Si è conclusa con successo lo scorso fine settimana la settima edizione di Ibrida, Festival internazionale delle Arti intermediali organizzato dagli artisti Francesca Leoni e Davide Mastrangelo negli spazi di EXATR, hub votato al contemporaneo situato nel centro storico di Forlì e ricavato negli spazi di un grande ex deposito delle corriere S.I.T.A. Il motore della rassegna è sempre una ricognizione sulla produzione artistica più aggiornata nel campo dell’audiovisivo sperimentale e sulle sue possibilità di contaminazione con altre discipline, come la performance art, l’installazione e la musica elettronica. La manifestazione si è svolta mantenendo inalterato il format ormai consolidato, che prevede l’alternanza di live, opere interattive e proiezioni (con due distinte programmazioni, una riservata alla fruizione in presenza e una liberamente accessibile in streaming attraverso il sito ufficiale durante le giornate del festival). Come sempre i due direttori artistici hanno riservato una grande attenzione al coinvolgimento attivo dei rappresentanti dei media e all’apporto teorico di studiosi del settore, nell’intento di contribuire alla definizione di un oggetto di indagine che appare sfuggente e poco conosciuto al grande pubblico, sia per il fatto che ancora oggi la sua diffusione sembra legata soprattutto alle rassegne di nicchia oppure diluita dalla dispersione della rete internet, sia perché per sua natura è un ambito creativo la cui costante e rapida trasformazione sembra rendere “anticipatamente anacronistico” ogni tentativo di sistematizzazione critica.
I talk di sabato, improntati al dialogo e alla condivisione più che alla comunicazione frontale, hanno visto protagonista dapprima Domenico Quaranta, autore di saggi che negli ultimi anni stanno diventando un punto di riferimento nazionale e internazionale sul tema dei media tecnologici più avanzati in relazione alle pratiche artistiche contemporanee[1]. In quest’occasione il giovane critico e curatore è stato interpellato sugli NFT (Non Fungible Token, certificati digitali di autenticità) che all’inizio del 2021 hanno aperto nel mondo dell’arte il dibattito sulla blockchain, il registro pubblico decentralizzato su cui questi certificati convivono con le criptovalute, promettendo “scarsità digitale verificabile”. È poi stata la volta dell’incontro con i rappresentanti dei media specializzati nel settore artistico, in cui Juliet è stata coinvolta assieme a Exibart, Segno e Arshake in una riflessione sulle problematiche e possibilità della restituzione e comunicazione dell’arte contemporanea in un’epoca post pandemica caratterizzata da incertezze e bulimia digitale, in cui la necessità di sintesi e chiarezza si scontra con le logiche del mercato e con lo sgretolarsi dei parametri di riferimento più consolidati.
Il tema che ha orientato la selezione delle proposte artistiche di questa edizione è quello dell’identità digitale, declinato nelle sezioni Videoart Yearbook. L’annuario della videoarte italiana (curato da un rinnovato gruppo di ricerca costituito da Renato Barilli, Piero Deggiovanni, Pasquale Fameli e Silvia Grandi), The Next Generation short film festival, realizzata in partnership con l’omonimo concorso per filmmaker emergenti di base a Bari e Segnali, a cura di Vertov Project. Tra i video che siamo riusciti a vedere (in effetti la proposta è amplissima e purtroppo il dono dell’ubiquità ci è ancora precluso, almeno fino a quando l’ibridazione tra virtuale e reale non permetterà di superare anche questo limite) ci fa piacere segnalare anzitutto Paradise Lost di Francesca Fini, ammaliante favola di creazione e distruzione in cui una sontuosa divinità computerizzata sembra giocare con le proprie emanazioni per poi smaterializzarle con un inaspettato rumore di vetri infranti. Ci ha poi colpito la fattoria digitale di Ophelia Borghesan, che in Milk is good for bones mostra una surreale catena di produzione in cui la smaterializzazione e la chirurgica ostentazione di benessere suggeriscono un retroscena di nuove e misteriose crudeltà. Merita senz’altro menzione The gleaners, and: ritual for signaled bodies di Benjamin Rosenthal + Eric Souther, lisergica saga di corpi attraversati e modellati dal colore e dal suono in un’ambientazione ibrida tra la placenta e il rave party.
