Ridisegnare lo spazio, inaugurata il 12 febbraio presso la galleria LABS Contemporary Art di Bologna e curata da Angela Madesani, è una mostra che già dal titolo reca con sé, oltre che una certa dose di interesse, anche alcune ambiguità, facilmente individuabili ma non altrettanto risolvibili. Innanzitutto, la formula ridisegnare lo spazio sembra suggerire la natura astratta, concettuale dell’enunciato spaziale. Un “disegno”, del resto, altro non è che una delle tante operazioni intellettuali, e per certi versi autoritarie, di riduzione a simbolo della realtà. A questa considerazione, poi, si aggiunge l’ìpotesi – suggerita dal prefisso “ri” – di reiterazione di un simile processo. Preso per buono il primo enunciato, relativo alla natura “linguistica” del concetto di spazio, resterebbe a questo punto da chiarire quali siano i motivi e le modalità con cui l’uomo ridiscute continuamente i termini della sua relazione con esso.
La questione, però, sembra complicarsi ulteriormente, dal momento in cui il perimetro della ricerca viene circoscritto al solo medium fotografico. Medium ostico che, al netto di qualsiasi fascinazione semiotico-linguistica, rimane indissolubilmente legato a un referente materiale. Ogni immagine fotografica, infatti, come ha notato Rosalind Krauss richiamando la nozione di indice di Peirce, non è mai totalmente svincolata dal reale e reca con sé la traccia di una presenza effettiva e inevitabile. Se è dunque sul territorio delle sfumature, sulle gradazioni di trasparenza con cui il reale si manifesta nell’opera che si gioca la grande partita della fotografia, ridisegnare lo spazio significa rimodulare di volta in volta la natura e l’intensità del peso autoriale.
L’intervento di Massimo Vitali, di cui vengono esposte due grandi stampe fotografiche, più che come ri-creazione di uno spazio, si pone come testimonianza di un atto di appropriazione già compiuto dall’uomo stesso. Che sia un tetto di un ex tabacchificio marsigliese (Friche de la Belle de Mai On Air) o una spiaggia vulcanica delle Azzorre (Ponta dos Mosteiros Dark), quello individuato dal fotografo è uno spazio già ridisegnato da altri.
Dalle prospettive a volo d’uccello con cui Vitali pattuglia i luoghi della sua indagine, si passa allo spazio come rivelazione di Marina Caneve che, nelle tre immagini tratte dal progetto A fior di terra, ragiona sul potenziale epifanico del frammento di marmo e sulla sua capacità di innescare un processo in cui ad essere evocate sono la storia e la memoria di una collettività, quella di Lusiana Conco nell’altopiano di Asiago, che proprio del marmo ha fatto il centro propulsore della propria economia e un fattore fondante la propria identità. “La sua”, scrive Madesani, “non è una documentazione, ma il frutto di un’esplorazione dalla quale pescare dei dettagli portanti per la comprensione della totalità”.
Totalità che sembra invece informare i due interventi di Giulia Marchi, in quella che è a tutti gli effetti un’operazione dal taglio più marcatamente concettuale, guidata dalla riflessione attorno agli scritti di Rem Koolhaas e in particolare al concetto di Junkspace. Le due immagini, tratte dal progetto Fundamental – altro richiamo a Koolhaas e alla Biennale di Architettura da lui curata nel 2014 – colpiscono per la ieraticità con cui l’autrice dispiega, nell’ala nuova del Museo della Città di Rimini, sia la spiazzante e “paoliniana” tautologia della prospettiva (Spazio #11) sia la verifica tanto ontologica quanto estetica di un’ipotesi spaziale a partire da un piccolo e semplice asse di legno (Spazio #2). Contrariamente alla dinamica dell’accumulo e dell’addizione propria dello Junkspace Marchi, rievocando “la pulizia formale del Suprematismo russo”, opera per sottrazione, al fine di “conferire un’estetica formale a materiali di scarto” (Madesani).
Il meccanismo della rarefazione viene portato alle estreme conseguenze dal tedesco Andreas Gefeller, totalmente a suo agio nel limbo tra carta e territorio, tra necessaria indicalità dell’immagine fotografica e manipolazione digitale, con una libertà e con degli obiettivi ben diversi. Se in The Japan Series l’artista sfrutta un particolare tipo di prospettiva per dotare anche le trame dei cavi elettrici di un certo potenziale d’astrazione – dimostrandosi affine, almeno da un punto di vista strettamente formale, alla ricerca di Marchi – nelle Supervisions, dei collage di singoli scatti effettuati da un punto di vista zenitale, Gefeller osa di più, arrivando a creare delle composizioni a metà tra documentazione e costruzione. Le sue sono strutture ibride, in cui la logica e la forma, sempre sul punto di dare scacco alla vita e tuttavia senza mai riuscirci del tutto, incarnano perfettamente l’irrisolvibile tensione tra reale e razionale propria del medium fotografico.
Info:
Ridisegnare lo spazio
A cura di Angela Madesani
12/02/2022 – 5/04/2022
LABS Contemporary Art
Via Santo Stefano,38
40125 Bologna (BO)
Telefono:
+39 051 3512448
+39 348 9325473
e-mail: info@labsgallery.it
Massimo Vitali, Ponta dos Mosteiros Dark, 2018, Lightjet print from original digital file on photographic paper, 187×247 cm, Ed. of 6 + 2 AP (1/6)
Marina Caneve, A fior di terra, #04, 2021, Archival pigment print, Canson Infinity Platine Fibre Rag paper mounted on Alu-dibond, framed, 72 × 90 cm, Ed. 1/5+ 2AP
Giulia Marchi, Spazio #2, 2017 Giclée Print on Harman by Hahnemühle Gloss Baryta (320 g), 100×100 cm
Laureato in conservazione dei Beni Culturali, attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Arti Visive presso l’Università di Bologna. È parte del team che si occupa della gestione di un noto blog di divulgazione culturale ed è inoltre contributor per Juliet Art Magazine. Crede nell’arte come spazio di recupero di una complessità perduta.
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