Si dice che Piet Mondrian fosse appassionato di danza e che prendesse lezioni di fox trot. Sempre alla ricerca di un’occasione per andare a ballare, riversa la sua passione in dipinti, come Fox Trot A e Fox Trot B, negli anni Trenta, e nella serie Boogie-Woogie, negli anni Quaranta. Si dice che ballasse come i suoi quadri: rigido, astratto, geometrico in contraddizione alle note di una ardente e vivace musica. Sorry Mondrian for the mess (2024), è un’opera di Cecilia Mentasti (Varese, 1993), che ammicca proprio a Broadway Boogie-Woogie (1942). Se i fari da cantiere, su una struttura di ferro gialla, raffreddano l’ambiente con luci bianche, il brano in sottofondo, riscalda con un’atmosfera romantica.
Una volta Cecilia Mentasti mi ha detto che desiderava fare una mostra leggera, senza pesi superflui e senza superficialità. Trimmed after a pattern, presso la nuova sede di EXAMATO, a cura di Thomas Ba, con un testo di Vittoria Caprotti, può essere un primo passo verso questo desiderio. In un piccolo spazio, con il soffitto basso, convivono quattro opere. Sorry Mondrian for the mess illumina Institute for snow (2024), due fogli di carta su dibond, con delle stelle disegnate, di una forma molto elementare, di quelle che impari a fare durante l’infanzia. Già immersi nella musica ora ammiriamo le stelle, il nostro primo approccio con l’opera è di collocarla in un clima romantico, quasi stucchevole. Il modo in cui sono disegnate le stelle ci sembra un po’ bizzarro e desta qualche sospetto. L’opera è commissionata da Mentasti a Walter Benjamin, non il filosofo (deceduto nel 1940), ma un suo omonimo.
Sorvolando sulle questioni dell’autorialità, che in questo caso sono superflue, l’opera manifesta il senso della mostra: nelle relazioni amorose c’è sempre qualcosa che non sappiamo e non riusciamo a capire. È un’incomprensione che ci fa sentire inetti nel coltivare e mantenere relazioni, è una cosa che ci sembra difficilissima, almeno tanto quanto comprenderla, per poi scoprire alla fine che, come nell’arte e nel cinema, c’è finzione. Su un plinto, sufficientemente alto, troviamo Untitled (Perfect day) (2023- in corso), uno dei multipli della serie composta da gusci di pistacchi incastrati tra loro in una romantica morsa, raccolti dall’artista durante i suoi snack. Anche in questo caso Mentasti parla di un romanticismo spietato, morboso e profondo, con un minimale gesto spontaneo. La mostra si chiude (e si apre) con we are just objects made of flesh (2023), una scritta in carattere Times New Roman grattata su intonaco, una presenza quasi nascosta, sul lato destro dell’entrata, talmente autoesplicativa da non poter ribattere.
Nostro malgrado ci troviamo sempre in queste situazioni: incomprensioni, domande infinite per rispondere ai dubbi su cosa siano le relazioni tra le persone, sperando di non cadere in cinismi angusti. Il curatore, Thomas Ba, mette come epigrafe del suo testo la citazione di Walter Benjamin (questa volta il filosofo): «L’unico modo per conoscere una persona è amarla senza speranza», mentre Vittoria Caprotti si abbandona a una lettera d’amore in cui irrompono le opere di Mentasti, come spunti e rimandi a pensieri intrusivi sui sentimenti.
Scrive Caprotti: «Incapace di risolvere per me il problema temporale dell’amorosità – vale a dire: incapace di mantenere quella stolida promessa di eternità che è il “Per sempre”, perché mi annoio di tutto e tutti – mi vedo costretta a indagare quantomeno gli aspetti spaziali delle relazioni». Queste parole, e il fatto stesso che siano state scritte, sono una conseguenza tangibile delle opere di Mentasti: leggere e fragili come due gusci di pistacchio incastrati, come una incisione sul muro (non eterna), ma atroci perché sollevano cose nostre, nascoste nella pancia. Delle cose con cui dobbiamo fare i conti per rassegnarci al fatto che siamo umani e, in quanto tali, purtroppo abbiamo dei sentimenti.
Info:
Cecilia Mentasti. Trimmed after a pattern
a cura di Thomas Ba
20/09 – 17/10/2024
EXAMATO, c/o WMilano
via Washington 51, Milano
Lecce, 1999. Consegue una laurea triennale in Comunicazione e Didattica dell’arte e un biennio specialistico in Visual Cultures e pratiche curatoriali all’Accademia di Belle Arti di Brera. Collabora con riviste del settore e con progetti curatoriali indipendenti tra Lecce e Milano.
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