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Una stagione fatata. In conversazione con Saverio ...

Una stagione fatata. In conversazione con Saverio Verini

Il giovane curatore Saverio Verini offre, nel suo nuovo libro, La stagione fatata (Castelvecchi, 2022), una nuova prospettiva sull’infanzia, riscattandola dalla presunta “aura di intoccabilità”, per aprirla a letture inconsuete. Il libro è stato presentato nella Sala Scarpa del MAXXI di Roma, il 21 febbraio. La serata è stata introdotta da Bartolomeo Pietromarchi (direttore MAXXI Arte) e, alla presenza dell’autore, ci sono stati gli interventi di Cecilia Canziani (curatrice), Manuela Pacella (critica d’arte e docente), Cesare Pietroiusti (artista). Il dibattito è stato moderato da Alessandra Mammì (critica d’arte e giornalista). In occasione di questa serata ho avuto l’occasione di intervistare Saverio Verini.

Vedovamazzei, “Early Works (Raffaello all’età di 7 anni)”, 2021. Oil crayons on a canvas, 290 x 335 cm. Installation view at galleria Magazzino, Rome. Ph Giorgio Benni

Partendo dalla sua genesi fino alla sua conclusione, il libro ha generato in te ulteriori riflessioni e domande in relazione al tema dell’infanzia?
Sono stato invitato da Christian Caliandro, storico dell’arte e curatore di Fuoriuscita, una collana edita da Castelvecchi, a scrivere questo saggio e ho scelto di affrontare il tema dell’infanzia, poiché credo abbia un potenziale inesauribile. Come avrai notato dalla lettura, il libro crea una costellazione di artisti italiani molto lontani fra loro. Vi troviamo il pittore Luca Bertolo o altri artisti, come Vedovamazzei, che spaziano fra più media. Mi piace riunire personalità artistiche differenti attraverso un’unica chiave di lettura, che è quella dei loro molteplici interessi o emozioni. Una tematica come l’infanzia ha in sé la capacità di adattarsi e di tenere assieme non solo le arti visive, ma anche la letteratura e il cinema. Tuttavia, è sempre il contatto con gli artisti a suscitare in me la curiosità iniziale.

Marta Roberti, “Autoritratto come Pinocchio”, 2016. Pastello a olio su carta, 29,7 x 42 cm. Courtesy l’artista

Infatti, la cosa più interessante è stata la volontà, da parte tua, di argomentare e trattare la tematica ad ampio spettro e non soltanto settorialmente…
Ritengo che ci sia un’esigenza da parte di autori, artisti e altri intellettuali di tentare di connettersi a una parte di sé e del proprio vissuto, che in qualche modo avvertono sia una sorgente, nella sua duplice natura benevola e maligna, e che essa sia l’origine di tantissime influenze, interessi e anche traumi, in fondo, che ispirano l’opera. E ancora, accorgendomene poi personalmente, a posteriori, penso che ci sia la volontà di trattare l’infanzia solamente come un’età dorata, quasi divinizzata e associata solo alla spensieratezza e al gioco. In parte, ovviamente, è così, e non si può negare, ma in questa è racchiuso anche un aspetto più delicato, come la presenza, per esempio, di traumi e di imposizioni che si riverberano in tutta la nostra esperienza.

Luca Bertolo, “Il fiore di Anna #2”, 2019. Oil and acrylic on canvas, 200 x 250 cm. Courtesy SpazioA, ph. Camilla Maria Santini

L’infanzia è un ritorno all’origine e dunque un allontanamento dalla capacità razionale dell’uomo. Considerando la traduzione etimologica di “razionale” – dal latino reor, “stimare tutto ciò che è reale” – l’infante, di contro, utilizza l’immaginazione portando nel presente il nulla attraverso il gioco come, per esempio, nel “facciamo finta che…”. Questo aspetto può rafforzare, nell’adulto, la possibilità di approcciarsi all’infanzia con un atteggiamento nostalgico, considerandola solamente come un’età dell’oro. Sbilanciandoci in un’ulteriore riflessione, ritieni che la definizione e la divisione tra infanzia ed età adulta possa essere una convenzione più che un dato reale?
C’è un paradosso, in effetti. Un paradosso dell’infanzia che viene quasi colonizzata dagli adulti. È raro che un bambino si ponga una riflessione sulla natura dell’infanzia; sono sempre gli adulti a trattare l’argomento. Le situazioni e le emozioni della vita di un bambino sono rielaborate e descritte a posteriori. Nel libro, però, ho voluto concludere con Ingresso riservato ad un pubblico di età compresa tra 1 e 6 anni, mostra di Alessandro Cicoria, curata da Giuseppe Armogida nello spazio trasteverino COSMO di Roma, dove la fruizione era limitata ai bambini e preclusa agli adulti. Questo è un esempio molto raro di come si possa effettivamente restituire un protagonismo al bambino, dandogli voce, senza che questa esperienza sia in qualche modo filtrata dalla presenza dell’adulto, sebbene sia stata ideata da quest’ultimo. Credo che sia difficile uscire da questo paradosso, da questa contraddizione.

