Il 4 aprile 2022, all’età di 65 anni, è scomparso l’artista americano Donald Baechler, a seguito di un arresto cardiaco. La notizia è stata resa nota dalla galleria Cheim & Read. L’artista muove i primi passi nella New York degli anni ‘80 dopo aver trascorso un periodo di formazione a Francoforte, in Germania, attratto dalla pittura dei giovani artisti tedeschi. È a quel punto che entra in contatto con Tony Shafrazi e viene risucchiato in quella New York fatta di club e locali frequentati da artisti e musicisti. Siamo all’inizio della scena artistica dell’East Village. Gli spazi sono economici per non dire gratuiti, l’arte si arricchisce con nuovi talenti. Da quel momento il suo lavoro inizia a essere assimilato a quello di Keith Haring e Kenny Scharf che come lui espongono da Shafrazi. Ma lui si riterrà sempre lontano da quei presupposti, definendosi un artista astratto per ribadire come la sua attenzione fosse rivolta soprattutto a questioni formali, non tanto alla politica o ad altri tipi di narrazione.
Così si raccontava in un’intervista del 2012: “Ciò che inizialmente dissi era: a volte penso che dovrei chiamare me stesso un artista astratto’ o qualcosa del genere, (in un’intervista risalente agli anni ’80) e questa affermazione mi ha inseguito da allora. Fu inizialmente detto nel tentativo di promuovere una lettura del mio lavoro in base a termini formali, piuttosto che come una narrazione Proto-pop. Questa fu in parte una reazione al contesto in cui apparvero inizialmente i miei lavori, presso la galleria di Tony Shafrazi nel 1981, dove Keith Haring e Kenny Scharf erano impegnati ad inventare nuove narrazioni per la nuova generazione urbana e volevo differenziarmi dai loro progetti. E dopo tutti questi anni vengo ancora chiamato un former graffiti artist! Ciò mi sorprende. Ovviamente non sono un artista astratto. Il mio lavoro consiste in una sorta di romanzo esteso con diverse specie di immagini”.
Riguardo al suo modo di fare arte sono tanti i movimenti a cui è stato associato, si è parlato di Neoespressionismo facendo riferimento a Basquiat, Graffitismo oppure Art Brut per il tratto infantile e per l’interesse nei confronti dei disegni degli alienati. In realtà il lavoro di Donald Baechler è difficilmente catalogabile: risente dell’influenza di Warhol, Roy Lichtenstein, ma anche di Judd e Andre per quanto riguarda l’aspetto seriale riscontrabile nelle sue opere ovvero la ripetizione con minime varianti. È stato protagonista di quella reazione all’Arte Concettuale che pervadeva l’America e l’Europa, di quel ritorno alla pittura che caratterizzò gli anni ‘80. Ma Baechler non ha mai dimenticato neanche la lezione dei grandi maestri del passato riguardo all’impostazione classica visibile nello stretto rapporto tra figura e sfondo e la forza comunicativa di Giotto, come ha spiegato lui stesso: “Io amo Giotto. Sono solito dire che le due grandi influenze artistiche sul mio lavoro sono state Giotto e i fumetti!”
Dell’amore per l’Italia ha più volte parlato, come quando ha raccontato dell’importante incontro con Lucio Amelio: “La mia prima visita a Napoli fu nel 1980, e completamente non programmata. Stavo trascorrendo due settimane a Roma e avevo appena incontrato Cy Twombly, e mentre ero nel suo studio il leggendario Lucio Amelio comparve. Lucio disse che lui ricordava di avermi visto mentre ero in servizio come guardiano presso The New York Earth Room di Walter de Maria, dove avevamo avuto una breve conversazione pochi mesi prima e così fui invitato a andare con Lucio e Cy per un weekend improvvisato a Napoli”.
