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Tracey Rose allo Zeitz MOCAA, Cape Town

Tracey Rose allo Zeitz MOCAA, Cape Town

Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (Zeitz MOCAA) è un’istituzione pubblica senza scopo di lucro il cui fine è quello di esporre, raccogliere, conservare l’arte contemporanea africana. Accanto alla collezione permanente, il museo è dotato di ampi spazi dove ospitare mostre temporanee e una project room per gli artisti emergenti. Il Museo comprende anche il Center for Art Education e il Center for the Moving Image. La sede del museo sta nell’ex edificio industriale Grain Silo Complex al V&A Waterfront (in origine un insieme di quarantadue tubi di cemento alti 33 metri, ciascuno con un diametro di 5,5 metri, e senza alcun apertura) riconvertito grazie al progetto di Heatherwick Studio. L’attuale direttore esecutivo e chief curator è Koyo Kouoh.

La collezione permanente (tutta incentrata sulla creatività degli artisti che possono essere riferiti alla cultura del continente africano perché sono nati e vivono in Africa o in altri luoghi o perché sono figli della “diaspora” e abitano da tutt’altra parte) è molto eterogenea e a trecentosessanta gradi, e rivela comunque una grande attenzione a tutte le possibili varianti e articolazioni. Il tutto indica un particolarismo che in qualche mondo sembra tradire la cultura “internazionale” dell’illuminismo o un credo progressista di stampo socialista e unificatore, per favorire le tradizioni del luogo, gli aspetti anche popolari o le memorie ancestrali. Un senso di riscatto e di riaffermazione di un passato negato, e violato dal colonialismo o dal capitalismo selvaggio, sembra attraversare molte di queste opere. Nel tour incontriamo non solo autori famosi e celebrati in tante mostre internazionali, ma anche nomi giovani e ancora sconosciuti; facciamo alcuni esempi: William Kentridge,  Chéri Samba, Zanele Muholi, Kendell Geers, Abdoulaye Konaté, Ammira Kamudzengerere, Athi-Patra Ruga, Godfried Donkor, Kehinde Wiley.

Ora, Zeitz MOCAA è impegnato nell’organizzazione della retrospettiva più completa di Tracey Rose (Durban, 1974, vive a Johannesburg), con lavori che vanno dal 1996 al 2019. La mostra comprenderà video proiezioni, sculture, foto, performance, pittura. Tracey Rose è una voce radicale nel mondo dell’arte sudafricana e internazionale dato che il suo lavoro possiamo a tutti gli effetti definirlo come “impegnato” ovvero di denuncia o di rivalsa nei confronti del suprematismo bianco e dell’egocentrismo maschilista.

La sua opera, sempre tumultuosa e sovrabbondante, sebbene parli di temi legati alla storia dell’Africa (nello specifico non solo al suo passato coloniale e alla dicotomia uomo bianco/nero, ma anche alle sue tradizioni e alle sue identità) non dà mai l’impressione di essere autobiografica, tanto che si può dire che questa coraggiosa artista dia voce a una protesta più corale che individuale. La sua passione e le sue riletture del passato conducono a un ribaltamento delle figure note della storia, della religione e della contemporaneità, ovvero a una “recitazione” in cui il colore della pelle fa spesso la differenza. La sua poesia recitata e performativa è un rituale fantastico: una cascata di variazioni spesso baroccheggianti, tanto che l’affresco a cui ci troviamo davanti si trasforma spesso in un’allegoria, in una narrazione traslata e multistratificata. Lo stile è perfetto, ogni dettaglio è molto curato, come da autentica osservatrice di fatti e persone che voglia legare ogni dettaglio all’annotazione sociale, di costume, storica, politica ed economica o agli stereotipi connessi a tutti questi fenomeni e al ruolo della donna nella storia dell’umanità.

E il corpo (spesso quello dell’autrice, anche mascherato come in una recita teatrale, ma spesso anche nella sua ostentata nudità) diviene veicolo di questo messaggio sovversivo, su cui si caricano riferimenti a politiche identitarie, di genere, razziali e gender. Queste recite, basate su allestimenti scenici e su mascheramenti molto accentuati (talvolta perfino onirici) possono alla lontana ricordare la metodologia del travestimento usata anche da Cindy Sherman, soprattutto nelle serie a colori di quest’ultima, ma direi che Rose, in questo gioco di metamorfosi, è davvero su uno scalino superiore, proprio là dove è capace di far scattare, in maniera evidente per ogni occhio un po’ esercitato, una chiara volontà di biasimo e di fustigazione di un passato riportato al presente: al nostro presente. A un presente mai risolto e pieno di contraddizioni.

Roberto Grisancich

Info:

Tracey Rose. Shooting Down Babylon
18/02/2022 – 28/06/2022
Zeitz MOCAA
Silo District
S Arm Road
V&A Waterfront
Cape Town
info@zeitzmocaa.museum

Tracey Rose, San Pedro V “The Hope I hope” The Wall, 2005. Giclées print, 63,46 x 84,91 cm, courtesy the Artist and Dan Gunn, LondonTracey Rose, San Pedro V “The Hope I hope” The Wall, 2005. Giclées print,  63,46 x 84,91 cm,  courtesy the Artist and Dan Gunn, London

Tracey Rose, PIG, 1999. Oil, acrylic, spray paint and pencil on canvas, 254 x 254 cm, courtesy the Artist and Dan Gunn, London

Tracey Rose, Ciao Bella Ms Cast: Lolita, 2001. Lambda print, 117,5 x 118 cm, courtesy the Artist and Dan Gunn, London


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