Valerio Nicolai, “Capitan Fragolone, 2019. Gommapiuma, carta, colla, olio, smalto, legno, tela, cartone, sedia, un performer, costume, maschera, 300 x 550 x 350 cm. Veduta dell’installazione alla Quadriennale d’Arte Contemporanea 2020, Roma. Courtesy: l’artista, Clima, Milano e Quadriennale d’Arte 2020, Roma

Tra le pagine del tuo libro si intravede – in alcuni passaggi lo scrivi espressamente – che la divisione fra infanzia ed età matura è quasi invisibile, e che a volte questa netta distinzione è creata dall’adulto stesso, come invidia dell’infanzia. Il bambino, come scrivi, diventa adulto quando subisce un’imposizione, o quando prende coscienza della paura della morte. È interessante quando, nei primi due capitoli, tendi a sottolineare proprio il valore dell’incoscienza dell’infante. Quando il bambino è costretto a conoscerla e a vederla indirettamente, ci si chiede retoricamente perché si diventi grandi…
È una questione molto articolata e complessa, proprio per la compresenza di tante soglie che vengono attraversate e che fanno parte di svariate esperienze individuali, da quelle più spensierate a quelle più traumatiche. Credo che l’infanzia abbia delle sue peculiarità, certo, ma è anche vero, come dicevamo, che la separazione fra infanzia ed età adulta sia meno marcata di quello che si vuol far credere. Il bambino, infatti, pur con una dimensione, un formato fisico e capacità cognitive diverse, si pone, in fondo, le stesse problematiche e ha le stesse esaltazioni che si pone un adulto, e questo è il motivo per cui il gioco e le paure sono gli elementi che si tendono a perseguire per la vita.

Adelaide Cioni, “Go easy on me, one yellow with blue stick, 2020. Tessuto cucito su tela, 130 x 80 cm. Courtesy: l’artista e P420, Bologna

In base a questo argomento, vorrei parlare del video Ball Don’t Lie di Roberto Fassone che hai inserito nel libro. Qui, l’artista è impegnato a tirare la palla a canestro, e il risultato del gesto determina la risposta a domande esistenziali che compaiono all’osservatore.
Nell’opera sembra ci sia un cortocircuito fra la spensieratezza data dal gioco dell’infanzia e l’incombenza di domande e di questioni di natura razionale ed esistenzialista. Il video, infatti, gioca su questa dimensione sospesa come un ritmo molto quieto: un netto contrasto fra una persona che gioca a pallacanestro, allenandosi da solo in modo spensierato, e la compresenza di queste domande che seguono il ritmo della palla. E allo stesso modo questo scenario ambiguo lo vediamo anche nell’opera di Mattia Pajè (un giorno tutto questo sarà tuo, 2019), che ho trattato parallelamente a quella di Fassone: qui la fotografia di un neonato, che dorme teneramente, viene contaminata da tre macchie nere, che gli oscurano il volto. E che cos’è questa frase “un giorno tutto questo sarà tuo”? Che cos’è questo buco nero? E ci fa chiedere se questo può essere considerato un abisso dove c’è qualcosa di positivo ma anche di negativo.

Filippo Berta, “Happens Everyday”, 2012. Performance, stampa Diasec, 120 x 67,5 cm. Courtesy: l’artista e Prometeogallery di Ida Pisani

La figura dell’artista cerca di rimanere estranea a logiche tradizionali, convenzionali e sistemiche del lavoro, nonché al mantra del produrre per guadagnare. Con questo atteggiamento, egli rivendica la libertà espressiva dell’atto artistico, la stessa libertà che il bambino manifesta nel giocare. Ci si riferisce chiaramente alla terza parte del tuo libro, in cui tu sottolinei il ritorno di una frugalità nell’arte, in contrasto ai progressi tecnico-scientifici. Ritieni, dunque, che ci sia un ritorno, o un’esigenza, da parte di alcuni artisti, di voler ritornare al valore originario delle cose, considerando l’infanzia nella sua ambivalenza, come periodo di spensieratezza ma anche di trauma?
Potrebbe esserci, da parte degli artisti, questa tendenza ad associare l’idea di progresso, in tutte le sue forme, all’idea di utilità e funzionalità, elementi che l’Arte spesso allontana. Credo che l’adulto guardi all’infanzia come a un’età di “purezza” e di trasparenza, dove i bisogni, i desideri, le paure e i traumi emergono in forma più intensa e immaginifica, istintiva e incontrollata, quella che gli artisti tendono a inseguire.

Alessandra Andrini, “Biglia”, A14 Km 50, 2005.  Polimetacrilato, vetroresina, acciaio, stampa su PVC, tubi al neon, diametro 4 m. Courtesy: l’artista

Concluderei con la citazione di Eugenio Scalfari inserita nell’incipit del libro. L’infanzia, per Scalfari, è “la sola di tutta una vita che non finisce mai e t’accompagna fino all’ultimo respiro”. Ritieni dunque che l’età adulta sia un allentamento dal nostro sé originario?
Sarebbe un’immagine molto bella, questa, da poter considerare. E penso che gli artisti, più di altri, abbiano il privilegio di preservare il ricordo di quella sensazione di meraviglia che scaturisce dalla scoperta costante o di guardare il mondo sempre con occhi stupiti, alla maniera di un bambino.

Giulia Pontoriero

Info:

Saverio Verini, La stagione fatata, 2022
128 pp., 16 euro
Castelvecchi editore


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