E poi prosegue ricordando la mostra del 1989 a Napoli: “Dopo circa dieci anni dalla mia visita a Lucio Amelio, a Napoli, lui mi invitò a fare una mostra nella sua galleria nel 1989. Philip Taaffe viveva a Napoli in quel periodo, in uno spettacolare palazzo fatiscente proprio sul golfo, in via Posillipo. Mi offrì in uso un’enorme camera vuota in un annesso. La mostra includeva lavori dal 1988 al 1989 e io dipinsi più della metà della mia mostra nella casa di Philip e in uno studio più piccolo che Lucio mi aveva preparato precedentemente. Dipinsi il mio primo Black Flower a Napoli, nel 1988. E lavorai a una tela gigantesca un dittico intitolato Conversazione, del 1989, proprio nella galleria vuota. Conversazione rappresenta un uomo con un cappello a cilindro circondato da palloni da spiaggia ed è stato riprodotto molto. Tanti mi hanno detto che quello è il loro Baechler preferito. Quando Lucio è morto, molti anni dopo, nel 1994, devo dire che molta di quella magia, per me, è andata via da Napoli. Le mie esperienze a Napoli hanno rappresentato quasi una narrazione intorno alla figura di Lucio Amelio, nel suo distintivo ibrido accento italo-tedesco e mi ci sono voluti degli anni per riuscire a guardare oltre la sua assenza”.
L’artista ha poi avuto diverse collaborazioni in Italia, con Gian Enzo Sperone a Roma, la Galleria Cardi a Milano, lo Studio d’Arte Raffaelli a Trento. Ma Baechler è stato un artista che ha guardato anche al futuro promuovendo sia in America e sia in Italia giovani artisti legati al suo lavoro, da ricordare la mostra Spaghetti and Beachballs che si tenne allo Studio d’Arte Raffaelli di Trento, occasione in cui vennero riuniti i lavori dei suoi giovani assistenti-allievi: Brian Belott, Brendan Cass, James Benjamin Franklin, Taylor McKimens.
Baechler ha trasmesso l’importanza della forza sintetica ed espressiva della linea capace di filtrare e organizzare le molteplici informazioni visive che il mondo contemporaneo trasmette ad ognuno. Fiori, coni gelato, palloni da calcio, teschi, money bags campeggiano su sfondi complessi in cui proliferano altre immagini a voler racchiudere nei suoi lavori “la minuscola percentuale utilizzabile” del mondo.
Baechler è stato capace di dar vita a immagini che nascono da altre immagini da cui si è di fatto circondati giocando su un dialogo tra due dimensioni: la forza comunicativa del segno e la complessità dello sfondo. Gli angoli del mondo come bagni pubblici, strade, bar, ospedali psichiatrici si trasformano in fonti di informazioni e archivi a cui attingere. È il proliferare della vita, che entra attraverso l’inconscio suscitando associazioni e rimandi. Accumulo e sintesi, rappresentano i due estremi su cui l’artista ha costruito un gioco d’equilibrio tra l’immagine-pittogramma ridotta a una grafica essenziale e il collage che mescola e preleva, contaminando le più disparate fonti al di là di confini geografici o culturali.
Antonella Palladino
Le testimonianze di Donald Baechler sono tratte da un’intervista pubblicata nel 2012 su Juliet Art Magazine n. 157
Galleria di riferimento: www.studioraffaelli.com
Donald Baechler, Double Ice Cream, 2002, gesso, flashe and paper collage on paper, 132 x 101 cm, courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento
Donald Baechler, Looting the Leftovers, 2006, gesso, flashe and paper collage on paper, 132 x 101 cm, courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento
Donald Baechler, Red Skull, 2010, gesso, flashe and paper collage on paper, 132,1 x 101,6 cm, courtesy Studio d’Arte Raffaelli, Trento
Antonella Palladino, dopo la laurea in Conservazione dei Beni Culturali, ha proseguito la sua formazione presso la Fondazione Morra e il Pan. Attualmente vive a Pavia ed è docente di Storia dell’arte.
Antonio Gallo
7 Marzo
Eccellente fotografia dell’artista