Antonello Tolve, Tomaso Binga, dalla A alla Z, Postmedia Books, 2024, p. 46
Info:
Tomaso Binga e María Ángeles Vila Tortosa, Corpus Naturae
A cura di Benedetta Carpi De Resmini
13/09/2024 – 13/09/2024
Padiglione 9b, MATTATOIO
Piazza Orazio Giustiniani, 4, 00153 Roma
Dal martedì alla domenica 11:00 – 20:00. Chiuso il lunedì
Maria Vittoria Pinotti (1986, San Benedetto del Tronto) è storica dell’arte, autrice e critica indipendente. Attualmente è coordinatrice dell’Archivio fotografico di Claudio Abate e Manager presso lo Studio di Elena Bellantoni. Dal 2016 al 2023 ha rivestito il ruolo di Gallery Manager in una galleria nel centro storico di Roma. Ha lavorato con uffici ministeriali, quali il Segretariato Generale del Ministero della Cultura e l’Archivio Centrale dello Stato. Attualmente collabora con riviste del settore culturale concentrandosi su approfondimenti tematici dedicati all’arte moderna e contemporanea.
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