Sempre al tema dell’identità digitale afferivano anche le opere interattive, installate (come le selezioni video di The Next Generation e Vertov Project) in una nuova area di EXATR recentemente recuperata dopo i lavori di messa in sicurezza finanziati dalla Regione Emilia-Romagna, un suggestivo edificio di archeologia industriale che nell’attuale stato di work in progress dei lavori di ristrutturazione costituiva il perfetto scenario per amplificare l’indeterminatezza spazio-temporale dei lavori in mostra. Ad accoglierci all’ingresso Tutte le volte che di Francesca Lolli, salotto vintage imbottito di sassi in cui lo spettatore è invitato a sedersi di fonte a un televisore a tubo catodico che trasmette immagini di artificioso benessere, simili alla pubblicità o ai ricordi idealizzati da una memoria manipolabile, ripetutamente interrotte dai tentativi di una donna che, accortasi della presenza di qualcuno al di là dello schermo, cerca di comunicare alcuni pensieri tratti dal testo “Femminismo e Anarchia” di Emma Goldman (1910), sistematicamente censurati da disturbi del segnale. Il telefono posizionato a fianco della poltrona non riesce a squillare per metterci in comunicazione con lei quando tenta di chiamarci per superare la barriera dello schermo, ma il suo messaggio di allarme è più che mai eloquente. Uno stato di allerta è evocato anche da Igor Imhoff con Eyes #41, software interattivo che utilizzando le più avanzate tecnologie di sorveglianza individua e scannerizza chi entra nel suo raggio di azione assegnando codici a ogni movimento, espressione o direzione dello sguardo, che vengono restituiti sotto forma di informazioni numeriche e visuali. Indossando un apposito visore, lo spettatore riesce a vedere sé stesso come insieme di dati e rappresentazioni come se si guardasse dall’interno dell’intelligenza artificiale e, da qualunque lato si giri, è minacciato da un’ironica testa di mostro da videogiochi. L’atmosfera si stempera con il Peep show box di Rino Stefano Tagliafierro, raffinato dispositivo di visualizzazione che associa lo stesso voyeurismo a dettagli erotici o “innocenti” di dipinti ottocenteschi, in un implicito suggerimento che solo un rapporto intimo e colmo di desiderio con l’arte ci consente di apprezzarla appieno. Apparentemente scanzonata, in realtà intelligentemente esistenzialista, l’installazione Bertrando & Bernardo di Francesco Selvi + Matteo Pini, che attraverso i siparietti comici di due gemelli siamesi fumettisticamente stilizzati mette in scena il tema dell’incomunicabilità e dalla scissione tra sé e l’altro da sé.
Lo spettacolo live di sabato ha presentato in (quasi) anteprima Otis, vertical tales, nuovo lavoro audiovisivo di ØkapI aka Filippo E. Paolini. L’opera prende a pretesto un omaggio all’ascensore di sicurezza, meccanismo inventato a metà del XIX secolo da Otis Elisha Graves per consentire un veloce passaggio tra i vari livelli di palazzi che si facevano sempre più stratificati in altezza, per sovrapporre quindici piani di universi paralleli di un edificio immaginario abitato da scene di famosi film, a loro volta frammentate in spezzoni che ne interrompono la consequenzialità trasformandola in compresenza. I traghettatori tra un piano e l’altro sono invece reali ascensoristi filmati in giro per il mondo dall’artista, che qui sembrano acquisire una presenza scenica ancora più canonica degli stralci di finzioni che connettono con il loro operato. Il viaggio verticale suggerito dal titolo è invece mentale e multidimensionale, sensibilmente accompagnato dal tappeto sonoro performato in diretta dall’artista. Dj Balli + Vj Federico Bigi (Sublime Tecnologico) hanno concluso la serata con un coinvolgente dj set suonato di fronte a un grande schermo che a tratti sembrava ingigantirsi come un idolo tribale.
[1] Nel 2018 Luciano Marucci ha dedicato a Domenico Quaranta un’ampia intervista sull’argomento, che richiamiamo qui: www.juliet-artmagazine.com/domenico-quaranta-e-il-futuro-delle-nuove-tecnologie
Info:
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
NO COMMENT